Viktor Toth
Regia: Dmytro Sucholytkyj-Sobčuk
Sceneggiatura: Dmytro Sucholytkyj-Sobčuk
Fotografia: Mykyta Kuz’menko
Montaggio: Nikodem Čabior
Produttore: Oleksandra Kostina
Produzione: Bozonfilm
Distribuzione: FILM.UA Distribution
Origine: Ucraina, Polonia, Francia
Lingua: Ucraino
Durata: 100’
Genere: Drammatico, Crime, Favolistico
Link al Trailer: https://www.youtube.com/watch?v=vQxGQivBgWw4
Dmytro Sucholytkyj-Sobčuk (1983 -) ha seguito gli studi in Filosofia e Teologia all’università di Černivci prima di laurearsi all’Università di Cinema Teatro Ivan Karpenko-Karyj di Kyïv nel 2013. A partire dal 2011 ha presentato una prolifica serie di cortometraggi, ed un documentario, “Krasna Malanka” (2013). Il suo primo lungometraggio, “Pamfir”, ha debuttato alla “Quinzaine des Réalisateurs” di Cannes nel 2022. Segue l’uscita del suo cortometraggio “Liturhija protytankovych pereškod” (Liturgy of Anti-Tank Obstacles), presentato al Festival del Cinema di Sarajevo.
Trama: Leonid “Pamfir” torna al proprio villaggio per le festività della Malanka, un carnevale in maschera di origine pagana, ma una serie di eventi lo porta a tornare alla vita da criminale che aveva abbandonato anni prima.
Interpreti:
Oleksandr Jacentjuk – Leonid “Pamfir”
Olena Chochlatkina – Madre
Solomija Kyrylova – Olena
Stanislav Potjak – Nazar
Miroslav Makovijčuk – Padre
Ivan Šaran – Viktor
La prima inquadratura del film apre uno spiraglio su uno scenario a prima vista ancestrale: l’interno di una capanna con al centro una figura ricurva che indossa una maschera etnica in legno, un costume di paglia ed un bastone. Presto nell’ambiente si percepisce la presenza della modernità, una panca per i pesi in un angolo, il tavolo da lavoro sul retro. Quando entrano in scena gli altri personaggi ed inizia l’interazione tra loro, diventa chiaro che l’ambientazione è contemporanea. Fin da subito Pamfir rimescola in sé passato e presente, tradizione e vita quotidiana. Non è l’unica commistione che viene compiuta dal lungometraggio: è impossibile inquadrare Pamfir in un vero e proprio genere, in quanto non è abbastanza soprannaturale per rientrare nel favolistico, definirlo un film sul crimine sarebbe riduttivo per la quantità delle sue tematiche, e non è nemmeno un film di denuncia sociale o drammatico nel senso tradizionale. Per inquadrare la quantità di temi, esistenziali, sociali, etnografici, metafisici, narrativi e metanarrativi che emergono in un modo o nell’altro in Pamfir non sarebbe sufficiente un’analisi breve.
Leonid, il protagonista, soprannominato Pamfir, più che un criminale sembra assumere i connotati di una figura leggendaria. Il suo soprannome è ereditato dal padre e dagli antenati precedenti, le sue vicende sembrano quasi delle gesta da eroe epico. Come Sucholytkyj-Sobčuk ha sottolineato nel materiale stampa presentato alla Quinzaine, Leonid ha un taglio di baffi che ricorda quello dei cosacchi antichi, a sottolineare la sua continuità con il passato. In un certo senso è quindi un personaggio anacronistico, un vero e proprio guerriero collocato nel mondo d’oggi, ma i cui valori sono più vicini alle sue radici pagane, il senso d’onore che vede la famiglia come il fulcro più importante della vita. Non a caso Leonid dimostra un rapporto ambivalente con la religione, non a caso è pronto a battersi e a ricorrere alla forza fisica in qualsiasi momento, e non a caso vuole partecipare come protagonista alla festa tradizionale di derivazione pagana. Il suo avversario, un boss della criminalità locale, a sua volta sembra quasi un oppressivo feudatario locale, e così gli atti di Leonid potrebbero ricordare Robin Hood o Guglielmo Tell. Pamfir è in qualche modo il nome dell’anima ancestrale che in senso figurato si impossessa di Leonid, il nome che viene dato a quella caratteristica che lo rende un apolide temporale.
Il legame con il passato ancestrale comporta anche un legame con l’irrazionalità, con il lato animalesco dell’essere umano. Leonid spesso sembra invocare una propria bestialità che prende il sopravvento in lui quando agisce, come se le maschere bestiali della Malanka non fossero altro che la proiezione esteriore dell’inconscio primitivo. Non è per forza l’anima di Pamfir ad identificarsi con l’animalesco, ma si tratta piuttosto di un aspetto della natura umana al quale la tradizionalità permette di emergere.
Sucholytkyj-Sobčuk ha invocato anche la tragedia greca come filtro interpretativo per il film, ma sarebbe ancora più esatto parlare di fatalismo: Leonid non è in grado di modificare il proprio destino, segnato fin dall’inizio, forse anche perché i mezzi con cui cerca di forgiarlo sono troppo antichi per la modernità. Non può che soccombere al fato, alle ancestrali Norme che tessono il suo percorso. Pamfir, l’anima eroica, invece permane, si trasmette di generazione in generazione, com’era successo in passato.
L’uso del piano sequenza in Pamfir si discosta dalle tecniche impiegate da altri esponenti del cinema ucraino di oggi: se in Valentyn Vasjanovyč troviamo inquadrature fisse in campo medio, in Sucholytkyj-Sobčuk i piani sequenza sono molto dinamici, seguono l’azione in modo fluido ed attento. Così anche i colori, spesso molto vivaci e saturati, contribuiscono all’unicità estetica di Pamfir rispetto allo scenario cinematografico nazionale.
Pamfir è ambientato nell’Ucraina sud-occidentale, a ridosso del confine romeno. Un territorio già esplorato dall’autore nel suo documentario Krasna Malanka, che analizza la tradizione carnevalesca della Malanka così come viene celebrata a Krasna, ma che è anche rappresentata nella sua multietnicità nel suo corto Intersekcija (Intersection, 2015). Una tradizione locale molto specifica della zona, la Malanka, diventa così un mezzo di rappresentazione dell’identità ucraina che torna alle proprie radici culturali con una forza che si ritrova in pochi altri film contemporanei. L’attualità, che costituisce l’ambientazione del film è sempre in secondo piano, un elemento di sfondo. In Leonid, portavoce di questa tradizione, si riscontra l’identità ucraina più originaria.