Una geografia della sessualità. Essere gay a Brno negli anni ‘90

Alice Greco

 

Nel 1998 l’allora studentessa Kateřina Nedbálková pubblica la sua tesi di laurea, Subkultura homosexuálů v Brně (“La subcultura omosessuale a Brno”), sotto la guida dellə sociologə Csaba Szaló. Il suo lavoro offre una prima panoramica sul contesto gay e lesbico dell’epoca nel capoluogo moravo nonché seconda città più grande in Repubblica ceca. La tesi risulta interessante per diversi motivi: riguarda un ambito all’epoca ancora poco ricercato, calato in un contesto a lei molto vicino e con intenti dichiaratamente semplici – se è permesso parlare di subcultura, allora che sia lei stessa a parlare di sé, senza definirla in un modo o nell’altro, ma partendo da singoli individui che ci vivono a stretto contatto. Nedbálková si muove nei luoghi da essa prescelti – i bar gay, la discoteca, i bagni pubblici e l’università – e così facendo aiuta a delineare Brno nella sua vitalità e complessità, rompendo gli schemi di una narrazione che la vorrebbe più conservatrice – soprattutto rispetto alla capitale Praga – e ponendola come imprescindibile riferimento per pensare la vita LGBTQ+ in Repubblica ceca. Dopo più di vent’anni dalla sua ricerca, dallo studio dell’oggi professoressa di Sociologia dell’Università Masaryk di Brno, questa intervista si propone di sondare cos’è cambiato o cosa si percepisce cambiato, ma in primis di restituire un’immagine generale di un contesto forse sconosciuto ai più.

AG: Lei ha lavorato e pubblicato la sua tesi magistrale tra il 1996 e il 1998 e, come anche afferma nel capitolo introduttivo, al tempo riteneva questa fosse una ricerca necessaria, con il dibattito pubblico che esprimeva sempre maggiore interesse per l’argomento e la poca letteratura che ne riconoscesse la complessità. Ciò che oggi chiamiamo gender studies e queer theory faticano ancora oggi ad affermarsi come aree di studio in campo accademico in Europa, forse perché non si riesce a vedere la loro connessione non solo ad altre aree di studio, ma anche a questioni di vita vera. Qual è stata l’atmosfera nel mondo accademico ceco quando ha concepito il suo lavoro per la prima volta? Come è stato influenzato da essa in termini strutturali e metodologici?

KN: Penso all’epoca ci fosse un’atmosfera aperta, [questo ambito] veniva in qualche modo percepito come un qualcosa di cui non si sapeva molto, e che si dovesse fare ricerca, ma penso anche fosse percepito qualcosa di periferico, marginale, che si trattasse di persone strane che meritavano di essere in qualche modo descritte – ero una studentessa quando facevo questa ricerca, il mio inglese era limitato, la mia preparazione teorica era limitata, quindi mi sono trovata sul versante descrittivo, ho pensato di voler descrivere come la subcultura gay e lesbica sembrasse prima, com’era cambiata nel corso degli anni ‘90, questo era il mio obbiettivo, era molto semplice in termini teorici e anche metodologici.

È qualcosa che per me è sempre presente, che la mia ricerca sia basata sul parlare con le persone e sull’osservazione – essere parte di un certo ambiente, descrivere ciò che vedo, il modo in cui le persone percepiscono l’ambiente, come interagiscono tra loro.

Direi che all’inizio c’era molto più supporto per i gender studies. Abbiamo aperto un corso nel 2004, il sostegno era forte, c’era la possibilità di ricevere agevolazioni e alcunə professorə più anzianə ci incoraggiavano ad aprirlo insieme ad Antropologia sociale, ce n’era il bisogno perché sì, c’erano corsi universitari tradizionali, ma in America c’erano altri corsi scientifici che potremmo prendere in considerazione anche qui, quindi abbiamo aperto Gender studies. E ha funzionato, ma era ovvio che per molte persone fosse un campo problematico e ci si interrogava sulla sua natura, se fosse davvero scienza o si trattasse di attivismo, quindi è stato chiuso intorno al 2018. Dopo quattordici anni di attività ha chiuso, mentre Antropologia sociale è ancora in funzione. La ragione ufficiale era economica, non avendo moltə studentə, ma abbiamo sempre saputo che sarebbe stato un corso piccolo, che si sarebbe trattato di dozzine di studentə, non centinaia, ma con il passare degli anni ho captato voci sempre più forti contro il corso, e non credo sia una cosa specifica della Repubblica ceca, una situazione simile si può trovare in Ungheria, in Romania, dove è stata approvata una legge che non permette di parlare di questioni di genere, quindi è una deriva generale che il discorso sul genere venga contorto con discorsi di ideologia gender o, come alcune persone dicono, di genderismo, che non hanno senso. Per alcunə è uno strumento per screditare un certo tipo di conoscenza.

AG: Per lei si potrebbe dire che in passato ci fosse più curiosità, o una volontà più sincera di parlarne rispetto ad adesso?

KN: Probabilmente. Lei ha detto che è una questione connessa a problematiche di vita, e io penso che all’inizio fosse come ho già detto una questione marginale e che meritasse attenzione, ma adesso le persone sono ‘forzate’ o incoraggiate a notare che è più o meno ovunque e che è una cosa connessa a questioni di genere che riguardano tutti, non solo qualche persona strana, e alcune persone non vogliono sentirne parlare. Adesso non si tratta più solo di omosessualità, ma anche di non binary e così via, e ciò spaventa alcune persone.

AG: Lei ha detto che l’università ha guardato all’America come modello d’ispirazione per strutturare un corso di gender studies. Ciò che oggi chiamiamo Repubblica ceca ha attraversato una serie di passaggi anche dolorosi per arrivare dov’è adesso. Il paese in sé è ancora molto giovane, ma è comunque un’area che ha conosciuto forti turbolenze sotto ogni aspetto, specialmente nell’ultimo secolo, il ché l’ha reso un paese con un background culturale piuttosto unico. Molte aree in Europa centrale si rivedono in questa situazione a livello generale, e la risposta che la loro rispettiva Grande Storia ha contribuito a creare rispetto alle “piccole storie” varia immensamente. In quanto sociologa che ha scritto di un argomento che ha conosciuto la sua grande esplosione nel mondo occidentale – pensando alle scuole di Chicago e Birmingham, ma anche ad altre figure interessate alla sessualità, come Butler o Foucault. Quali limiti pensa questi approcci possano avere, se ne hanno, nel capire gli studi queer in Europa centrale e in Repubblica ceca in particolare?

KN: Avrei dei problemi a definire alcune teorie come occidentali o orientali, anche se ne capisco il perché, penso che nella mia ricerca mi piaccia usare vari tipi di teorie e concetti, ma che si debba sempre in qualche modo appropriarsene a seconda dei propri bisogni, e di solito lavoro con concetti che non hanno una definizione definita. Lo insegno anche allə miə studentə, non esistono definizioni, si legge qualcosa, se ne viene ispirati e lo si usa, lo si trasforma.

Butler e Foucault possono essere utili a tutti, più tardi ho scoperto la sociologa Yvette Tyler, che presta attenzione alla differenza di classe e specialmente alla subcultura lesbica, descrivendo come le lesbiche della classe operaia non si sentono a proprio agio in alcuni posti, perché essi sono più eleganti, più da classe media, e loro verrebbero messe in ridicolo per come si presentano, per i vestiti che indossano, e penso sia una cosa che non viene troppo ricercata. Quindi per alcune lezioni ho rivisto la mia ricerca da una prospettiva di classe.

Successivamente, per un’altra ricerca che ho condotto intorno al 2010 riguardo le famiglie lesbiche, io e alcunə psicologə abbiamo intervistato delle coppie della classe media, che era più facile trovare perché si conoscevano tra di loro, ci indirizzavano ad altre coppie – penso ci siano anche coppie o madri di classe operaia, ma sono più difficili da contattare, quindi ci sono stati dei limiti alla nostra ricerca. Anche la tesi di Tyler sul carattere cosmopolita della subcultura, per cui i gay e le lesbiche ed altri individui vogliono essere presentati in quanto adatti ad ogni contesto, adatti a vivere in ogni grande città e fare uso dei café o di qualsiasi luogo la città offra, il ché va bene per persone appartenenti a certe classi, mentre altre ne vengono escluse.

La discussione riguarda il fatto che sia vero o meno che la classe operaia abbia dello sdegno nei confronti dell’omosessualità. Ho letto un articolo in ambito inglese o americano, in cui alcuni uomini gay venivano intervistati proprio riguardo il loro essere gay, ma anche riguardo la loro classe, e per loro era più problematico avere una connessione con la classe da cui provenivano, alcuni di loro dicevano che la propria omosessualità fosse uno strumento di mobilità sociale. Essendo originariamente di classe operaia, ma facendo parte della subcultura gay, della scena gay, vanno in alcuni posti e ciò li eleva – lə loro amicə, i posti che frequentano li fanno sentire di classe media.

AG: Oggigiorno si potrebbe dire che quella omosessuale non sia più una subcultura rispetto al passato, si è detto che oggi l’omosessualità è riscontrabile in maniera più aperta. Molte persone sono più consce della sua esistenza nei media mainstream, anche dato il fatto che molte corporazioni sostengono apertamente le cause per i diritti LGBTQ+. Si potrebbe dire che ciò che prima era subcultura oggi è parte della cultura, ma anche che alcuni posti e situazioni in linea con questa percezione siano esclusivi, che è difficile certe volte connettere le questioni di classe e quelle LGBTQ+ senza cadere in un’esclusione delle persone che hanno origini più povere. Non tuttə la pensano così, ma le persone che vogliono essere percepite come integrate nella società a volte sì.

KN: C’è un giovane politico ceco [Si tratta dell’ex leader del Partito dei Verdi, Matěj Stropnický. Lascia il partito per avvicinarsi al ČSSD, partito di sinistra moderata. L’intervista a riguardo al settimanale di politica Reflex, rilasciata dopo aver lasciato il partito nel 2020, titola: Češi si nemohli odpustit dovolenou, jsou rozmazlení. Levice má řešit problémy lidí, ne sňatky gayů (“I cechi non hanno potuto fare a meno delle vacanze, sono viziati. La sinistra si deve occupare dei problemi delle persone, non dei matrimoni gay”, 31 agosto 2020) N.d.C.]  che in passato faceva parte del Partito dei Verdi, e ora rappresenta il Partito Socialdemocratico. Al momento spinge per la questione di classe e vuole parlare per le persone comuni sottopagate – è dichiaratamente gay e vive con lə suə partner. Lə attivistə gay hanno chiesto il suo appoggio per la questione del matrimonio gay, non l’unione registrata, ma ha rifiutato dicendo che la sua priorità fossero le questioni di classe e di disuguaglianza economica e che il matrimonio potesse aspettare.

 

AG: La percezione di alcunə è che il matrimonio sia una preoccupazione di fasce di società più privilegiate, un’altra argomentazione è che sebbene si debba spingere per il matrimonio ci siano problemi più grandi nella società associati all’essere gay, bi, trans.

KN: Alcuni gay e lesbiche sostengono sia uno strumento oppressivo. Privilegia le coppie e il potenziale sovversivo dell’essere gay e lesbiche viene annullato ancorandosi a questa istituzione oppressiva. Conosco questo punto di vista in teoria, ma non conosco attivistə cechə che lo sostengono concretamente. Dall’altro lato esiste una campagna chiamata Jsme fér (“Siamo equi”) che spinge per il matrimonio gay e lo vede come lo strumento principale per raggiungere l’equità.

Anche il genere gioca un ruolo in questo. Quando si parlava per la prima volta di matrimonio gay in parlamento, le lesbiche con cui ero a contatto insistevano nell’includere anche i diritti genitoriali, mentre gli uomini no, magari più tardi, ma a piccoli passi sennò non sarebbe potuta passare avanti. Alla fine non ha fatto parte della proposta e alcunə politicə dicevano, “avevate promesso di non volerli, e adesso li volete”. È interessante come alcune persone abbiano quest’immagine dell’attivismo o della comunità gay come una base solida ed unitaria, che ha promesso una cosa e che non cambierà mai idea. Ma l’attivismo cambia ed è cambiato molto. C’era un attore molto conosciuto [Si tratta di Jiří Hromada. Oltre ad essere un attore prolifico e attivista, è stato per un periodo (1992-1997) redattore capo di un’importante rivista ceca a tema LGBTQ+, “Soho revue“ N.d.C.], ora è più anziano, conosciuto anche perché ha una bella voce che è stata molto usata nel dubbing, ed ha aiutato a formare un movimento negli anni Novanta. Ricordo di averlo visto al primo pride, ha parlato e si è commosso per la quantità di gente.

Alcune persone eterosessuali, ma anche da dentro la comunità, hanno opinioni forti riguardo il pride, sul sentirsi a proprio agio lì o nel non avere nessun interesse ad andarci. Riguarda la copertura mediatica, che si concentra sempre sulle persone mezze nude. Ricordo il primo pride a Brno, è stato molto strano, ci si aspettavano proteste a sfavore quindi c’era molta polizia, non c’erano altre persone in strada e alcunə pensavano questa fosse una cosa potente, più tardi al primo pride di Praga, che è stato molto più grande, fu molto bello. Ma l’anno successivo è diventato ancora più grande, commerciale.

Il primo pride doveva essere sia un atto politico che un atto divertente, ma la parte del divertimento era un po’ trattenuta dalla presenza della polizia, il che non fu molto bello, ma d’altronde nessunə sapeva cosa aspettarsi. Più tardi a Praga c’è stata una discussione che ha creato molte liti, riguardo ad un’associazione di pedofilə e se fosse possibile per loro marciare al pride. Un mio collega conduceva una ricerca sulla pedofilia, e alla marcia a Praga è stato arrestato per un paio d’ore, per aver marciato accanto a delle persone che avevano degli striscioni a riguardo. Ho pensato fosse molto coraggioso essere presenti da parte loro, perché si tratta di persone che accettano di avere tendenze che non possono mettere in atto, ma è qualcosa di cui si deve parlare, perché cercare di sopprimerle porta all’abuso, ma se è qualcosa di cui si può parlare diventa qualcosa che si può controllare.

Dall’altro canto, alcunə giovanə non vogliono essere organizzati, sono apolitici.

AG: Quando ha iniziato il suo lavoro nel 1996, la Repubblica ceca esisteva da soli tre anni. La caduta del Muro di Berlino ha significato anche la fine della presa che il regime aveva su molti aspetti della vita di tutti i giorni, ma la situazione con l’omosessualità era un po’ più complicata dall’inizio. Il rapporto omosessuale era stato decriminalizzato all’inizio degli anni ‘60, ma l’omosessualità in sé è rimasta un motivo di preoccupazione sia per il resto della società che per l’autorità fino alla caduta del regime. All’epoca della sua ricerca molti degli intervistati avevano assistito al crollo del Muro e alla successiva nascita di una nuova realtà, che fossero relativamente piccoli o adulti cresciuti. Il cambiamento provocato non fu solo nello stile di vita, ma anche nel modo di pensare. Cosa ha significato per la subcultura? Cos’è cambiato nell’atteggiamento della comunità, ma anche – cos’è cambiato nell’atteggiamento nei suoi confronti?

KN: La comunità è cambiata molto. È interessante anche la parola ‘comunità’, quando all’epoca – ma anche adesso – cercavo di capire se i partecipanti si sentissero parte di una comunità dicevano sempre di no. La comunità forse sono lə attivistə che vogliono il matrimonio gay, ma non loro. Anche se si incontravano con altrə amicə gay in appartamenti privati, o nei bar, non gli piaceva considerarsi una comunità. La comunità è connessa all’attivismo, e ad alcunə di loro non piace, specialmente a quellə più grandə.

Nella mia esperienza personale, negli anni ‘90 ci incontravamo in appartamenti privati, c’era un certo carattere underground, tutto era nuovo, ero stupita dal fatto che ci fossero persone che non si vergognavano di chiamarsi omosessuali. Negli anni successivi ho organizzato un gruppo per i ragazzi e per le lesbiche, e sono venute molte persone, erano felici di incontrarsi faccia a faccia, mentre adesso, forse perché sono molto più grande quindi non so bene come funziona davvero, in qualche modo penso si sia persa un po’ questa cosa, perché le persone possono incontrarsi online e usare le applicazioni. Prima c’erano i bar, c’era anche un posto in centro dove ogni venerdì ci si incontrava, penso che adesso si faccia più in maniera individuale, per appuntamenti.

AG: Una cosa curiosa della sua ricerca è che ha indicato il fatto che molti spazi della comunità fossero pensati di più per la comunità gay maschile, anche e molto esplicitamente dal punto di vista sessuale. La percezione era che gli uomini gay fossero interessati al sesso, mentre le donne lesbiche…? Le lesbiche non sono necessariamente meno sessuali degli uomini gay, ma in più contesti l’omosessualità maschile è più sessualmente esplicita di quella femminile.

KN: All’epoca sentivo come se le lesbiche accettassero la propria marginalità, negli anni sono stati aperti alcuni bar lesbici, ma hanno chiuso sempre velocemente. Quando sono stata a San Francisco con il Programma Fulbright nel 2013 c’era un unico bar per lesbiche che poi ha chiuso, perché lə proprietariə lo voleva affittare ad un prezzo più alto o venderlo o qualcosa del genere, le persone erano sorprese di questo, che a San Francisco ci fosse un solo bar per lesbiche. Nella mia prospettiva rientra nello stereotipo dei gay sessuali e delle lesbiche asessuali, ricordo incontri in cui le lesbiche si leggevano poesie a vicenda, ma ricordo anche che gli uomini organizzassero escursioni e cose simili, quindi potrei ribaltare questa narrativa.

Sono stata sorpresa di scoprire che le donne all’epoca si incontravano a convegni di sessuologia organizzati da medici in ospedali, questo era uno dei modi. Non esistevano molti libri, uno di quelli che era stato tradotto era Il pozzo della solitudine [Hall Radclyffe, The Well of Loneliness, 1928 N.d.C.], un romanzo storico che veniva utilizzato prima dell’89, quando mettevano degli annunci. Negli anni ‘90 si potevano trovare sezioni con ‘donne che cercano donne’, ma prima non era possibile quindi si scriveva ‘cerco un’amica per una vacanza’, e alla fine degli annunci c’era sempre una frase che riassumeva il tutto, e in questo caso veniva usato il titolo del libro, e le persone avrebbero saputo cosa significava.

AG: Praga è certamente la città più famosa della Repubblica ceca, quindi molti tenderebbero a pensare che tutta la vita culturale si concentri lì. E mentre da un lato, essendo la capitale, rappresenta il centro di molte cose, dall’altro Brno offre la possibilità di essere una cartina al tornasole diversa per gli studi queer – questa era anche la premessa del suo lavoro all’epoca. Come lei ha scritto tanti anni fa, Brno è abbastanza piccola da non offrire l’anonimato completo, ma anche abbastanza grande da permettere dinamiche più complesse. Brno è stata la prima città a tenere una marcia nel 2008 – ben tre anni prima della prima marcia a Praga –, è sede dell’associazione studentesca STUD e offre molte attività dedicate alla sua popolazione LGBTQ+. Se si dovesse fare un confronto, in che modo pensa che si assomiglino o differiscano come città da questo punto di vista?

KN: Se c’è o c’era una comunità gay e lesbica, è più concentrata a Praga, Brno e direi Olomouc. In città più grandi, oltre ciò da nessun’altra parte. Facevo parte di un’associazione, STUD – il nome gioca sulla parola inglese stud [Slang coniato dalla comunità lesbica afroamericana che indica una lesbica da atteggiamento e stile considerati mascolini N.d.C.] e la parola ceca stud, ‘imbarazzo, vergogna, timidezza’. In questa organizzazione avevamo una lista di altre organizzazioni in Repubblica ceca, ufficialmente si trattava di qualche dozzina, ma nessun altro era attivo. Penso che qualche tempo fa Brno fosse un po’ più avanzata, il festival Mezipatra (‘mezzanino’) [Si tratta di un festival di cinema internazionale a tematica LGBTQ+ N.d.C.] che poi è diventato abbastanza famoso è iniziato qui, Brno era la sua sede principale all’inizio, poi lentamente è diventata Praga. Si posta pure verso Brno e altre città, ma si svolge principalmente a Praga adesso. Poi ho sempre avuto la sensazione che dato che Brno è più piccola le persone apprezzino di più gli eventi che vengono organizzati.

Ricordo che alcuni anni fa abbiamo ricevuto unə attivista transgender in visita, sono venute 40-50 persone, era stupitə e ha detto che questo non era mai successo a Praga, lì succedono molte cose e si presentano in pochə. Al festival quest’anno c’è stata una discussione su omosessualità e Chiesa, e sono venute centinaia di persone – è successo durante il Covid quindi c’erano delle restrizioni, l’hanno fatto in un luogo piccolo, ma era completamente pieno, hanno dovuto mandare a casa delle persone, e sono intervenutə un prete dalla Slovacchia, un prete ceco e diverse persone che si identificano come cristianə ma anche come omosessualə. È stato molto bello.

A Praga ci sono organizzazioni un po’ più commerciali, c’è un gruppo che si occupa delle persone LGBTQ+ nel mondo degli affari e del business, fortemente connesso alla campagna Jsme fér. I membri di questa campagna tengono molto a presentarsi bene, l’enfasi è su come le persone si presentano, è tutto molto più severo adesso.

Ricordo un film uscito qualche anno fa, sulla lotta politica, basato sulle storie dellə attivistə. In una scena, per la campagna elettorale dovevano apparire in TV delle persone reali, presentate bene, come per dire ‘ecco, sono proprio come voi’, quindi prima di andare in onda indicavano loro quali fossero i possibili argomenti, come si dovevano comportare, ad una coppia lesbica hanno anche detto ‘cercate di indossare qualcosa di più femminile, sì?’. Per me è brutto che alla prima occasione si cerchi di disciplinare il modo di vestire, e ho provato a scrivere allə attivistə, ma ho trovato che il punto non è stato colto, mi hanno spiegato che diverse agenzie avevano consigliato loro di concentrarsi su questo. Alcune parti della comunità adesso sembrano un po’ normative.

2 giugno 2022

 

 

Apparato iconografico:

Immagine di copertina e Immagine 1: https://www.ustrcr.cz/konference/moznosti-a-perspektivy-interdisciplinarniho-zkoumani-dejin-vezenstvi/