L’amore e la catastrofe di Marina Cvetaeva

Anna Sokolova

 

Ogni persona creativa ha la sua musa, uno stimolo, che accende una tempesta nel cuore, contribuendo a portare nel mondo capolavori artistici e poetici. Tale era Sofija Parnok per Marina Cvetaeva, a cui dedicò molti versi, che tutti conoscono e citano, a volte senza nemmeno rendersi conto a chi fossero rivolti. Questo fatto è dovuto prima di tutto alla censura e al modo in cui biografi e critici letterari hanno trattato le relazioni amorose di Marina. Il rapporto tra Cvetaeva e Parnok, di solito, non viene menzionato come un fatto biografico che abbia influenzato il suo percorso poetico.

Nel 1911 Cvetaeva accetta l’invito di Maksimilian Vološin e si reca a Koktebel’. Chi avrebbe immaginato che quell’estate avrebbe cambiato per sempre la sua vita. In Crimea, sulle rive del Mar Nero, conosce e si innamora di Sergej Efron, che aveva un anno in meno. Le sembrava di trovarsi di fronte a un ideale, un cavaliere impeccabile. Fu un amore a prima vista, un’affinità talmente forte che si evolvette in matrimonio nel 1912. Pochi mesi dopo nacque la figlia alla quale venne dato il nome di Ariadna. La giovane sposa di Efron, madre di una bambina, era felice della sua vita, finché un incontro non cambiò tutto.

Nel periodo bellico, la casa moscovita di Adelaida Gercyk divenne un luogo popolare dove si riunivano: poeti, scrittori, artisti, attori e musicisti. A metà ottobre, durante una visita a Gertsyk, Parnok incontrò Cvetaeva, una giovane ragazza romantica. I ricordi di quel primo incontro furono talmente forti da trasformarsi in versi sulla carta, che in seguito entrarono nel ciclo Podruga (“L’amica”, 1976). Le poesie scritte erano inconsuete per la poetessa, perché avevano forme inaspettatamente “femminili”. Sono i versi che registrano le più sottili oscillazioni dell’anima e le infinite avventure del sentimento. Le poesie del ciclo sono inserite nella raccolta di Junošeskie stichi (“Poesie giovanili”, 1913-1915). L’intero ciclo è composto da 17 liriche. Nel 1940 Cvetaeva sceglie il titolo definitivo, ovvero quello attuale, al posto dei primi due titoli provvisori: “L’errore” o “Castigo”. La scelta dei titoli provvisori diventa evidente scorrendo le pagine della sua vita, ovvero quel breve arco di tempo che ha visto nascere ed esaurirsi una storia d’amore.

Quando Marina, ventitreenne, conosce nel salotto di Gercyk – Sofija Parnok aveva ventinove anni. Ella era, a quel tempo, una creatura con un “qualcosa di incantevole e inconsuetamente nobile nei grigi occhi un po’ sporgenti che guardavano fisso, nel grave sguardo “lermontoviano” nella posa appena altera della testa, nella voce “bassa e appena udibile, ma morbida”:

Ci sono donne – capelli come elmo,

il loro ventaglio odora preciso di rovina.

Hanno trent’anni – a cosa dunque ti serve

la mia anima di bimbo spartano?” (p.12)

Nell’immagine stilizzata di Cvetaeva i tratti reali di Sofija non sono più riconoscibili. Marina la descrive come “giovane lady tragica” del “fior d’acciaio”. Insomma, è un’immagine della donna “fatale” che segnerà per sempre la vita della poetessa:

Siete felice? Non lo dite! – Forse no!

Ebbene, – così sia!

Forse, troppi ne avete baciato.

Perciò – la tristezza.

Tutte le eroine delle tragedie shakespeariane

Vedo in Voi

Nessuno Vi ha salvato,

Giovane tragica lady!” (p. 25)

Marina non smetterà mai di amare Sergej, ma questo non le impedirà di avere un’altra relazione. Parnok fu prima donna amante nella vita di Cvetaeva. L’unione della femminilità e della fanciullezza di Sofija attraevano la giovane poetessa. Per non parlare del passato misterioso e romantico del peccato che circondava la sua reputazione:

Io Vi amo! Come nube di tempesta

Sopra di Voi è il peccato.

Perché siete sarcastica e tagliente

E di tutti migliore.” (p.25)

Parnok riconosce subito il talento della Cvetaeva e si innamora incondizionatamente del suo dono. È possibile che questo atteggiamento generoso e nobile fosse in realtà un sentimento di invidia involontaria per le capacità poetiche di una giovane amica, ma Parnok controlla abilmente le sue emozioni e si allontana dalla diretta competizione letteraria con la Cvetaeva. Mentre per la Marina, Sofija diventa una musa, la ispira a nuove realizzazioni creative ed alcune delle sue migliori poesie del primo periodo.

Giorno dopo giorno la loro relazione diventa sempre più forte. Così, Cvetaeva decide di affidare sua figlia alla tata e andare con Parnok a Parigi. Durante questo periodo nasce una meravigliosa poesia:

Come allegramente scintillavano di spruzzi di neve

La Vostra grigia pelliccia e il mio zibellino,

Come al mercato natalizio noi

Cercavamo nastri fra i più coloranti.” (p.45)

All’inizio del 1915 la relazione continua a svilupparsi rapidamente e non c’è alcuna speranza di “spezzare” questo incantesimo. Nel medesimo anno le due poetesse trascorrono l’estate prima a Koktebel’ e poi in montagna. Nelle poesie di Cvetaeva risalenti a questo periodo, per la prima volta, appare una sfumatura diversa, ovvero i primi segni di difficoltà nel rapporto:

Voglio capire, riflesso nello specchio,

Dove sono la nebbia e il sonno ottenebrante,

Del Vostro cammino – la direzione,

Della sosta – il rifugio.” (p.75)

Nell’inverno Osip Mandelštam visita Marina per un paio di giorni. I due amici vagano per la città, leggendo le nuove poesie e parlando. Quando Cvetaeva passa da Parnok trova “Sotto il carezzevole plaid felpato” (p.29) un’altra donna. Il dolore insopportabile spezza il cuore in un istante, ma l’orgogliosa poetessa se ne va in silenzio. Da allora non voleva sapere nulla della Parnok:

la fulva pelliccia dei capelli

e qualcuno di altro accanto a voi!

Eravate già con un’altra,

insieme aprivate la pista nella neve.” (p. 26)

Il ciclo “L’Amica” è uno specchio della storia dell’incontro di Cvetaeva e Parnok, la passione che per oltre un anno ha sconvolto le loro vite e quelle di altre persone, la gelosia e la fine di un rapporto. È stata una parabola che una volta raggiunto il suo punto massimo ha iniziato la sua lenta discesa. Nel 1915 Cvetaeva aveva lasciato Parnok, “superandola” e continuando il suo percorso con Sergej Efron. In seguito, la poetessa descrisse la relazione con Parnok come “la prima catastrofe della sua vita”. Per lei questa esperienza segnò la fine della giovinezza e l’inizio della sua maturità poetica. Sofija Parnok muore in un villaggio non lontano da Mosca il 26 agosto 1933. Della sua morte la Cvetaeva è stata forse informata da Boris Pasternak, che era presente ai funerali della poetessa ormai dimenticata.

Il percorso di Cvetaeva attrae e sconvolge per la sua intensità e la violenza drammatica. La sua vita veniva modellata e teatralizzata sulle forme dell’arte e ciò si riflette nella sua poesia: “Qualcosa, qualcuno si insedia in te, la tua mano è solo strumento – non di te, di un altro… Io sono sempre stata scelta dalle mie opere per la mia forza…” (p. XVIII). Più che i suoi versi e le sue prose narrative, le lettere di Marina Cvetaeva fissano il suo nascere del libero fluire. Esse sono una testimonianza del suo spendersi ed espandersi fino all’ultimo centimetro. Un pozzo “tino senza fondo che non trattiene nulla”, attraverso il quale “passa, come attraverso Dio: straordinario!” (p. XIX) Glielo poteva negare la vita quotidiana e la poesia, ma non le lettere. Dalla lettera a Petr Jurkevič:

“Mosca, 21 luglio 1916

A lungo, a lungo, – fin dall’infanzia, fin da quando ho ricordo di me stessa, – mi è sembrato di voler essere amata. […] Le persone sono attratte da me: alcune hanno l’impressione che io non sappia ancora amare, altre che le amerò, splendidamente e immancabilmente, ad altre ancora piacciano i miei capelli corti […] tutti esigano qualcosa – sempre qualcos’altro – dimenticando che tutto è cominciato da me […]. E io invece voglio leggerezza, libertà, comprensione, – non trattenere nessuno, e che nessuno mi trattenga. Tutta la mia vita è una storia d’amore…” (pp. 49-50)

La corrispondenza tra Cvetaeva e Parnok non è stata conservata; pochissimi frammenti sparsi e smembrati fanno venire alla luce questa storia d’amore. Dopo 18 anni, Marina scrive Pis’mo k Amazonke (“Lettera all’Amazzone”, 1932) in risposta a un testo della scrittrice Natalie Clifford Barney, dove Cvetaeva riflette sulla natura dell’amore tra donne, sui suoi limiti e contraddizioni. Alcuni pensieri della poetessa su questo argomento si possono trovare anche nei suoi diari:

Per una donna amare solo le donne, o per un uomo amare solo gli uomini, deliberatamente escludendo il contrario convenzionale: quale orrore! Ma dire che solo gli uomini possano amare le donne, o che solo le donne possano amare gli uomini, esclude l’insolito – che monotonia!

 Il 9 giugno 1921

Bibliografia:

Marina Cvetaeva, Lettera dell’Amazzone, Milano, Guanda, 1981.

Marina Cvetaeva, Il paese dell’anima; lettere 1909-1925, Milano, Adelphi, 1988.

Marina Cvetaeva., L’amica, Rimini, Pinozzo Editore, 1998.

Marina Cvetaeva, Zapisnye knižki i dnevnikovaja proza, Moskva, Zacharov, 2002.

Sofija Poljakova, Zakatnye ony dni: Cvetaeva i Parnok, Michigan, Ardis, 1983.

Sitografia:

https://teleprogramma.pro/stars/star-hist/235280/ (ultima consultazione: 12/05/2022)

https://isralove.org/load/13-1-0-2012 (ultima consultazione: 12/05/2022)

https://russianpoetry.ru/blogs/marina-ivanovna-cvetaeva/marina-cvetaeva-i-sofija-parnok-stranyi-roman-chast-i.html (ultima consultazione:15/05/2022)

https://eksmo.ru/palata6/samye-nepoetichnye-fakty-o-marine-tsvetaevoy-ID15475420/ (ultima consultazione: 15/05/2022)

https://jewish.ru/ru/people/culture/881 (ultima consultazione: 16/05/2022)

https://it.rbth.com/cultura/79325-cinque-fatti-poetessa-cvetaeva (ultima consultazione: 12/06/2022)

http://www.tsvetayeva.com/prose/pr_1tet_5 (ultima consultazione: 12/06/2022)

Apparato iconografico:

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