Intervista a cura di Massimo Tria
Traduzione dall’ucraino di Francesca Lazzarin
MT: Qualcuno ha scritto che per alcuni anni lei ha girato cinema “per il grande pubblico”, mentre ora gira “film da festival”… Però a me sembra che suoi lavori come Zvyčajna zprava (Business as Usual, 2012) e Kredens (Credence, 2013) siano delle commedie amare estremamente interessanti. E anche che, per esempio, un documentario come Prysmerk (Crepuscule, 2014) meriti maggiore attenzione di quella che ha ricevuto. Ma di certo è vero che i suoi ultimi film (Riven’ čornoho//Black Level, 2017, Atlantyda//Atlantis, 2019 e Vidblysk//Reflection, 2021) si distinguono per uno stile del tutto nuovo: la simmetria delle inquadrature, la laconicità dei dialoghi, i lunghi piani sequenza, la lingua ucraina “pura” che vi si parla… Come e quando ha deciso che era arrivato il momento di passare a questo nuovo stile?
VV: Sì, è vero, quando giravo Business as Usual e Kredens credevo che quei film sarebbero stati interessanti per ampie fasce di pubblico. Ma mi sbagliavo, e col tempo ho capito che il mondo del cinema è estremamente polarizzato: se vuoi lavorare nel settore del cinema per il grande pubblico, del cinema di intrattenimento, devi girare film semplici, con un budget limitato e in lingua russa, che magari non faranno cassa sul mercato ucraino, ma porteranno guadagni ai produttori del mercato russo. All’altro polo c’è il cinema d’autore, che non tiene conto del grande pubblico ed è invece focalizzato su uno spettatore per così dire “di livello avanzato”, che abbia già un’esperienza di fruizione che gli permetta di seguire costrutti filmici maggiormente complessi per forma e contenuto. A un certo punto ho compreso che era necessario fare una scelta e soffermarsi sul cinema d’autore. Per quanto riguarda lo stile da me impiegato negli ultimi tempi, i suoi primi germi si possono già vedere nei miei documentari: l’inquadratura statica, i campi lunghi e medi… Poi nell’inquadratura entra il personaggio, e col tempo inizia a realizzarsi una magia, inizia il cinema. Quando giravo Crepuscule, osservavo i protagonisti guardando nel monitor della videocamera, e mi rendevo perfettamente conto in quale momento incominciava il vero cinema. Percepivo quell’energia che si sprigiona dalla scena sul monitor, e la gioia per il fatto che finalmente il cinema aveva preso il via. Più tardi, mentre lavoravo a Black Level e ai film successivi, mi sono sforzato di architettare la stessa messinscena, in modo da ottenere le sensazioni che mi erano piaciute così tanto durante le riprese del documentario.
MT: Per quanto riguarda Atlantis, vorrei ringraziarla anche perchè, grazie a questo film, nel 2019 i miei colleghi italiani hanno finalmente avuto modo di sapere, notare e capire che il cinema ucraino contemporaneo può giocare un ruolo importante a livello internazionale. Prima era spesso molto difficile attirare l’attenzione dei non specialisti verso la cultura ucraina in generale (a causa di stereotipi, scarsa conoscenza del paese, ma anche a causa della propaganda russa). La sua vita e il suo lavoro sono cambiati dopo la vittoria di Atlantis alla Mostra del Cinema di Venezia, dove ha trionfato nella sezione “Orizzonti”?
VV: Ero perfettamente cosciente del fatto che la propaganda russa esercita un forte influsso sui media italiani e sull’opinione pubblica. Ma credevo anche che un evento di grande portata come la Mostra del Cinema di Venezia avrebbe dato la possibilità di diffondere dei messaggi sulla guerra in Ucraina molto importanti per i cittadini del nostro paese. E così è successo: se all’inizio della Mostra, durante gli incontri con gli spettatori e la stampa internazionale, sentivo usare l’espressione “conflitto interno all’Ucraina”, alla fine della Mostra le domande venivano formulate parlando di “guerra della Russia contro l’Ucraina”. Far arrivare quest’idea era il nostro principale obiettivo.
La vittoria alla Mostra nella sezione “Orizzonti” ha dato al film e a me la possibilità di visitare molti paesi, dove ho fatto arrivare alla stampa e agli spettatori informazioni sul fatto che nel cuore dell’Europa, nel XXI secolo, già da molti anni era in corso una vera guerra. Ho condiviso le mie premonizioni circa una guerra su scala più ampia, in cui avremmo senz’altro vinto.
Sono felice di aver avuto, dopo Atlantis, la possibilità di girare il mio film successivo, Reflection, che ha avuto la sua prima all’interno del concorso principale della Mostra del Cinema di Venezia.
Anche questo film riguarda la guerra: i suoi temi principali sono l’impiego della tortura da parte degli invasori russi e come, poi, sia difficile vivere con i traumi subiti durante la prigionia.
MT: A suo avviso, esiste già una “nuova ondata” nel cinema ucraino, un movimento strutturato che ha preso costantemente forma dopo il 2014 (ci sono diversi registi di talento: lei, Sencov, Alijev, Nikitjuk, Lukič, Horbač, Parfan, Bondarčuk, Hornostaj…), e si può parlare di un contributo statale al suo sviluppo? Quale ruolo, per esempio, è stato svolto dall’Agenzia Statale Ucraina per il Cinema tra il 2014 e il 2020?
VV: A mio parere il cinema ucraino contemporaneo ha fatto la sua comparsa esclusivamente grazie al supporto dell’Agenzia Statale Ucraina per il Cinema. È stata costituita un’agenzia sotto la guida di Kateryna Kopylova, con cui abbiamo iniziato le riprese di The Tribe di Myroslav Slabošpyc’kyj, per cui io ero il direttore della fotografia. Durante la Rivoluzione della Dignità dell’Euromajdan Kateryna Kopylova è stata costretta a lasciare il suo posto di direttrice, e l’ha sostituita Pylyp Illjenko, che ha portato avanti una politica indipendente, con un’amministrazione di qualità. Nel giro di un paio d’anni sotto la sua direzione sono usciti svariati film di alto livello che hanno avuto successo tanto ai festival quanto al botteghino.
Per lo sviluppo del cinema è fondamentale che il processo creativo non si fermi mai. In dieci anni di supporto statale al cinema ucraino è comparsa un’industria del cinema, con tutte le parti che la compongono. È importante che lo sviluppo del settore cinematografico non si blocchi nemmeno durante la guerra, ma se dai un’occhiata alla bozza di bilancio 2023 ti torna in mente la risposta, oggi molto popolare, di Winston Churchill al cancelliere della tesoreria britannica: “Se non ci sono fondi per la cultura, allora per cosa stiamo combattendo?”. Sfortunatamente, i leader del nostro paese non condividono la posizione di Churchill.
MT: In un’intervista ha detto che il suržyk, cioè la commistione di russo e ucraino spesso impiegata nella lingua parlata, è “il cancro della lingua ucraina”. Inoltre, il noto studioso Jurij Ščevčuk ha scritto che il suržyk è “l’eredità e il marchio d’infamia del colonialismo russo”. Potrebbe spiegare meglio queste affermazioni per i lettori italiani, inquadrandole nel contesto dei suoi film?
VV: Del fatto che la cultura russa è tossica spero che non ci sia più bisogno di convincere nessuno. Mascherandosi dietro nomi e opere di cultura ben pubblicizzati, la Russia ha fatto germogliare il mito della misteriosa anima russa. Un mito che per molti anni è stato esportato in tutto il mondo e, grazie a una potente campagna di divulgazione, ha trovato un gran numero di simpatizzanti che hanno tentato di comprendere quest’anima misteriosa. In realtà decifrare l’enigma è facile. Gli eroi russi li abbiamo visti a Irpin’, Buča, Mariupol’ ed altre città e villaggi dell’Ucraina. Abbiamo visto degli sciovinisti, degli xenofobi e in sostanza degli schiavi che sono stati messi in libertà e a cui è stato detto “fate quello che volete, tutto vi è permesso e non vi sarà alcuna responsabilità”. Abbiamo visto in azione migliaia di misteriose anime russe cresciute consumando i prodotti culturali russi.
Per quanto riguarda il suržyk, si tratta davvero di un efficace strumento di colonizzazione. La commistione forzata di due lingue porta al disfacimento di una di esse. Di norma la lingua che scompare è quella che ha meno parlanti, quella del popolo colonizzato. Se a tutto ciò aggiungiamo l’annientamento fisico di un’ampia fascia di coloro che custodiscono le conoscenze sulla lingua, nonché della comunità culturale dei parlanti, entro poco tempo sarà possibile discreditare e liquidare la lingua “degradata”. Questo dopo aver definito un popolo e la sua lingua un equivoco storico. Dopo aver affermato che ucraini e russi sono un unico popolo, cosa appunto detta da Putin.
MT: Dove era il 24 febbraio 2022? Cosa ha fatto poi? Si è occupato di volontariato, riprese, reportage?
VV: È andata così: il conflitto ha suscitato l’attenzione di molti nei confronti dei miei ultimi film, incentrati appunto sul tema della guerra. Atlantis ha preso a vivere una nuova vita ed è stato rimesso insistentemente in circolazione. Reflection ha continuato a girare per i festival. Il ricavato di tutte le proiezioni è stato versato a fondazioni di beneficenza per sostenere l’esercito o i profughi ucraini. La maggior parte del tempo l’ho trascorso (e lo trascorro tuttora) organizzando le proiezioni di Atlantis e Reflection, prendendo parte agli incontri con il pubblico e alle discussioni con la stampa. Ovviamente nelle prime settimane ho cercato di girare del materiale video da cui in futuro potesse scaturire un documentario sui fatti in corso, ma purtroppo il soggetto che mi ero immaginato non ha trovato riscontro nella realtà, e quindi ho interrotto le riprese. C’è stata anche una fase in cui ho tentato di comprendere quale cinema fosse necessario, ora o dopo la fine della guerra. La realtà era talmente potente, impressionante e traumatica che ero di fatto paralizzato da un punto di vista creativo. I miei tentativi di rendermi utile durante la guerra, e le difficoltà ad essi legate, mi hanno spinto a scrivere un nuovo soggetto di fiction. Proprio di questo mi sto occupando ora, continuando anche a supportare la circolazione dei film.