Piergiuseppe Calcagni
Il romanzo Anne e i fantasmi, della scrittrice austriaca Laura Freudenthaler, è stato pubblicato in Italia dalla casa editrice Voland nel luglio 2021 grazie alla traduzione di Paola Del Zoppo.
Link al libro: https://www.voland.it/libro/9788862434256
Ciò che sta al centro di quest’opera è la vita di Anne, una donna cinquantenne, che decide di prendersi una pausa di un anno dal suo lavoro di insegnante di pianoforte per dedicarsi a tempo pieno alla scrittura di un manuale di musica.
L’autrice nei primi capitoli presenta la vita della protagonista caratterizzata soprattutto dal peggioramento della relazione con Thomas, suo marito. All’inizio del romanzo vengono subito messi a confronto il passato e il presente: il primo ha una connotazione positiva:
“Ogni volta Thomas le faceva diverse proposte, Anne acconsentiva a una senza starci a pensare, e lui le spiegava dove sarebbero andati. Le diceva di prendere una delle cartine geografiche dal vano portaoggetti. Ma Anne non voleva conoscere la geografia del paese, aspettava solo che imboccasse l’autostrada, l’accelerazione della macchina, la sensazione di mistero che per un attimo la prendeva allo stomaco.” (p. 29-30)
Il presente, invece, è cupo, noioso, un posto dal quale Anne cerca di fuggire e le cause principali di questo malessere sembrano essere, oltre all’incessante routine lavorativa, la freddezza e il distacco di Thomas verso di lei. Durante una telefonata con la madre, la protagonista non ha il coraggio di confessare questo problema e quando lo farà, anche se in modo passivo, proprio al marito, egli risponde con delle parole pungenti:
“Come sta tua madre? chiede. Sa che Anne le telefona tutte le domeniche all’ora di pranzo. Come al solito, dice Anne. Vuole sentire delle storie e non riesce a credere che io abbia così poco da raccontare. Inventati qualcosa, dice Thomas.” (p. 25)
Dalle prime pagine può sembrare un romanzo incentrato sulla vita boriosa di due persone sposate che, una volta raggiunta la mezza età, non hanno più nulla da dire o da fare e ciò che viene narrato sono solo le impressioni di Anne in terza persona. Il vero punto di svolta si presenta ai lettori quando, durante uno dei tanti dialoghi con una sua amica, Anne afferma con sicurezza che Thomas abbia una relazione con un’altra donna:
“Vuoi dire che ha una storia? chiede l’amica. Ma certo che ha una storia. Vita sentimentale, ma che strana espressione. Esiste? E con chi? chiede l’amica. Non ha nome, dice Anne, ma non importa. L’amica riflette. Ma Anne ha prove? Perché se si arriva al divorzio avrà bisogno di materiale probatorio. Ma no, dice Anne.” (p. 42)
Queste parole, oltre a segnalare una rottura, svelano un tratto fondamentale di tutta l’opera: Anne, così come i lettori, non conoscerà mai la vera identità della “ragazza” (questo è il sostantivo che viene utilizzato sia da Anne che dall’autrice per nominarla). Questa caratteristica serve non solo a rendere chiaro il senso del titolo (l’originale tedesco è Geistergeschichte, letteralmente “storie di fantasmi”), ma anche ad anticipare il significato profondo del romanzo. Infatti, quando in un altro dialogo l’amica chiede ad Anne di Thomas lei dice “Può essere, risponde Anne, che io ormai viva solo con un fantasma.” (p. 56). Si tratta dunque del frutto dell’immaginazione della protagonista? Di un caso di paranoia o di schizofrenia? È vero che vengono presentate delle scene in cui sono presenti Thomas e la ragazza o la quest’ultima che parla con le sue amiche di Anne, “La chiamo la donna senza nome, dice la ragazza alla sua amica” (p. 94), ma l’autrice è molto brava poiché si astiene dal descrive la realtà e presenta sempre la percezione della protagonista. Anche in queste scene la ragazza resta “la ragazza”, non si conosce l’età o il lavoro, e neanche le amiche hanno un nome. Tutto ciò che si sa con certezza è che Anne resta convinta della relazione extra coniugale del marito. Le uniche prove che confermano la sua teoria sono le ricevute dei ristoranti che diventano una vera e propria ossessione per Anne.
“Almeno una volta a settimana c’è una ricevuta di un ristorante che lei non conosce.” (p. 134)
Secondo lei gli unici momenti che la ragazza e Thomas hanno per vedersi sono quelli in cui Anne non si trova a casa e le cene. Studia le ricevute con meticolosità – anche durante la notte prendendole dalla tasca del cappotto del marito che dorme – ma non si limita ad osservare gli ordini e a chiedersi chi ha mangiato o bevuto questa o quell’altra pietanza, riesce addirittura a formulare delle ipotesi sul loro ciclo di incontri grazie alle date e agli orari delle ricevute.
Anne non parla mai con Thomas né della ragazza né del rapporto fra loro due. Quelle poche volte che si scambiano qualche parola lo fanno per farsi domande banali e per darsi risposte altrettanto banali, come se nessuno dei due volesse migliorare la situazione. Infatti, alle scene in cui si intrecciano finzione e realtà senza che il lettore possa con certezza capire quale delle due prevale, si alternano i momenti della vita quotidiana che neanche l’anno sabbatico riesce a smuovere. È come se per Anne si fosse sostituita la routine di prima con un’altra: Thomas non le dà le attenzioni che lei vorrebbe e dorme da solo sul divano, passeggia spesso, frequenta caffè e bistrò, scrive degli appunti su un taccuino e torna nel suo appartamento che, interagendo con i personaggi come fosse uno anch’esso uno di loro, è ormai diventato un posto scuro, freddo, disordinato, spettrale, è, appunto, infestato dai fantasmi, soprattutto dalla presenza della ragazza. Anne è convinta che a lei piacciano i suoi vestiti e infatti ritrova il suo armadio in disordine. Non resta da chiedersi se la ragazza sia l’unico fantasma oppure se anche Thomas e la stessa Anne lo siano diventati. Proprio quell’appartamento dove Anne si era trasferita dalla Francia per trascorrere la vita insieme a suo marito. Come se non bastasse, si siede al pianoforte col desiderio di suonarlo, ma non ci riesce più.
“La sera Anne cammina per casa. C’è un enorme silenzio. Si ferma davanti al pianoforte, alza il coperchio, ma non si siede. In piedi passa le dita della mano destra, che è sempre stata la più obbediente, sui tasi. La sinistra segue per l’abitudine a non lasciare sola la destra. Le vengono in mente le prime misure di una sonata, forse le mani ricordano il resto. Anne si siede sullo sgabello del pianoforte. Le dita si muovono a scatti, come arti di marionette.” (p. 90)
Il finale è sorprendente. Ciò che sorprende di questo romanzo è l’abilità dell’autrice di raccontare una storia conosciuta da tutti – quella dell’adulterio e di un matrimonio in fase di declino dove per disperazione resta solo il richiamo al passato ritenuto idilliaco – in un modo originale sia perché riesce benissimo a ingannare chi legge, senza spostare mai il punto di vista, sia perché risulta essere molto abile a gestire i continui sbalzi fra realtà e sogno.
Inoltre, dopo la fine è presente una post-fazione, scritta dalla traduttrice Paola Del Zoppo. Suddivisa in quattro paragrafi (Una casa degli specchi, La nostra lingua e noi, I sentieri per i laghi e la fiction della natura, Doppia faccia, La traduzione riflesso del testo), fornisce spunti di arricchimento culturale per i non addetti ai lavori, e spiegazioni sul romanzo.
Apparato iconografico:
Immagine di copertina: https://www.hakwr-neustadt.ac.at/schueler/schulbibliothek/articles/maja-lunde-die-geschichte-der-bienen-2.html