Eleonora Smania
Durante il periodo di fioritura culturale e artistica rappresentata dal Secolo d’Argento, autrici come Anna Achmatova, Elena Guro, Marina Cvetaeva e Zinaida Gippius occuparono un ruolo centrale nella poesia russa. Aspetto particolarmente interessante da notare nella produzione poetica delle scrittrici di questa epoca è l’utilizzo di un io poetico femminile, contrapposto all’io poetico maschile comunemente diffuso nella tradizione poetica russa e convenzionalmente considerato come prospettiva universale. La creazione di un io poetico diverso da quello della letteratura prodotta dagli uomini mirava a veicolare un modello di femminilità; in alcuni casi le poetesse moderniste si servivano dell’io poetico al maschile per sovvertire dei topoi precisi della tradizione poetica incentrati sulla narrazione dell’amore e dell’intimità, sia eteronormativa che non (vedasi Zinaida Gippius). Tale nuova immagine appariva più aggressiva, dotata di una forte volontà e decisa a soddisfare i propri desideri, compresi quelli di natura sessuale. Oltre a queste caratteristiche, l’io poetico femminile tendeva ad essere rappresentato in un rapporto di interconnessione con le forze naturali, marito delle dottrine orientali fortemente ispirati agli antichi culti pagani legati alla figura della Mat’-Zyra Zemlja. Naturalmente la donna concepita dalle poetesse moderniste divergeva fortemente dalla rappresentazione della femminilità nella letteratura composta dagli uomini, dove la donna appariva come controparte perfetta, pura e superiore ma poco approfondita psicologicamente rispetto ai complessi protagonisti maschili presenti sia nelle produzioni poetiche, che quelle in prosa. La commovente nobiltà di spirito, la mancanza di una vera e propria agenzia all’interno della narrazione e la dedizione all’amore e al dovere furono elementi caratteristici dei personaggi letterari femminili che vennero sovvertiti e rivisitati nella poesia modernista femminile, la quale si dedicò ad esprimere nella maniera più potente, diretta e trasparente l’interiorità della nuova donna alla soglia di una nuova epoca culturale. Tra le poetesse che diedero un importante contributo nella narrazione dell’interiorità femminile in ambito poetico si riconosce Sofija Parnok, conosciuta con l’appellativo di “Saffo russa” e diventata recentemente oggetto di un processo di riscoperta tra diversi studiosi.
Sofija Jakovlevna Parnoch — la quale cambierà il cognome in Parnok — nacque nel 1885 in una famiglia ebrea a Taganrog, città natale di Anton Čechov e ambiente particolarmente cosmopolita. Mai riconosciutasi nelle correnti letterarie e artistiche del tempo, Sofija Parnok fu una poetessa prolifica che pubblicò diverse raccolte poetiche, come Stichotvorenija (“Raccolta di poesie”), Loza (“La vite”), Muzyka (“Musica”) e Vpolgolosa (“Sottovoce”). Inoltre, vale la pena menzionare i due cicli di poesie dedicati all’ultimo grande amore della poetessa Nina Vedeneeva, Bol’šaja medvedica (“L’orsa maggiore”) e Nenužnoe dobro (“Bene inutile”), che rimasero inediti. Fu inoltre traduttrice, prosatrice, critica letteraria e scrittrice di pièces e libretti d’opera; di gran successo fu l’opera musicale di Aleksandr Afanas’evič Spendjarov Almast, per la quale la poetessa preparò il libretto.
Per tutta la durata della sua carriera artistica, Sofija Jakovlevna non nascose mai la sua omosessualità. Fin da sempre insofferente alla visione patriarcale della vita che aveva il padre, deludeva costantemente le sue aspettative di una vita convenzionale, apparendo ai suoi occhi come una ragazza stramba e dai gusti “fuori dal normale”. Persino al di fuori della sua cerchia familiare non fece mai mistero della sua omosessualità, rendendola nota ad amici, amanti e colleghi del circolo letterario moscovita dove fu molto attiva sia prima che in seguito alla Rivoluzione russa. Tale sicurezza nella propria unicità si rifletteva naturalmente nella sua poesia. Ciò che sorprende è il coraggio mostrato dall’artista nel pubblicare componimenti percepiti dal pubblico come “problematici”, considerando il fatto che lei non avesse privilegi di alcuna sorta che le permettessero di comporre in piena libertà: non era particolarmente ricca, non discendeva da un’importante famiglia e, soprattutto, non era una figura intellettuale così prestigiosa da poter causare scandali senza incorrere in gravi conseguenze per la sua carriera artistica. Nonostante la mancanza di qualsivoglia protezione, le critiche inerenti alle sue “devianze sessuali” e la spietata censura sovietica, che non le permise più di pubblicare le sue poesie a partire dal 1928, Sofija Parnok non smise mai di approfondire il tema dell’amore tra donne – sia erotico che platonico – dai primi componimenti fino alle ultime raccolte. Tra i diversi meriti conferiti alla poetessa russa si riconosce la sua capacità di introdurre per la prima volta nel panorama letterario russo – e, in senso più ampio, in quello della letteratura occidentale – un io poetico saffico, tramite il quale narrare una vasta varietà di esperienze d’amore e attrazione tra donne, approfondendone sia la realtà emotiva che politica e confrontando le possibilità di azione con le limitazioni sociali imposte – implicitamente ed esplicitamente – alle donne che amavano altre donne. Le raccolte poetiche di Parnok operavano una vera e propria esplorazione della natura femminile, confrontando le diverse identità ricoperte dalla donna: nonna, madre, figlia, sorella, amica e amante.
La produzione poetica di Sofija Parnok rappresenta il viaggio di realizzazione, accettazione e autoaffermazione della propria condizione di individuo isolato ed estraneo dalla società. La poetessa era consapevole di vivere in una realtà che non prestava attenzione alla sua voce: persino durante gli anni Venti del Novecento, caratterizzati da una marcata libertà sessuale, le relazioni omossessuali tra donne non venivano viste di buon occhio. Questa condizione di estraneità e di impossibilità nel trovare un luogo d’appartenenza vissuta in prima persona da Parnok ricorse in tutte le sue fasi di produzione poetica nella forma del leitmotiv dell’orfana e della vagabonda, andando a scandire il venire a patti con tale condizione ineluttabile. L’accettazione della propria “orfanità” non fu tuttavia interpretata da Parnok come gesto di rassegnazione ma anzi, come elemento necessario per la sua vocazione poetica. Tale realizzazione si rivela inoltre importante, in quanto costituisce un momento di realizzazione della propria diversità e un passo importante verso l’autoaffermazione di un’identità femminile più selvaggia, indomita e libera dagli schemi del pensiero patriarcale. Un altro leitmotiv presente nella produzione parnokiana è la presenza degli elementi naturali, atti a descrivere la dimensione emotiva e creativa dell’io poetico.
“I miei giorni primordiali
Hai come resuscitato, o primavera.
Sogno sogni leggeri,
Guardo l’orizzonte da bambina.
Qualcuno s’era inventato i miei affanni,
Che il mio cammino era irto di spine.
Ma non vedo io nel pioppo le stesse
Foglie bicolori dell’infanzia?
Forse scottavano e carezzavan di più
I raggi del primo sole?
Non cantan in me le stesse voci,
«acquisisci» e prodiga?
A Dio voi, versi miei, riferite
Che, vivendo di lui solo,
Da un sì cheto pascolo
La mia anima non è fuggita.” (p. 31)
Come si può notare nel componimento sopracitato, gli elementi naturali come l’acqua, il vento, la terra, il sole, gli alberi e il fuoco costituiscono una costante nei cicli poetici parnokiani e fungono sia da specchio per il mondo interiore, che espressione emotiva dell’io poetico. L’interconnessione tra gli elementi naturali e l’io poetico presenta un’ambivalenza intrinseca, in quanto essa può essere interpretata sia come passaggio essenziale del processo creativo vissuto dalla poetessa – dall’ispirazione poetica tratta dalla Natura al compimento finale dell’azione creativa –, sia come metafora dell’interazione amorosa tra l’io poetico e l’amata – dal ricevere amore all’esprimerlo.
La rilettura del concetto di femminile avveniva attraverso l’esplorazione di tutti i rapporti d’amore tra donne. Sofija Parnok descriveva non solo l’eros saffico, ma anche l’amore materno, il legame di sorellanza – sia biologica che spirituale –, l’amicizia e l’amore romantico, non limitandosi a raccontare le esperienze vissute in prima persona. Un altro strumento utilizzato per la rilettura dell’identità e dell’esperienza femminile fu senz’altro l’introduzione di figure femminili religiose e mitologiche celebri nella religione ebraica e ortodossa e rivisitate. Ciò che infatti salta all’occhio di chi legge le poesie di Parnok è come questi personaggi, conosciuti e codificati secondo una visione estremamente androcentrica nella letteratura e poesia russa, vengano rielaborati in maniera così originale da apparire controversi agli occhi del pubblico del tempo. Si può prendere come esempio l’immagine della Madonna con Gesù bambino convenzionalmente associata all’immagine della maternità nel suo aspetto più puro e nobile e come testimonianza del volere di Dio: nella poesia di Parnok è possibile individuare degli elementi atti a decostruire e mettere in discussione l’immagine della Madonna alla quale si è sempre stati abituati.
“Si è risvegliato il getto di fuoco
nell’anima come in un cratere spento.
E di nuovo prego la Madre di Dio,
appellandomi alla Sua bontà di donna:
«Copri, proteggi il mio bambino,
alleva sotto il Tuo manto salvifico
la mia pena più
dolce, più crudele!»” (p. 109)
Nella poesia sopracitata, l’io poetico invoca la Madonna, confidando in una sua intercessione. Incuriosisce l’enfasi posta dalla poetessa sulla natura femminile della Madonna e sul suo potere di generare la vita e preservarla. Viene escluso invece il riferimento al miracolo del concepimento della Vergine Maria, dando vita a un’immagine molto diversa della Madre di Dio, la quale appare in questo componimento come una figura divina, la cui forza genitrice è completamente indipendente da Dio. Il sovvertimento della figura della Madonna consiste proprio nel conferire maggiore centralità alla natura femminile, legata indissolubilmente al potere creativo. Altro passo compiuto da Parnok per sovvertire la figura della Madonna e slegarla dall’immaginario vetusto e convenzionale è l’associazione dell’amore della Madre di Dio per il figlio con quello tra l’amata e l’io poetico. La Madonna non è l’unica figura religiosa e mitologica soggetta al processo di rielaborazione attuato da Parnok. Persino il mito di Adamo ed Eva fu completamente rivisto nella produzione parnokiana, precisamente nei due ultimi cicli – L’orsa maggiore e Bene inutile. L’immagine di Eva, percepita e interpretata nella letteratura androcentrica come l’incarnazione della seduzione fatale, appare nella tarda produzione parnokiana come primordiale genitrice della folle stirpe dei poeti-amanti, discendenti da Caino. È interessante notare come la poetessa abbia volutamente evidenziato e reso centrale il ruolo di procreatrice nella descrizione di Eva come precedentemente avvenuto con la figura della Madonna, indicando un legame tra la natura femminile e il potere di generare la vita da sé, senza l’ausilio della controparte maschile. Oltre a questo, la figura di Eva costituiva la rappresentazione dell’amata, che incarna un eros saffico più maturo. La Eva sensuale e tentatrice descritta nella Genesi si trasforma in una “Musa Canuta” (“Sedaja Muza”) che ispira l’io poetico sia nei momenti di idillio che nei momenti più duri.
Appare quindi molto più comprensibile il ruolo cruciale ricoperto da Sofija Parnok nel panorama poetico russo: la narrazione abituale di personaggi mitologici come la Madonna ed Eva, rappresentati per secoli attraverso una chiara e rigida prospettiva patriarcale, viene totalmente stravolta e ricostruita attraverso una nuova ottica, la quale segue una sola spiritualità, slegata da qualsiasi religione e fortemente connessa con le forze primordiali della Natura.
Attraverso la commistione di esperienze sull’amore tra donne non esclusivamente a carattere autobiografico, i riferimenti ai legami tra l’interiorità dell’io poetico e la potenza degli elementi naturali, nonché il sovvertimento di rappresentazioni e interpretazioni vetuste di personaggi femminili come Eva e la Madonna, Sofija Parnok contribuì per prima alla formazione e creazione di un nuovo modello universale incarnato dalla donna. La sua condizione di donna lesbica emarginata dalla società del suo tempo fu lo stimolo utile alla poetessa per riflettere sulle limitazioni imposte dalle norme sociali del tempo e immaginare una visione completamente nuova, naturalmente influenzata dalle tendenze naturalistiche e spirituali caratterizzanti il periodo modernista. Da ciò scaturì una rappresentazione di femminilità potente e fragile, universale e intima, descritta con schiettezza e naturalezza.
Bibliografia:
Barbara Heldt, Terrible Perfection. Women in Russian Literature, Bloomington, Indiana University Press, 1987.
Diana Lewis Burgin, Sophia Parnok and the Writing of a Lesbian Poet’s Life, “Slavic Review”, Vol. 51, No. 2, 1992.
Diana Lewis Burgin, The Life and Work of Russia’s Sappho, New York, New York University Press, 1994.
Sofja Parnok, L’ultima primavera, trad. Linda Torresin, Venezia, Damocle Edizioni, 2019.
Apparato iconografico:
Immagine di copertina: https://theinkbrain.files.wordpress.com/2012/01/sp005.jpg
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