L’epica postmoderna di Dmitrij Bykov

Martina Greco

Dmitrij L’vovič Bykov nasce a Mosca il 20 dicembre del 1967. Dopo il divorzio dei genitori, la madre, Natal’ja Iosifovna Bykova, insegnante di lingua e letteratura russa, sembra aver giocato un ruolo fondamentale nella sua formazione. Seguendo le sue orme Bykov sceglierà infatti di dedicarsi agli studi umanistici, in particolare all’ambito letterario. Nel 1991 si laurea presso la facoltà di giornalismo dell’Università Statale di Mosca (MGU). Da questo momento in poi comincia ad occupare un ruolo di spicco nel panorama culturale russo, facendosi conoscere come autore di opere in versi e in prosa, giornalista, conduttore radiofonico e televisivo, critico letterario ed oppositore del governo di Putin.

La sua posizione rispetto al ruolo della letteratura sembra essere piuttosto chiara. Egli afferma in più occasioni di concepire la letteratura come un mezzo per comprendere le proprie radici e sviluppare una visione critica della realtà. Tra i suoi autori preferiti vi è Gabriel García Márquez, da lui considerato “the greatest writer ever born in Latin America”. Il motivo per cui Márquez gode della sua ammirazione è probabilmente da ascrivere alla riflessione identitaria, storica e antropologica che ne permea le sue opere.

In generale, Bykov mostra una forte propensione nei confronti del genere fantastico, nonostante questo venga tendenzialmente associato a finalità escapiste e di puro intrattenimento e, anzi, dalla sua biografia scopriamo che считает фантастику лучшей литературой, и что фантастику надо изучать в школе”, ovvero “considera il fantastico come il miglior genere letterario e pensa che andrebbe studiato a scuola”.  Non stupisce a questo punto che nel suo romanzo più noto, ŽD, pubblicato nel 2006, Bykov si cimenti proprio nel tentativo di ripensare e comprendere la storia nazionale costruendo a questo proposito un impianto letterario dai tratti fortemente magico-realisti.

Nella prima edizione di ŽD, sotto al nome dell’autore e al titolo dell’opera, figura un avviso ai lettori che recita “самая неполиткорректная книга нового тысячелетия”, ovvero “il libro più politicamente scorretto del nuovo millennio”. Nonostante il fatto che qualche critico abbia considerato tale affermazione iperbolica, il libro sviluppa effettivamente tematiche estremamente complesse quali la critica al potere, alla burocrazia, al totalitarismo ma anche al liberalismo, adottando una visione pericolosamente fraintendibile: la lettura etnica di alcune tendenze comportamentali e sociali. L’opera infatti ruota attorno alla contrapposizione fisica e ideologica di due gruppi etnico-religiosi, i Variaghi (Varjagi), ovvero i russi, e i Cazari (Chazari), ovvero gli ebrei, i quali si contendono il controllo della Russia. I primi si considerano discendenti delle tribù scandinave, professano una religione simil-pagana, amano la guerra e hanno una concezione gerarchica, spersonalizzante ed anti-individualista della società. I secondi, al contrario, provengono dalle popolazioni del sud, professano la religione ebraica, sono dediti al commercio e il loro modello ideale di società è orizzontale, liberista e liberalista. La contrapposizione tra Oriente e Occidente che ha impegnato per secoli le riflessioni filosofiche dell’intelligencija russa diventa qui uno scontro tra Nord e Sud. Sullo sfondo della lotta tra questi due poli compare un terzo elemento: la popolazione indigena (korennoe naselenie). Quest’ultima non risponde ad alcun etnonimo e si contraddistingue fondamentalmente per la non appartenenza a nessuna delle due parti in conflitto. Gli autoctoni mantengono una posizione di estrema neutralità e anzi, sostengono di dovere alla lotta tra i Variaghi e i Cazari la loro eterna sopravvivenza. Impegnate a sterminarsi a vicenda, le due fazioni li hanno infatti trascurati ed essi hanno potuto continuare a vivere secondo i propri usi e costumi, seppur sotto la costante minaccia dell’oppressione da parte del dominatore di turno.

La vicenda del romanzo si svolge in un futuro prossimo in cui il petrolio ha perso qualsiasi valore di mercato ed è stato rimpiazzato da un gas chiamato “flogisto”. Quest’ultimo viene descritto come una sostanza dalle potenzialità infinite. La sua scoperta ha modificato del tutto gli equilibri geopolitici mondiali: il gas miracoloso sembra essere ovunque, tranne che in Russia e nei Paesi arabi.

Tagliata irrimediabilmente fuori dal mercato globale, la Russia versa dunque in una condizione di isolamento, sommersa dai problemi che l’hanno eternamente segnata. Si scatena così l’ennesima guerra civile. Sullo sfondo di questa guerra si muovono i personaggi principali: quattro coppie costrette a perdersi e a rincontrarsi, affrontando un lungo vagabondaggio (stranstvie) attraverso il Paese. Lo stranstvie diventa nel libro sinonimo di libertà, unica via di fuga dai modelli di vita e dagli ideali preconfezionati imposti dalle due parti in conflitto. Condizione necessaria per la popolazione indigena, la cui unica abilità consiste appunto nella capacità di camminare all’infinito formando dei cerchi attorno alla Russia, il vagabondaggio permette ai protagonisti di ripensare la loro idea sul mondo, di confrontarsi con gli altri, di ascoltare teorie contrastanti sul corso della storia nazionale e sulle motivazioni della guerra e di riscoprire la propria individualità, mettendo in discussione i preconcetti, le leggende, le superstizioni che fino ad allora ne avevano impedito il libero pensiero.

A proposito della miscela di realismo e magia presente in quest’opera, è interessante partire dalla scelta dell’autore di definire ŽD non un romanzo, ma un poema. Dopo aver proposto una serie di decifrazioni bizzarre e ironiche della sigla che dà il titolo all’opera, quali Živago-Doktor e Žutkaja Drjan’ (“porcheria immonda”), Bykov afferma: Я придерживаюсь варианта Живые Души, ovvero io opto per la variante Anime vive”. Diventa così evidente il parallelismo che lo scrittore intende tracciare tra la sua opera e il capolavoro di Nikolaj Gogol’, Le anime morte. È proprio da qui che bisogna partire per comprendere la decisione di usare l’etichetta di “poema”.

La riflessione alla base di questa scelta risulta particolarmente significativa dal nostro punto di vista, poiché riguarda nello specifico la ricerca identitaria che l’opera intende portare avanti e il modo in cui essa comunica con l’utilizzo degli elementi fantastici. Presentando ŽD, Bykov si cimenta infatti in una breve analisi del rapporto tra letteratura, identità nazionale e storia. L’autore fornisce una serie di esempi di opere che, attraverso la commistione di questi fattori, sono state in grado di riassumere in maniera esaustiva l’intera cultura del proprio popolo. A sua detta, la caratteristica principale di un poema non consiste nell’utilizzo di una narrazione in versi, ma nella capacità di condurre riflessioni esemplificative dell’immaginario collettivo di un’intera nazione. Bykov fornisce al proposito una definizione molto chiara: Эпическая поэма – своего рода паспорт нации, ее самоопределение. У истоков каждой нации стоит эпос, чаще всего на две темы – война и странствие”, ossia “Il poema epico è una specie di passaporto della nazione, la sua autodeterminazione. Alle origini di ogni nazione vi è l’epos, la maggior parte delle volte legato a due temi: la guerra e la peregrinazione”. La tradizione a cui si vuole allacciare l’autore è dunque quella di Omero e Virgilio, con un poema epico che attraverso la narrazione della guerra e dei viaggi intrapresi dai protagonisti riscopra lo spirito nazionale e getti le fondamenta per l’unità del popolo. Per farlo Bykov inserisce i propri personaggi all’interno di una realtà straniante, in cui Variaghi e Cazari sono impegnati in un’assurda lotta senza fine.

Chiaramente, per comprendere l’opera bisogna innanzitutto decifrare il carattere allegorico delle due fazioni in conflitto. In ŽD le popolazioni realmente esistite dei Variaghi e dei Cazari diventano ipostasi di nazionalismo e modernizzazione, conservatorismo e cosmopolitismo, autarchia e liberismo, nelle loro forme più degenerate. La divisione etnica nasconde una più profonda incompatibilità ideologica. Nella costruzione del suo poema postmoderno, Bykov parte dalle fonti storiche per attuare un meccanismo di decostruzione del discorso ufficiale che favorisca, attraverso la figuralità dello strumento letterario, l’accesso a un più profondo livello di comprensione della realtà russa.

 

Bibliografia:

Dmitrij Bykov, ŽD, Mosca, Vagrius, 2006.

Sitografia:

http://dmibykov.ru/bio (ultima consultazione: 19/02/2022)

https://www.abc.net.au/radionational/programs/archived/bookshow/dmitry-bykov-living-souls/2947400#transcript- (ultima consultazione: 19/02/2022)

Apparato iconografico:

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