Intervista a cura di Marianna Kovacs
Trent’anni fa morì un Giusto tra le Nazioni, Giorgio Perlasca. Intervista con il figlio Franco e la moglie Luciana promotori della Fondazione che porta il suo nome e la sua memoria.
“Si parlava di quell’uomo, nel palazzo di piazza Santo Stefano, ma nessuno sapeva chi fosse. Alle ragazze come Éva, piaceva. Un bel signore, con un vestito elegante. Un eroe. Il suo nome, Perlasca, alla maniera ungherese era pronunciato con l’accento sulla prima sillaba. Pérlasca. O meglio ancora, per quel tanto di aspirazione e sospensione in mezzo alle parole che usano gli ungheresei. “Pér… Lasca”. Così che molti pensarono che quel signore spagnolo si chiamasse in realtà Lasca e che quel “Pér” che precedeva il suo nome fosse un titolo nobiliare, come il “Sir” degli inglesi. Nel palazzo dicevano che era un grande ambasciatore, che lo avevano mandato lì gli americani, che da lui dipendevano le sorti del mondo.” (La banalità del bene, p. 32)
Un commerciante italiano di Padova, Giorgio Perlasca, si trova a Budapest nel 1944. È l’anno in cui l’Ungheria viene invasa dalla Germania e in cui sale al potere il partito delle Croci Frecciate. Inizia la più sanguinosa persecuzione degli ebrei di tutta la guerra. Gli ebrei della provincia vengono deportati per primi. Poi tocca ai residenti della capitale. Prima vengono trasferiti in case contrassegnate da una stella gialla e più tardi sono spostati nel ghetto di Budapest. Moltissime persone sono costrette a marciare sulla sponda del Danubio, vengono legate a gruppi di due o tre e poi fucilate. Cadono nelle acque ghiacciate del Danubio, colorato di rosso in quei giorni tragici. Chi può cerca protezione nelle ambasciate. Non tutti ce la fanno. Perlasca viene improvvisamente travolto dagli eventi della storia. E come lui stesso ricorda in un’intervista “l’occasione fa l’uomo ladro”, si finge un diplomatico spagnolo e salva più di cinquemila ebrei ungheresi mettendo spesso a rischio anche la propria vita. Di lui nessuno parla in seguito. Nessuno lo nomina, anche se molti conoscevano e sapevano il peso delle sue azioni. Dopo la Seconda guerra mondiale viene completamente dimenticato e se non fosse stato per alcune donne ebree che si erano messe sulle sue tracce negli anni Ottanta, prima ancora del crollo del muro di Berlino, la sua storia e le sue gesta eroiche sarebbero state dimenticate per sempre. Il riconoscimento a Giusto delle Nazioni di Israele gli arrivò soltanto nel 1989. Morì nel 1992. Il figlio Franco Perlasca, insieme alla moglie Luciana Amadio, onora il suo ricordo attraverso la Fondazione Giorgio Perlasca. Franco e Luciana hanno concesso questa intervista ai lettori di “Andergraund Rivista”.
MK: Quest’anno ricorre il trentesimo anniversario della morte di suo padre. Portate avanti l‘eredità di Giorgio Perlasca attraverso la vostra fondazione. Quali sono le vostre attività e come conservate il suo ricordo?
FP: Portiamo avanti la nostra attività attraverso l’organizzazione di eventi come mostre, convegni, incontri con le scuole, presentazioni di libri che trattano la vita e le vicende di mio padre o la Shoah in generale. Il nostro obiettivo è quello di sensibilizzare i giovani sui problemi delle popolazioni perseguitate. La nostra fondazione, tra le tante cose, ha predisposto anche un percorso della memoria a Budapest che attraversa i luoghi che Perlasca conosceva bene quando salvava migliaia di ebrei. Abbiamo preparato una mappa e per ogni punto della cartina viene segnalato un episodio tratto dal suo diario (si tratta del libro L’Impostore pubblicato da Il Mulino). Abbiamo una guida di riferimento a Budapest che ci aiuta nell’organizzazione e nello svolgimento della visita. Il percorso è disponibile a tutti sul sito internet della fondazione: www.giorgioperlasca.it. Inoltre, in questi anni abbiamo partecipato anche alla presentazione in Ungheria di alcuni libri su Perlasca. Purtroppo non tutto è venuto ancora alla luce sulle sue azioni e su quanti fossero al corrente del suo ruolo. Poi ci sono molti scritti, articoli, notizie in ungherese e purtroppo non sempre riusciamo a venirne a conoscenza. Condividiamo ogni nuova informazione sul sito della nostra fondazione.
MK: Come vi accolgono in Ungheria?
FP: Molto bene. Nel corso degli anni abbiamo fatto incontri molto interessanti ed emozionanti. Mi ricordo che eravamo alla presentazione del libro per ragazzi L’eroe invisibile in una piccola libreria vicino al parco Santo Stefano, nella zona in cui si trovavano le case protette. La libreria era così piccola che avevano sistemato tavolini e sedie anche all’esterno, praticamente sul marciapiede. Devo dire che in questo bel viale alberato si era creata una bellissima atmosfera. La gente passava, si fermava, scambiava due parole, poi proseguiva, qualcuno con il libro in mano. Ad un certo punto mi avvicinò una signora anziana che camminava a fatica, con il bastone, ed era accompagnata dal figlio. Si sedette e mi raccontò che lei era una delle persone salvate da mio padre tanti anni prima. Viveva ancora lì, vicino al parco Santo Stefano. Era molto contenta di avermi potuto raccontare di lei, era contenta del libro, anche se si riaprivano vecchie ferite. Purtroppo, allora, nella confusione dell’evento, non le abbiamo chiesto i contatti e abbiamo perso un’occasione, una notizia in più. Perché se tu riesci ad ascoltare queste persone, hanno tutti una storia diversa alle spalle, un tassello in più che può aiutare a ricostruire la storia. Oramai le testimonianze dirette sono molto ridotte. Ci riteniamo fortunati per quello che abbiamo potuto fare.
MK: Avete però scoperto anche in Italia aspetti molto importanti per capire la portata delle azioni del Signor Perlasca.
FP: Sì. La vicenda di mio padre viene scoperta quando negli anni Ottanta alcune donne ebree, forti del suo ricordo e delle sue azioni, decidono di cercarlo. Grazie a loro si scopriranno altri testimoni, altri salvacondotti rilasciati da mio padre durante la guerra, e si riuscirà a raccogliere le prove delle sue azioni. Con queste prove verrà proclamato Giusto tra le Nazioni. Ma il ricordo delle persone non è sempre così netto. Nel 1990 la trasmissione Mixer dedica una puntata a mio padre. Poi il giornalista Enrico Deaglio gli dedica un libro, La banalità del bene. Giorgio Pressburger vede la trasmissione, conosce il libro e a quel punto si ricorda che da bambino è passato anche lui per le case protette dalla Spagna. I salvacondotti della sua famiglia furono rilasciati proprio da Perlasca. Aveva solo sette anni all’epoca e non poteva ricordare il nome di mio padre, ma dopo aver visto la trasmissione ha avuto la certezza che fosse stato lui. Inoltre, anche due sorelle di Edith Bruck sono state salvate da mio padre. Lei ha potuto dare la sua testimonianza solo indirettamente. Si è ricordata che le sue sorelle avevano affermato di essere state aiutate da uno spagnolo. Allora, confrontando le date, ha capito che questo poteva essere solo Perlasca. Quindi sì, ci sono tanti fili della storia che si intrecciano anche in Italia.
MK: Suo padre conosceva bene un altro Giusto, Raul Wallenberg. Purtroppo di lui si persero le tracce …
FP: Sì, si conoscevano molto bene. Dieci o dodici anni dopo la guerra era uscito un articolo su un giornale italiano che sosteneva che Wallenberg fosse stato rapito e ucciso dai russi. Mio padre scrisse al giornale e diede la sua versione sostenendo di essere stato uno degli ultimi ad averlo visto vivo. Secondo lui, nel caos che regnava in quei giorni di assedio a Budapest, Wallenberg probabilmente fu colpito e ucciso per caso.
LA: Prima di arrivare alla fase finale dell’assedio, lui aveva mantenuto qualche contatto con gli ufficiali russi. Poi, man mano che si avvicinavano gli ultimi giorni, la situazione diventava sempre più pesante. Perlasca stesso ha rischiato di essere ucciso quando i russi sono entrati nell’ambasciata spagnola. A quel punto si trattava di truppe d’assalto che avanzavano e sparavano indistintamente. Non sapevano e forse nemmeno gli interessava chi fossero le persone che incontravano. Ecco, questa era la sua versione. Wallenberg fu solo sfortunato.
MK: Non era un caso che Giorgio Perlasca fosse andato all’ambasciata spagnola in quei giorni. Già prima della guerra aveva contatti con la Spagna.
FP: Lui da giovane, negli anni Venti, aderì al fascismo, al filone dannunziano, nazionalista. Partì come volontario prima in Africa Orientale e poi combattè anche in Spagna a fianco del generale Franco. Quando tornò in Italia e, in particolare dopo le leggi razziali e l’alleanza con la Germania, si allontanò dal fascismo e dagli ideali giovanili. Trovò lavoro come incaricato d’affari e andò nei paesi dell’Est per l’acquisto di carne per l’Esercito Italiano. Si trovò così a Budapest in un momento cruciale della storia del Ventesimo secolo.
MK: Com’era il Signor Perlasca? Che carattere deve avere una persona per poter compiere un gesto simile? Avreste mai pensato di lui che fosse capace di compiere un atto del genere, così importante e così rischioso?
LA: Io avevo grande stima di mio suocero ancora prima di scoprire le sue gesta. Era facile dialogare con lui, amava il contatto umano e gli piaceva stare in compagnia. Quindi sì, è stata una cosa straordinaria scoprire il suo vero passato, ma non posso dire che non me lo sarei aspettato. Era una persona molto sensibile ed empatica. Poi un’altra cosa che abbiamo scoperto sentendo altre persone, che anche noi possiamo confermare, è che lui aveva una fiducia estrema nelle persone, a volte fin troppa. Probabilmente era questa la caratteristica che lo faceva muovere: la visione particolarmente positiva della vita. Cercava sempre il contatto con gli altri. Era innamorato della Spagna ancora prima di partire. È rimasto lì due anni e mezzo e abbiamo tantissime foto di quel periodo e abbiamo potuto osservare un aspetto curioso: in poche occasioni sta con i commilitoni, nella maggior parte delle fotografie è ritratto con la gente del posto. Una decina di anni fa la fondazione ha ricevuto una e-mail dalla Spagna da un professore universitario. In quel semestre aveva una studentessa italiana in Erasmus nel suo corso e tramite lei ci ha scritto una lettera facendoci sapere che, quando Perlasca era arrivato in Spagna, ha vissuto qualche mese da sua nonna, che ormai non c’era più, ma la zia se lo ricordava bene e raccontava che era una persona allegra e solare e che si era ben inserita nell’ambiente in cui si trovava. Per noi sono molto importanti queste testimonianze per poter meglio capire la sua vita.
MK: Quindi amava la vita e voleva dare la possibilità anche agli altri di poterlo fare?
LA: Esatto, aveva una grande fiducia nell’umanità. Quando è andato a piantare l’albero sulla collina dei Giusti in Israele, c’erano tanti sopravvissuti, tanti con il proprio salvacondotto. Alla fine della cerimonia aveva in mano una rosa di stoffa dorata con un bigliettino scritto in inglese. Una volta tornato gli abbiamo chiesto chi gliel’aveva data, ci rispose che si ricordava solo che era una signora nella folla. Anche nei filmati lo si vede andare in giro con questa rosa in mano. Sul bigliettino, oltre al messaggio, purtroppo, c’era solo il nome e nessun altro dato. Il messaggio era il seguente: Lei ha salvato due membri della mia famiglia e la mia speranza nell’umanità.
MK: Il Signor Perlasca per decenni non parlò più di quello che aveva fatto. Poi ancora prima del crollo del muro di Berlino alcune donne ebree hanno voluto ritrovare la persona che le salvò. Questo episodio come gli cambiò la vita?
LA: Lui era molto contento del fatto di non essere stato dimenticato. Nei primi tempi ricevette molte lettere da tutte le parti del mondo. E rispondeva a tutti. Qualche anno prima aveva avuto un ictus e questo gli causava qualche difficoltà nei movimenti, ma a quei tempi, con la macchina da scrivere, pian piano anche solo con qualche riga di ringraziamento, rispondeva a tutti. Gli ultimi anni della sua vita sono stati stravolti, questo è vero, ma credo che ciò non gli pesasse affatto. E soprattutto, la notorietà non lo cambiò. È rimasta la persona umile, pacata e in pace con se stessa che da sempre conoscevamo.
MK: Voi invece andate ancora in Ungheria?
LA: Certo. Io accompagno più volte all’anno le classi delle scuole che organizzano il viaggio della memoria. Ma anche come turisti ci torniamo ogni due o tre anni. La città di Budapest ci piace molto. Troviamo affascinanti i suoi edifici liberty e la maestosità della città. È incredibile la trasformazione degli ultimi decenni.
FP: Però la prima volta ci siamo andati nel lontano 1981, ben prima del crollo del muro di Berlino. Non sapevamo ancora nulla della storia di mio padre. Avevamo deciso di andarci per vedere cosa c’era dietro la cortina di ferro e come si viveva in un mondo che all’epoca ci sembrava molto lontano. E devo dire che è stata una bellissima esperienza. Rispetto alla città di adesso, c’era una realtà completamente diversa.
MK: Come ha reagito allora il Signor Perlasca quando ha saputo che stavate organizzando un viaggio a Budapest?
LA: Era entusiasta e molto contento. Ci ha raccontato che era vissuto due anni a Budapest durante la guerra. Ovviamente senza entrare nei dettagli. Ci ha raccomandato di andare ai Bagni Gellért dove c’erano le piscine con le onde già quando ci viveva lui. Budapest era una delle prime città con questa attrazione. Poi ci raccomandò diversi posti da visitare. Aveva anche degli indirizzi, ma ci disse che probabilmente quelle persone non erano più in vita. Ci sembrava incredibile come ricordasse tutto molto bene. Ma non ha mai minimamente accennato a cosa facesse lì tanti anni prima.
MK: Ci sono molti libri su Giorgio Perlasca e non solo in italiano. Ce n’è qualcuno che ritenete particolarmente interessante?
LA: Le sue memorie sono contenute nel libro L’impostore pubblicato dalla casa editrice Il Mulino. Racconta il suo punto di vista del periodo in questione. Siamo molto affezionati al libro L’eroe invisibile edito da Einaudi Ragazzi che è nato dalle penne di Luca Colognato e Silvia Del Francia con l’intenzione di far conoscere la storia anche ai più giovani. Dal canto nostro abbiamo cercato di raccogliere più fonti e tracce possibili per poter mettere insieme i tasselli e comprendere obiettivamente la vita e le azioni di Giorgio Perlasca. Siamo rimasti sorpresi, ma anche molto contenti, quando abbiamo appreso che in un libro pubblicato nel 1946 in Ungheria (N.d.R. si tratta del libro Fehér könyv. Külföldi akciók zsidók megmentésére ”Libro bianco. Azioni straniere per salvare gli ebrei” di Jenő Lévai, Officina, Budapest 1946) c’era anche il nome di Giorgio Perlasca tra gli stranieri che salvavano gli ebrei. Quindi dietro alla cortina di ferro le sue azioni erano state documentate subito dopo la guerra. Questa è una fonte molto preziosa, una traccia lasciata ai posteri. Dopo la guerra molti sapevano delle sue gesta, ma non dissero nulla e non se ne capisce il motivo. Se non fosse stato per quelle donne ebree che dopo decenni se lo ricordavano ancora, e si erano messe sulle sue tracce, probabilmente non l’avremmo mai scoperto.
Chissà Perlasca cosa direbbe oggi vedendo oggi il disastro in Ucraìna.
Chissà; è una mia fantasia.
Ma ci penso