“Il buon tedesco”. Intervista allo storico Carlo Greppi

Intervista a cura di Piergiuseppe Calcagni

 

Carlo Greppi (Torino, 24 dicembre 1982) è uno storico, membro dell’Istituto nazionale Ferruccio Parri. Ha lavorato come conduttore, inviato e ospite per Rai Storia, in particolare per il programma Il tempo e la storia, e ha collaborato più volte con Radio 3. È autore di due romanzi, Non restare indietro e il suo seguito Bruciare la frontiera, entrambi editi da Feltrinelli e di numerosi saggi storici incentrati soprattutto sul tema della Resistenza italiana. Nel 2013 ha fondato l’Associazione Deina per la quale progetta percorsi educativi rivolti ai giovani con lo scopo di educare alla memoria della Shoah. 

Greppi dirige per la casa editrice Laterza la collana Fact-checking: la Storia alla prova dei fatti. L’obiettivo dei libri di questa collana è l’eliminazione delle fake news per evitare la disinformazione su argomenti di caratteri storico, soprattutto quelli più delicati legati alla storia italiana, come ad esempio le foibe (E allora le foibe? di Eric Gobetti), i partigiani (Anche i partigiani però… di Chiara Colombini) o il Risorgimento (Il fantastico regno delle Due Sicilie di Pino Ippolito Armino). Il libro su cui si basa l’intervista però è Il buon tedesco che fa sempre parte di questa collana ed è scritto proprio da Greppi. Quest’opera è incentrata sulla figura di Rudolf Jacobs, uno dei tanti tedeschi disertori che una volta giunto in Italia si allea con la Resistenza contro il nemico nazista. L’intenzione dell’autore è quella di porre fine al pregiudizio secondo cui tutti i tedeschi sono colpevoli degli orrori commessi dal nazismo e di ripensare in modo più critico e dettagliato alla storia della Resistenza tedesca e al ruolo da protagonista che ha svolto per la liberazione dal nazi-fascismo.

Il buon tedesco - Carlo Greppi


PC: Il protagonista de Il buon tedesco si chiama Rudolf Jacobs, un personaggio nato nel luglio del 1914, poco prima dell’inizio della Grande Guerra. Però nel libro lei ricorda che in quel periodo, e durante la Repubblica di Weimar, in Germania e in Austria non esistevano solo esempi di nazionalismo o di interventismo, ma anche di pacifismo e internazionalismo. Infatti, nel primo capitolo vengono giustamente menzionati la Baronessa von Suttner e Ludwig Quidde, due vincitori del Nobel per la pace. All’inizio degli anni Trenta il padre di Rudolf, quando vede il clima di violenza che si sta instaurando in Germania, vuole allontanare il figlio dalla nazione. A questo punto sembra lecito chiedersi quali sono le influenze culturali che hanno portato la famiglia di Rudolf a rinunciare il nazionalismo e, più in generale, le ideologie del partito nazista.

CG: Questa è una domanda che inchioda lo storico alla sua ignoranza. Nel senso che non è dato sapere cosa leggesse lui. Sappiamo che proveniva da una famiglia colta, per cui sappiamo che leggeva. Il padre era esplicitamente contrario al nazionalsocialismo e invitò il figlio a stare lontano dai guai. Ho visto, però, a Villa Rezzola, dove lui stava quando arrivò come occupante, una biblioteca piena di libri in tedesco appartenenti alla famiglia che possedeva quella villa. E mi sono chiesto quali di questi libri lui ha tenuto in mano. D’altronde molti di quei libri erano stati pubblicati all’inizio del Novecento. La famiglia proprietaria della villa era ovviamente cosmopolita, ma per scoprire con certezza i consumi culturali di Rudolf Jacobs bisognerebbe condurre un’ulteriore ricerca. Si può dire che lui era il prodotto di quella cultura mitteleuropea, colta e illuminata, di inizio secolo, ma io tendo a scrivere solo di quello che è stato documentato da varie fonti. Anche se si vuole allargare la visuale per scoprire le letture e le influenze culturali di tutti i tedeschi che si opposero al regime nazista, ci si rende conto che non esistono formule.

 

PC: Nel libro viene riportata una gran quantità di fonti che attestano sia la presenza di tedeschi   all’interno dei campi di concentramento, sia l’esistenza di disertori nell’esercito. Questo vuol dire che non solo gli individui considerati non ariani venivano sterminati, ma anche quelli che potenzialmente i nazisti non perseguitavano per motivi razziali. Quali erano i criteri con i quali anche i tedeschi venivano internati? 

CG: In estrema sintesi quello che fa il nazionalismo è perseguire un’idea di società ripulita, sia a livello razziale, sia a livello sociale e politico. Per cui nel campo di concentramento ci finiva chiunque, dall’oppositore politico in senso stretto (comunisti, socialisti, social-democratici, sindacalisti…) agli oppositori politici in senso potenziale, ai religiosi, ai cosiddetti asociali, i vagabondi o i disoccupati ad esempio. Nei campi di concentramento ci finirono anche ex nazisti: come tutti i regimi totalitari, basta fare un passo falso e si viene puniti. Comunque si stima che siano stati internati quasi un milione di tedeschi.         

      

PC: Secondo lei quanto è importante parlare a scuola dei movimenti tedeschi, come il circolo di Kreisau o il Weisse Rose, che si opposero al nazismo? E perché si parla poco dei crimini commessi dagli italiani durante il fascismo?

CG: Ti ringrazio per la domanda perché da poco è stato pubblicato un manuale per i licei, Le trame del tempo, dove parlo di questi argomenti. In particolare, parlo di resistenza tedesca al nazismo, di resistenza internazionale e di crimini dell’Italia fascista. Quindi parlo di “bravi tedeschi” e di “cattivi italiani”. Il tema della resistenza tedesca al nazismo è sconosciuto, ma questo può essere dovuto a semplice ignoranza, oppure può derivare da un meccanismo culturale che porta gli italiani a rimuovere i crimini commessi dai fascisti (anche nell’Italia liberale) e addossare tutte le colpe della Seconda Guerra Mondiale all’ex alleato. Inoltre, non bisogna dimenticare che la Germania, nel corso dei decenni, ha avuto la capacità di guardare quel capitolo della sua storia con sufficiente onestà intellettuale per disconoscerlo. È stato un percorso molto lungo e irto di ostacoli. In Italia ci è stata molto meno la volontà, a livello istituzionale, di fare i conti con il passato e infatti la continuità col fascismo fu così clamorosa che nacque un partito, il MSI.

 

PC: “Non comprendo, non sopporto che si giudichi un uomo non per quello che è, ma per il gruppo a cui gli accade di appartenere”. Questo sono delle parole che Primo Levi rivolge al suo traduttore tedesco Heinz Riedt ed è solo una delle tante citazioni letterarie presenti all’interno del libro insieme a Timm, Fallada, ecc.… Quanto è importante la letteratura per comprendere la Resistenza e come può aiutare a superare i pregiudizi?

CG: La letteratura è fondamentale in generale per capire la storia, soprattutto la letteratura coeva o immediatamente successiva scritta da persona che hanno vissuto in prima persona la storia. Tra i libri che cito, Berlino ultimo atto di Heinz Rein è un capolavoro assoluto. Un altro molto importante è Ognuno muore solo di Hans Fallada che per Primo Levi è il libro più importane sulla Resistenza al nazismo. Per quanto riguarda la secondo parte della domanda dico che per fortuna la storia ci insegna che la realtà è complessa e le semplificazioni sono insultanti per la cultura umana. Quando sono andato a ritirare il Premio Fiuggi – Storia, si è avvicinata una signora tedesca trapiantata in Italia da decenni (non ricordo quanto di preciso, ma erano parecchi decenni) mi ha detto che tutt’ora sente battutine della gente a causa di un astio di fondo antitedesco. Ragionare per in-group e out-group fa parte della natura umana, però la cultura dovrebbe in qualche modo arginare questo modo di semplificare la realtà. In conclusione, studiare la cultura significa educare alla complessità. 

 

PC: Attualmente in che stato si trova lo studio dei disertori in Germania e in Austria?

CG: Lo studio è in ottime condizioni, c’è molta vivacità sul tema sul piano storiografico. A livello istituzionale nel 2009 in entrambi i Paesi ci fu una riabilitazione formale dei disertori vittime del nazionalsocialismo. Sul piano della memoria pubblica, da quanto ho visto e da quanto mi è stato anche riferito, generalmente i disertori sono ancora molto malvisti o sono comunque figure difficili da giudicare, in quanto traditori della patria. Questo perché la patria, e i miti che si sono creati intorno a questa parola, ci sopravviverà, continuerà per generazioni a esistere in questo modo nelle teste delle persone.