Cristiano Schirano
“L’eccessiva politicizzazione del teatro ci allontana dal conflitto dell’uomo con sé stesso, che è trascendente. Ero interessata a un saggio del poeta Mircea Cărtărescu in cui diceva che nella società abita una cultura senz’arte e un’arte senza poesia. Il mondo spirituale è una ribellione.”
Angélica Liddell
È insolito raccogliersi nella dimensione di trovarsi insieme per leggere un testo teatrale, e col solo scopo di leggerlo. Il testo teatrale continua a essere un testo di nicchia: c’è chi lo studia come testo letterario; ma per lo più lo legge chi il teatro lo fa, chi sta in quell’ambiente; e, persino in questi casi, spesso e volentieri è solo una lettura a tavolino, una fase propedeutica all’allestimento di un eventuale spettacolo da parte della compagnia. Un atto che, insomma, non si esaurisce in sé; non ha come scopo quello di conoscere, magari apprezzare, e basta. In quei rarissimi casi, tuttavia, in cui accade che ci si ritrovi su un palcoscenico per leggere (e leggere soltanto) un testo teatrale, un brivido riscalda anche gli animi dei presenti con la stessa intensità delle luci di tutti i riflettori delle americane.
Una domenica pomeriggio è capitato di conoscere Ivan Vyrypaev – nato a Irkutsk, in Siberia, nel 1974 – e il suo teatro da un suo testo e dalla sua voce italiana, quella del suo amico, traduttore e principale metteur en espace dei suoi drammi in Italia, l’attore e regista Teodoro Bonci del Bene. L’occasione è arrivata grazie al Club dei Copioni, un’iniziativa promossa dal Teatro Giovanni Testori di Forlì, un vero e proprio ciclo di lettura di testi di drammaturgia contemporanea, ancora vista e percepita con sospetto dal pubblico italiano, poco abituato a canoni e linguaggi che non siano quelli della prosa. Teodoro Bonci del Bene, fra l’altro, avrebbe portato in scena, poche sere più tardi, l’ultima (nel frattempo, si dovrebbe dire la penultima) drammaturgia di Vyrypaev: Dati sensibili. New Constructive Ethics (2021).
Quando Teodoro lo ha presentato ha detto solo in ultimo del lungo e profondo rapporto di amicizia che lo lega a Vanja, che, di nome, conobbe durante i suoi studi alla Scuola del Teatro d’Arte di Mosca. Così parla del suo primo incontro nella sua prefazione al volume che raccoglie le versioni italiane di alcune opere teatrali di Vyrypaev:
“Stavo cucinando degli spaghetti nel dormitorio della scuola del Teatro d’Arte di Mosca (MChAT), e Aleksej, mio compagno di classe, tornava dal Teatr.doc. Gli chiesi cosa fosse andato a vedere, arrabbiato perché non mi aveva invitato. Non ricordava il titolo né l’autore, mi disse solo che aveva visto la storia di uno che ammazza sua moglie nel giardino con una zappa perché quando Dio aveva detto che non si deve uccidere lui stava ascoltando della musica in cuffia.” (p. 7)
Il legame tra loro non consente la restituzione di un ritratto distorto di Vyrypaev: Teodoro lo descrive esattamente quale traspare dai suoi testi, aggiungendo dettagli interessanti della sua fortuna scenica, a molte e molti fra il pubblico italiano ancora ignota. Diventa una star con Kislorod (“Ossigeno”, 2001), la cui trama – o meglio, la versione da bar della trama – è quella descritta dall’amico di Teodoro, Aleksej, e aggiunge: “Da noi, per dire, un autore teatrale difficilmente, oggi, compare sulla copertina di una rivista; in Russia accade. Un autore può diventare subito molto importante”. Teodoro lo descrive appassionatamente e con estrema precisione, lo descrive bene: le due cose si equivalgono sempre, secondo il personaggio di Ulla Richter, la protagonista di Volnenie (“Agitazione”, 2018), testo che sarà oggetto della nostra lettura. Su di un tavolo, in una delle quinte, troviamo le copie del testo integrale di Volnenie, testo scritto e diretto dall’autore per il Bol’šoj Dramatičeskij Teatr (BDT) di San Pietroburgo, e scritto appositamente per Alisa Frejndlich, una delle attrici preferite da Andrej Tarkovskij (che la diresse infatti, nel 1979, in Stalker), che ha accettato di prendere parte al progetto già prima che Vyrypaev scrivesse il testo.
L’azione si svolge a Manhattan, nel lussuoso appartamento della scrittrice Ulla Richter, di origini tedesche e polacche. Persona “riservata e decisamente introversa” (p. 210) secondo il suo agente letterario, Steve, Ulla ha deciso di concedere un’importante intervista, di grande importanza per la sua carriera, al giornalista polacco Krzysztof Zalinski. Steve, insieme a Natalie, figlia nonché legale rappresentante di Ulla, tentano di indirizzare la conversazione lungo un percorso concordato, lontano da potenziali insidie che possono minare la reputazione di Ulla se riportate in maniera maliziosa o distorta dal giornalista. Ma tutti gli accordi col giornalista finiscono per andare a carte quarantotto per fare spazio a una conversazione sincera sui lati oscuri del successo, sul rifiuto della propria eredità, sul coraggio di essere sé stessi e sull’agitazione della creazione di un’opera d’arte da parte di un autore. Il tutto inframmezzato da commenti provenienti da una voce esterna – uno speaker dalla “calda voce maschile” (p. 209) – che a volte approfondiscono la vicenda, scavano nelle azioni e nella psicologia dei personaggi; a volte richiamano immagini sensibili ed episodi che possano rimandare all’esperienza degli spettatori e dei personaggi in scena, e perfettamente attinenti all’azione; a volte, invece, spezzano la tensione con un inaspettato effetto comico. Ecco perché niente è lasciato al caso. Per cui, a interventi di questo tipo:
Speaker. Krzysztof non sa che il vero scopo di questa intervista è sanare la spaccatura fra la scrittrice Ulla Richter e l’influente comunità ebraica di New York che, all’uscita del penultimo romanzo di Ulla, dal titolo Sangue, aveva accusato la scrittrice di antisemitismo, costringendo il comitato per il Nobel a escluderla dalla lista dei candidati al premio per la letteratura. (p. 212)
si alternano commenti di calibro ben diverso:
Speaker. Una volta quando Marta, la sorella maggiore di Krzysztof, si ruppe la gamba… in realtà non è una cosa importante. Scusate. (p. 214)
La presenza di un simile personaggio insolito, che pure ha avuto alcuni precedenti (anche muti) persino in alcune drammaturgie nostrane del secolo scorso, ne rivela la necessità per l’autore, ai fini dello svolgimento dell’azione, per rivelazioni, spesso in forma di immagini, che contribuiscono a creare la “cornice” entro cui va racchiusa l’opera d’arte (p. 233), come dichiara la sua Ulla.
Ulla, fra gli altri. Come definirla? C’è modo di racchiuderla, descriverla entro poche parole? Dire di lei che è un personaggio che sfugge alle definizioni sarebbe riduttivo; dire che è un personaggio singolare è retorico, già visto. Ulla è in preda all’agitazione cui allude il titolo della pièce. Ulla è essa stessa l’agitazione cui allude il titolo della pièce. Quando Natalie racconta a Krzysztof, in seguito alla rivelazione di Ulla di intrattenere relazioni con “ragazzini”, dell’incidente che causò la morte di uno di costoro, Milo, Ulla, con sarcasmo, interrompe l’intervista per andare in bagno ma non vede l’ora, o almeno così dichiara, di riprendere “questo fantastico discorso” (p. 228). Prima di uscire dalla scena, chiede al giornalista:
Ulla. […] Sai cos’è l’amore, Krzysztof?
Krzysztof. È stato detto talmente tanto sull’argomento che è difficile aggiungere qualcosa di nuovo.
Ulla. Si può sempre aggiungere qualcosa di nuovo, se ogni secondo vivi una vita nuova. L’amore è agitazione, mio caro. (ibid.)
Il dialogo si interrompe in un momento apparentemente molto sentito da parte di Ulla – stando a sentire Natalie, Milo era l’unico ragazzo per cui Ulla abbia provato qualcosa di serio, di cui fosse innamorata davvero. E quando si interrompe, temporaneamente, l’azione in scena di Ulla si parla di agitazione, come a dire che questa spinta deve completare l’altra, deve colmarne il vuoto.
Speaker. Una volta a un rabbino molto saggio venne chiesto: “Cos’è l’amore?”. Lui chiuse gli occhi e lentamente mormorò: “L’amore è agitazione”. E dopo aver esitato aggiunse: “È l’agitazione del Creatore che si agita per ciascuno di noi, dentro ognuno di noi”. (ibid.)
Queste parole provengono dallo Speaker, una voce privilegiata, incorporea, del creatore, dell’autore – e questo è già indicativo di un desiderio di segnalare la propria presenza al pubblico; è singolare che l’associazione affatto scontata, anzi piuttosto insolita, di amore e agitazione, provenga poi da un’autrice, da una creatrice: Ulla. Sottilissimo gioco di specchi. Come sostiene Fausto Malcovati, “In principio c’era l’autore, presso l’autore c’era il testo, il testo era l’autore […]. L’autore c’è sempre. Per sgomberare il campo a qualsiasi finzione. Interviene, reclama un ruolo egemone dello spettacolo […]” (p. 13). Vyrypaev si ritaglia uno spazio, anzi marca il territorio; fa vedere, insomma, pubblicamente chi comanda, chi detta le regole. Padrone assoluto dell’azione, la gestisce dall’interno e dall’esterno (come Prospero nella Tempesta, e con lui il suo autore). “Saltano tutte le strutture, la scrittura barcolla, i personaggi prima sono i personaggi, poi, con dissolvenze fulminee, diventano l’autore, poi tornano personaggi”, prosegue Malcovati (p. 11). Sono attimi: appare, si mostra, scompare; e lascia parlare i suoi personaggi, lascia parlare “noi, noi come siamo. Noi con il nostro caos interiore, la nostra baraonda esistenziale, il nostro guazzabuglio nascosto, le nostre impronunciabili pulsioni” (ibid.). Sei proprio tu, Fëdor Michajlovič?
Il motivo per cui Ulla introduce questo discorso, il motivo per cui ha acconsentito a rilasciare quest’intervista è una dichiarazione sconcertante: Milo, il ragazzo serbo che precipitò dalla finestra mentre era a casa di Ulla, in realtà sarebbe stato spinto da quest’ultima in circostanze che Ulla stessa non rende molto chiare. Tutti sono increduli, vogliono sperare sia l’alcol a spingere assurde parole fuori dalla bocca di Ulla. In preda all’agitazione, come non manca di ribadire (p. 234), non fa che tenere tutti i presenti in agitazione, e non perché, a causa del suo carattere eccentrico, non è in grado di farsi prendere sul serio: ma perché nessuno, a parte lei, è in grado di cambiare prospettiva, di vedere le cose come Milo che, sporgendosi dalla finestra e guardando in basso, dice “In fondo c’è la vetta” (ibid.), di pensarsi altrimenti.
Ulla. […] Tutto questo sono parole. Io è una parola. Un’opera d’arte. E l’opera d’arte è quello che provate in questo preciso istante. Proprio adesso. È così che emerge l’Autore. Il Creatore! L’arte è agitazione che prova il Creatore mentre crea, in ogni istante e in ogni parte di questo strano universo – e dentro ciascuno di noi. Io volo. (p. 236)
Quelle adottate da Vyrypaev sono strategie drammatiche e sceniche inconsuete, esuberanti, presentate in una veste che sorprende, destabilizza, cattura, calamita; che contribuiscono a fare di lui “il più importante autore teatrale russo del ventunesimo secolo” (p. 11). Il suo approccio alla scrittura, racconta ancora Teodoro Bonci del Bene, è un modo “che forse si può definire, da un qualche punto di vista, tecnico; impiega molto tempo a scrivere un testo, e ogni parola è finemente cesellata. Ma soprattutto sono finemente cesellati i personaggi e le geometrie che li legano”. Come spettatrici e spettatori dovremmo immaginarci come in una stanza dei giochi, con una panoplia di distrazioni messe lì apposta dall’autore per i bambini – gli spettatori. Conoscendo il ventaglio a disposizione, siamo in grado di trovare il gioco più adatto a ciascuna e ciascuno di noi. Lo scopo del gioco? Provare l’agitazione. Esperire arte e amore. Vivere un’esperienza creativa che dia modo di interrogarsi su se stessi, di parlare d’altro – sinceramente. Partecipare, anche, all’atto creativo. Capovolgere la nostra prospettiva. Cadere all’insù. Essere nell’eternità.
Bibliografia:
Ivan Vyrypaev, Teatro, a cura di Fausto Malcovati e Teodoro Bonci del Bene, Imola, Cue Press, 2019.
Sitografia:
I testi integrali delle opere di Ivan Vyrypaev sono disponibili in lingua russa (e, in traduzione, in alcune altre lingue) a questo indirizzo: https://vyrypaev.com. Un buon numero di testi in lingua italiana, tradotti da Teodoro Bonci del Bene, è disponibile nel volume da lui curato insieme a Fausto Malcovati e pubblicato da Cue Press, per cui rimandiamo alla Bibliografia.
L’intervento di Angélica Liddell posto in esergo al contributo è tratto dall’articolo “Il toro non può salvarsi. Il teatro è tauromachia” di Laura Zangarini, apparso sul supplemento La Lettura del Corriere della Sera il 10 aprile 2022.
Apparato iconografico:
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