Amanda Appiani
Sara Deon
Martina Mecco
Luca Pinelli
Il numero speciale “Esperienze Queer” nasce dalla collaborazione di Andergraund Rivista con il progetto L’Altrosessuale. L’Altrosessuale è un collettivo divulgativo che, come Andergraund Rivista, nasce presso il Dipartimento di Studi Linguistici e Letterari dell’Università di Padova. Il progetto indaga le sessualità considerate “altre” nello spazio letterario e audiovisivo, con un particolare interesse per le forme di espressione artistica queer.
La volontà di dedicare un numero speciale a questa tematica è emersa non solo dal pretesto del mese del Pride, ma anche da una ferma decisione di dedicare più spazio alla narrazione di esperienze marginalizzate in tanti tempi e luoghi differenti. In particolare, l’intenzione è stata quella di accogliere dei contributi che attraversassero non solo una buona parte dei territori e delle lingue rappresentate in Andergraund, ma anche diverse forme di espressione: non solo romanzi, quindi, ma anche arte, cinema, giornalismo, interviste, musica, poesia e diari. La selezione di articoli e traduzioni è stata possibile non solo con la partecipazione di coloro che collaborano attivamente alla rivista, ma anche grazie a contributi esterni.
Inoltre, la decisione di esplorare le molteplici sfaccettature dell’esperienza queer nei territori dell’Europa Centro-Orientale nasce dal desiderio di metterne in luce le disparate possibilità passate e presenti, dalla Cecenia alla Germania, evidenziando come, contrariamente ad alcune retoriche nazionali, la presenza LGBTQ+ sia sempre stata presente anche in queste aree. Nell’ambito della ricerca italiana, uno dei contributi accademici più significativi in questo senso è il numero monografico a cura di Alessandro Amenta della rivista “eSamizdat”, a tema studi di genere e studi queer nell’Europa centro-orientale e balcanica. Traendo anche ispirazione da quel numero, questo speciale si pone l’obiettivo di restituire centralità a opere e autorə a lungo censuratə, ostracizzatə o perseguitatə nelle aree di nostro interesse.
“Queer”, com’è risaputo, è uno di quei termini, in lingua inglese, che venivano utilizzati un tempo per sottolineare l’alterità di persone non eterosessuali, termini che con l’avanzata delle battaglie di liberazione degli anni Settanta sono stati riutilizzati dalla comunità LGBTQ+ in maniera marcatamente positiva, come a rivendicare il desiderio di riappropriarsi della propria narrazione. Nate nel solco delle teorie femministe tra seconda e terza ondata, le teorie queer si sviluppano in particolar modo a partire dagli anni Ottanta e Novanta del Novecento in terra angloamericana prima di emigrare in diverse parti del mondo. Contrariamente a quegli studi che erano nati in quei decenni e che volevano riscoprire una tradizione lesbica o gay all’interno o al di fuori del canone – letterario, filosofico, artistico in senso ampio –, le teorie queer sono profondamente anti-identitarie: come riassume bene Annamarie Jagose, “il queer non è tanto un’identità quanto una critica dell’identità”. Come sottolinea infatti Lorenzo Bernini, “le teorie queer possono essere descritte come filosofie politiche critiche che, assumendo il punto di vista delle minoranze sessuali, denunciano come arbitrario, abusivo e intollerabile il regime che le rende tali, senza offrire necessariamente soluzioni o alternative, ma lasciando per lo più alle pratiche di lotta dei movimenti sociali e dei singoli soggetti il compito di elaborare e sperimentare le une e le altre”. Quell’identità monolitica rivendicata – anche giustamente – da collettivi lesbici o gay stona, infatti, con la liberazione queer, che al riconoscimento spesso puramente formale delle battaglie per i diritti civili preferisce una sovversione della società basata sulla norma eterosessuale: attraversando, decostruendo, ribaltando l’enorme edificio dell’identità e della sessualità, le teorie queer ne minano le basi sottolineando la precarietà di ogni posizionamento sociale, culturale e politico, e rivendicando quindi la necessità di un posizionamento ‘dal basso’ che possa contrastare ogni aspirazione a una astratta totalità. Le teorie queer, quindi, sono plurali, corali, utopiche, mai identiche a loro stesse.
Per questo motivo, il focus di questo numero sono le esperienze queer, piuttosto che le identità. Nonostante questo aggettivo venga applicato in maniera abbastanza generica all’intera comunità LGBTQ+, in realtà ci sono diversi momenti, spazi, soggetti che reclamano il queer per arrivare a una forma di intelligibilità che non scada necessariamente in una messa a frutto del proprio posizionamento all’interno di un sistema orientato allo sfruttamento e al profitto. Fornendo, come sottolinea bene Bernini, “una pars destruens senza una pars construens”, il queer mira a un futuro utopico dove le norme non vincolano né tantomeno strozzano ogni tentativo di soggettivazione e relazione che esuli dai paradigmi vigenti: come ha ben riassunto José Esteban Muñoz, “la queerness è un’idealità. […] Possiamo percepirla come la calda illuminazione di un orizzonte intriso di possibilità. Noi non siamo mai stat* queer; eppure, la queerness esiste per noi come un’idealità che possiamo recuperare dal passato, e che possiamo usare per immaginare il futuro. Il futuro è il regno della queerness. La queerness è un modo di desiderare, dotato di una propria struttura e di una propria disciplina, che ci consente di vedere e di sentire al di là del pantano del presente. Il ‘qui e ora’ non è che una prigione”.
Secondo questa prospettiva, si rendono necessari alcuni aggiustamenti anche da un punto di vista strettamente linguistico, motivo per cui sono state adottate, in questo speciale, delle norme redazionali che mirano all’estirpazione del maschile universale dall’italiano scritto. Partendo dal rapporto simbiotico tra linguaggio e realtà, si rende necessario utilizzare delle forme effettivamente universali e non-binarie che vadano oltre, quindi, il paradigma fallogocentrico dominante, dove la diversità dell’essere umano viene appiattita per una presunta maggiore facilità nel dire “uomo” e “autore” per comprendere rispettivamente anche donne e persone non binarie e autrici e autorə. Come sottolinea magistralmente Manuela Manera, “a eco di un famoso slogan femminista, il linguistico è politico. Sabotare il maschile universale è un atto politico. Nominare il femminile è un atto politico. Usare lo schwa, l’asterisco, la -u è un atto politico. Sono azioni che disegnano nuovi immaginari. Sono scelte comunicative che ribadiscono potentemente che la lingua è relazione, identità, azione sul mondo. Indicano una direzione da seguire, imprimono un cambiamento nella lingua che è anche un cambiamento nella realtà: le parole di oggi ci portano al nostro futuro”.
Proprio per questi motivi, gli articoli qui raccolti si appoggiano a norme redazionali fondate sull’importanza di un linguaggio esteso: tra le varie proposte citate anche da Manera si è preferito applicare lo schwa (ə), come già da tempo alcune case editrici stanno facendo in casi specifici o ovunque sia necessario, per mantenere una coerenza interna e rendere i testi più leggibili anche oralmente.
Per quanto concerne i contributi presenti, a differenza dei numeri tematici e degli speciali precedentemente pubblicati si è deciso di dividere questo in due parti. Nella prima sono contenuti articoli che spaziano tra contesti e temi differenti, mentre nella seconda sono raccolte quattro traduzioni realizzate dal russo e dal polacco.
L’articolo di Amanda Appiani, “’Ich bin Kunst’: Salomé e le bestie selvagge”, indaga la figura di Salomé, al secolo Wolfgang Ludwig Cihlarz, artista omosessuale tedesco che a partire dagli anni Settanta si è occupato di rappresentare temi scottanti ed emozioni violente e antisociali tramite una serie di media disparati, come la musica punk, la pittura, la scultura, il cinema e la performance art. In “Meseország Mindenkié – Un mondo di fiabe per tuttə”, Jessica Alfieri propone una breve analisi della raccolta di fiabe citata, a cui hanno a cui hanno collaborato numerosə altrə autorə. Prendendo le mosse dalle tradizionali fiabe canonizzate, l’antologia mira a fornire un quadro più inclusivo dell’immaginario comune stereotipico, in questo mondo dando spazio alle molteplici sfaccettature in cui anche un pubblico di giovanissimə può riconoscersi. Il contributo di Sara Deon, “Trasgredisco, quindi esisto. Slava Mogutin e l’erotizzazione dell’immaginario omosessuale” indaga la figura del poeta e artista omosessuale russo Slava Mogutin, e la sua proposta di una poetica gay profondamente omoerotica e lontana dal segno dell’ingiuria, come invece frequente nel canone letterario omosessuale. L’articolo di Claudia Fiorito, “Welcome to Chechnya. Il film sulle purghe anti-LGBTQ+ nella Cecenia di Kadyrov” propone un’analisi della pellicola prodotta da David France nel 2019. Quest’ultima è, inoltre, corredata da una ricostruzione del contesto e dei fatti che hanno caratterizzato le persecuzioni degli omosessuali nella Repubblica Cecena a partire dal 2017. Il contributo di Silvia Girotto, “I cambiamenti nella relazione omoerotica e uomo-donna: alcuni contributi novecenteschi nell’ambito austro-tedesco” consiste in un’indagine basata sulla produzione di alcunə dellə massimə esponentə della letteratura tedesca del Novecento, tra cui Thomas Mann e Else Jerusalem. “Una geografia della sessualità. Essere gay a Brno negli anni 90” è un’intervista realizzata da Alice Greco alla sociologa ceca Kateřina Nedbálková. All’interno del dialogo con la studiosa vengono affrontati temi chiave, tra cui la questione della sessualità all’interno della società ceca contemporanea. In “Certi ragazzi, certe ragazze: note queer dalla Jugoslavia” Marco Jakovljević ha realizzato, invece, un’indagine di come la questione LGBTQ+ venga tematizzata all’interno della produzione musicale jugoslava che prende il nome di Novi Val. Nell’analisi vengono prese in esame e tradotte porzioni di brani dei Prljavo Kazalište, degli Idoli e dei Videosex. Nel contributo di Martina Mecco, “‘quella lotta così crudele che ora affligge anche noi’. Appunti sulla stampa omosessuale cecoslovacca degli anni Trenta”, viene proposta un’illustrazione del contesto queer cecoslovacco in epoca interbellica. Si tratta, nello specifico, di un’analisi dello sviluppo del panorama editoriale queer nei contesti cittadini di Praga e Brno. L’articolo di Elisa Montagner, “Vittimizzazione e vittimismo in Una domenica durante la guerra di Christa Reinig”, è incentrato sulla figura di Christa Reinig in rapporto al contesto eteronormato della Germania nazista. La riflessione è basata su un racconto pubblicato nel 1982 all’interno della raccolta Die ewige Schule (“La scuola eterna”). Nel contributo di Luca Pinelli, “Corporeità in divenire e maschilità in mutamento: Romeos (2011) di Sabine Bernardi” si tratta di una pellicola arrivata alla Berlinale nel 2011 che parla, come allude il titolo, a un rapporto romantico-sessuale tra due ragazzi a Colonia durante una calda estate. La classica traiettoria angloamericana del boy meets boy, diventata ormai pervasiva nel cinema gay, viene chiaramente spezzata e controbilanciata dalla presenza spettrale della transfobia nei confronti del protagonista trans, Lukas. L’articolo di Eleonora Smania, “Sofija Parnok e la centralità dell’immagine femminile, tra costruzione e decostruzione poetica” propone un’analisi della produzione poetica femminile del Secolo d’Argento russo, partendo dall’affermazione di un io poetico femminile contrapposto a quello tradizionale maschile e focalizzandosi in particolare sulla produzione di Sofija Parnok, nota anche come la “Saffo russa”. “L’amore e la catastrofe di Marina Cvetaeva” di Anna Sokolova si completa all’articolo precedente, ricostruendo il rapporto tra Marina Cvetaeva e Sofija Parnok attraverso un’analisi diretta sulla produzione poetica della prima, in particolare della raccolta Podruga (“L’amica”).
La sezione dedicata alle traduzioni si apre con il contributo di Anastasia Komarova, che ha tradotto uno dei testi più importanti di Evgenij Charitonov, il suo manifesto – Listovka. La traduzione è corredata da un commento introduttivo che delinea la figura e l’opera dell’autore russo. La seconda traduzione riguarda, invece, un testo di carattere non letterario. Martina Mecco ha tradotto la testimonianza registrata da Elena Kostjučenko di un omosessuale ceceno sfuggito alle persecuzioni che dal 2017 si perpetuano della repubblica di Kadyrov. Lo ucciderete voi o lo uccideremo noi. Scegliete voi cosa è meglio è stato pubblicato dalla testata Meduza il 16 aprile 2017. Giulio Scremin propone la traduzione di un estratto del Tajny dziennik (“Diario segreto”) di Miron Białoszewski, uno dei massimi esponenti della letteratura polacca del Novecento. La traduzione è, inoltre, corredata di commento introduttivo dove si pone l’attenzione sull’elaborazione della memoria in Białoszewski. Il numero si chiude con una silloge di poesie contemporanee realizzata da autricə di lingua russa a cura di Francesca Stefanelli. Ad essere tradotte sono le voci di Elena Kostyleva, Lolita Agamalova e Fridridrih Černyšev. La traduzione è, inoltre, accompagnata da una riflessione sul ruolo di questa produzione nel panorama contemporaneo russofono e su alcuni problemi traduttivi riscontrati.
Bibliografia:
Lorenzo Bernini, Le teorie queer. Un’introduzione, Milano, Mimesis Edizioni, 2017.
Annamarie Jagose, Queer Theory. An Introduction, New York, New York University Press, 1993.
Manuela Manera, La lingua che cambia. Rappresentare le identità di genere, creare gli immaginari, aprire lo spazio linguistico, Torino, Eris, 2021.
José Esteban Muñoz, Cruising Utopia. The Then and There of Queer Futurity, New York-London, New York University Press, 2009.