Intervista a cura di Martina Mecco
MM: Ciao Micol, intanto grazie di aver accettato di incontrarci anche se online e complimenti per quello che fai! Innanzitutto, ti vorrei chiedere come è nata questa tua passione per il viaggio e come mai ti sei poi avvicinata a regioni specifiche quali quelle dell’ex-URSS?
MB: Ciao, grazie a voi per l’invito! Diciamo che sono sempre stata appassionata di viaggi sin da piccola. Passavo i pomeriggi a casa di mia nonna e, non avendo internet, non c’era molto da fare per cui mi divertivo moltissimo a guardare mappamondi e vecchie mappe. Pensa che ho passato talmente tanto tempo a farlo che ora so tutte le capitali del mondo a memoria. La passione per l’Est Europa è nata per caso. Durante l’università avevo fatto domanda Erasmus in Norvegia, ma c’erano solo due posti e a fare domanda c’erano moltissime persone. Non mi hanno presa, ci sono rimasta malissimo. Dopodiché è uscito un nuovo bando con le destinazioni rimaste, tra cui la Lituania. Ho fatto domanda e mi hanno presa. Quando sono partita non avevo bene idea del paese, di come fosse. Mi è piaciuto moltissimo e da qual momento in poi ho voluto vedere di più dell’Est Europa o del mondo post-sovietico in generale.
MM: Viaggi principalmente da sola o in gruppo?
MB: Da sola. Sono andata in Erasmus ad inizio 2016. Prima di allora non avevo mai viaggiato da sola se non per fare corsi di lingua. Da quel momento in poi ho sempre viaggiato da sola o con qualcuno incontrato durante i viaggi, a parte poche occasioni con amici. All’inizio ho visitato l’Europa Centrale e i paesi più accessibili dell’Est Europa. Col tempo mi sono appassionata sempre di più. Sono stata svariate volte in Caucaso, in Ucraina, in tutti i paesi dei Balcani. A febbraio di quest’anno sono andata in Asia Centrale dove sono rimasta quattro mesi.
MM: Ci troviamo ora in un momento in cui è più semplice viaggiare rispetto agli ultimi due anni in cui il covid ha reso il tutto più complicato, sebbene molte mete siano ancora inaccessibili oggi. Tu hai trascorso parte della seconda ondata in Kyrgyzstan a Biškek, ma non solo. Vuoi parlarci un po’ di quei mesi?
MB: Parto dall’inizio. Avevo vissuto un anno a Berlino e avevo la residenza in Germania. Ho approfittato di questa cosa per uscire dall’Italia e andare a Berlino con un volo da Milano. Da lì non c’erano le restrizioni che c’erano in Italia, né limitazioni particolari, l’unico obbligo era la quarantena di una settimana al ritorno. Da Berlino sono andata a Istanbul e da lì a Biškek. La ragione che mi è ha portata in Kyrgyzstan è il fatto che erano anni che volevo andarci. Dovevo già andare in Asia Centrale nel 2020, avevo già il volo prenotato, per visitare tutti e cinque gli Stan via terra, ma ovviamente non c’era stato modo. Ero in Italia, non sapevo cosa fare, i miei piani erano andati in fumo l’anno prima, così ho deciso di partire. Pensavo di stare qualche settimana, gli altri paesi intorno erano chiusi al turismo. Alla fine, ci sono rimasta quattro mesi. Mentre ero lì ha aperto per turismo l’Uzbekistan, che confina con il Kyrgyzstan. Ho colto l’occasione per rimanere di più. Per quanto riguarda la questione pandemia c’è da dire che il Kyrgyzstan funziona, innanzitutto, in modo molto diverso. Non avendo turismo e essendo isolato in inverno non ha avuto particolari picchi pandemici, soprattutto perché pochissime persone ci vanno in quel periodo in quanto le temperature sono particolarmente basse. Il momento in cui la pandemia raggiunge i picchi è l’estate, difatti quando me ne sono andata a maggio iniziavano ad esserci di nuovo numeri particolarmente alti. Naturalmente, i numeri in Kyrgyzstan sono un po’ fittizi, i cittadini devono pagarsi il test anche se stanno male e gli stipendi sono bassi, circa 150/200 € al mese e un test costa sui 20 € quindi in proporzione è molto costoso. I numeri sono al ribasso, quando sono arrivata c’erano segnalati venti casi al giorno in tutto il paese, ma sono numeri da prendere un po’ con le pinze… All’inizio era uno shock, in Italia questo inverno la situazione era assurda mentre in Kyrgyzstan sembrava invece che non stesse succedendo nulla, c’era una situazione decisamente più rilassata.
MM: Attualmente ti trovi in Georgia, se non sbaglio. Vuoi raccontarci la Georgia da un tuo punto di vista? Anche in questo caso, in Italia come in altri paesi si ha una concezione di una città come Tbilisi completamente fuorviante, nonché della Georgia stessa che non concepiamo come un paese molto stratificato culturalmente ed etnicamente.
MB: Sì, attualmente sono a Tbilisi. Sono qui per lavorare alla mia compagnia di tour che vorrei aprire, sebbene non sia un gran momento dato che molti paesi che mi interessano non sono più accessibili ora dall’Italia. Il motivo per cui ho scelto la Georgia è che il visto dura un anno, non si hanno problemi burocratici di alcun tipo una volta qui e, inoltre, per gli standard europei è molto economico. Naturalmente, la Georgia è un paese complicato, ci sono due regioni indipendentiste. Sebbene sia un paese piccolo ha una grande forza identitaria. Dal punto di vista culturale ci sono moltissime culture che convivono, non a caso si trova nel punto di incontro tra Asia e Europa. Difatti, è un paese che guarda tanto all’Europa, la piazza principale di Tbilisi è piena di bandiere dell’Unione Europea. Sebbene si sentano in qualche modo di poter appartenere all’Europa, naturalmente lo standard di vita è nettamente inferiore. Sicuramente l’entrata nell’Unione Europea della Georgia è un avvenimento che non accadrà a breve, ci sono ancora molti problemi interni al paese non solo in termini politici ma anche economici. Politicamente, il vecchio presidente si trova attualmente in prigione e ci sono un sacco di proteste per farlo uscire, le elezioni hanno portato a un pareggio tra i due partiti maggiori.
Parlando nello specifico della mia esperienza, questa è la quarta volta che vengo in Georgia, quindi, è un paese che conosco bene. Penso sia molto bello esteticamente parlando. Ci sono montagne altissime, luoghi che purtroppo sono poco conosciuti come il monte Kazbek, che si trova al confine con la Russia. Ci sono contrasti tra il mare e le montagne, le città sono piene di storia. Ad esempio, non molti sanno che il vino (sebbene sia una questione un po’ contestata tra Armenia e Georgia), viene da qui. Il cibo è buonissimo e le persone sono molto gentili, soprattutto quando ti sposti fuori dalle grandi città. Oggi sono andata a fare delle foto in un palazzo post-sovietico e un signore è sceso dal suo appartamento per chiedermi se fossi una giornalista. Gli ho detto che ero una turista italiana e lui felicissimo è andato al negozio sotto casa per comprarmi un tè e delle patatine.
Come dicevo, il paese guarda molto al progresso. Al tempo stesso, è un paese che guarda ancora molto al passato. Sai quando si dice “una volta si viveva meglio”? Penso che in Georgia per molte persone sia davvero così. Le pensioni, ad esempio, sono molto basse. Inoltre, il fatto che sia il paese d’origine di Stalin implica che oggi sia ancora “idolatrato”, nonostante tutto quello che ha fatto di terribile durante gli anni in cui era al governo, anche nei confronti della Georgia stessa. Stalin è una figura ancora oggi accettata da una parte della popolazione: c’è il museo di Stalin ancora aperto, a Gori, la sua città natale, ci sono ancora numerose statue. A Tbilisi vengono calzini e statuette di Stalin. Al tempo stesso, non c’è Lenin da nessuna parte. Secondo me è un paese che ha nostalgia ma che vuole anche guardare al futuro perché non ha altra scelta. Quando cammini per la Georgia trovi i segni della guerra con la Russia: adesivi che ricordano che il paese è in parte ancora oggi occupato, altri con su scritto “Russia tiranna” o “Putin schifo”. Si tratta di una situazione complicata, diciamo. Inoltre, c’è un enorme gap generazionale tra i giovani che guardano all’Europa e gli anziani che, avendo vissuto una Georgia completamente diversa, provano un forte sentimento di nostalgia. Con tutta probabilità in futuro sarà un paese che tenderà definitivamente all’Europa, ma per ora si trova ancora tra due fuochi.
MM: Certo, poi questo conflitto generazionale si fa ancora più complicato se si pensa alla complessa stratificazione culturale della Georgia, a cui appunto accennavi prima, e al fatto che comunque esiste un’enorme differenza tra la concezione della vita in una città come Tbilisi e, invece, le zone rurali…
MB: Infatti, Tbilisi comunque è una città con uno standard di vita molto alto in confronto alle campagne. Inoltre, è un luogo in cui c’è un importante afflusso di turismo e gli abitanti sono anche abituati a vedere turisti stranieri e a entrare in contatto con la cultura occidentale. Tra l’altro, ci sono moltissimi turisti che vengono dall’Arabia Saudita, un aspetto molto curioso se ci pensi.
MM: Parlando di luoghi che non sono particolarmente turistici come il Kyrgyzstan, tu sei stata anche in Transnistria: vuoi raccontarci di più di questa tua esperienza?
MB: In realtà, da quando il Sheriff Tiraspol è finito in Champions League ci sono sempre più persone che se ne interessano. Io ero già stata in Transnistria quattro anni fa con una ragazza moldava che avevo conosciuto in università. Siamo andate insieme a Tiraspol, solo che ai tempi davano solo visti di dieci ore, che si potevano allungare ma era abbastanza complicato. Ci sono rimasta poco più di otto ore e per questo motivo ci sono voluta tornare quest’anno. Ci sono andata in corrispondenza della giornata dell’“indipendenza”. Devo dire che è molto interessante: c’è una parata militare dove il presidente discute di com’è andato l’anno o parla dell’indipendenza stessa. Veniva esaltata la Russia, dopotutto uno dei loro obiettivi è proprio l’annessione. Infatti, se la Transnistria fosse uno stato indipendente all’interno della Moldavia non avrebbe un gran potenziale. La Transinstria non è molto rilevante ma diventerebbe un ulteriore luogo di confine tra Russia e Ucraina quindi si parla di aspetti parecchio complessi. Per me è un luogo interessantissimo, assurdo per certi versi. Innanzitutto, è un luogo molto sicuro e che consiglio caldamente per la sua particolarità. L’architettura è come quella dei tempi sovietici, non hanno rimosso statue o simboli, mentre invece in Moldavia simboli come la falce e il martello o le statue di Lenin sono state tolte. In Transnistria è rimasto tutto come prima, vedono in quei simboli la proiezione della Russia o perlomeno di quello che la Russia era una volta quando facevano parte della stessa realtà statale. Per loro è anche un modo per differenziarsi dalla Moldavia. Fuori dalla città il resto è davvero diverso, è tutto bloccato a cinquant’anni fa. La capitale è molto più sviluppata di quanto si pensi, in realtà. Ci sono anche luoghi più all’occidentale, anche se da poco, difatti nel 2018 quando ci sono stata la prima volta non c’erano.
MM: Questo aspetto, ovvero il fatto che siano presenti panorami ancora intatti di epoca sovietica in cui il tempo pare essersi fermato è particolarmente interessante. Infatti, se si pensa agli stati che facevano parte dell’URSS o a quelli satellite, raramente si assiste alla presenza di questi retaggi. Le statue, ad esempio, sono state fatte saltare letteralmente in aria oppure nascoste in dei magazzini. Diciamo che in Transnistria cercano un’identità che si trova in un futuro che sperano essere prossimo, ma al tempo stesso guardano al passato rimanedovi impigliati. Trovo sempre interessante osservare questi contrasti…
MB: Per me è uno degli aspetti più interessanti. A Tiraspol le persone più giovani vivono alla moda occidentale, ma dal punto di vista estetico incombe la presenza del passato sovietico. C’è un’atmosfera intoccata ma applicata alla contemporaneità…
MM: Mi ricordo infatti che avevi messo delle foto di una stolovaja sovietica…
MB: Ci sono quelle autentiche e quelle invece create apposta, tipo una che si chiama “Kafe Bar USSR” fatta non per turisti ma per loro stessi. Non è adatta a un turista dall’Italia ma, piuttosto, a una persona del posto che vuole godersi un’atmosfera ancora più sovietica di quella che già offre la città. Sembrano attrazioni kitsch per i turisti mentre invece sono per loro, è quasi un paradosso. Io penso che vogliano in qualche modo sviluppare il turismo, sebbene sappiano che una Tiraspol non può offrire quello che invece offre una Londra, difatti qualche anno fa era un po’ più complesso entrarci mentre ora è molto semplice. C’è una gran voglia di legittimarsi.
MM: Parli spesso dello sconvolgimento che provocano queste realtà. Che tipo di impatto hanno avuto queste realtà su di te la prima volta che ci sei entrata in contatto?
MB: Diciamo che io sono andata per gradi, non ho mai avuto uno shock troppo grande. Sono partita dai Baltici che hanno un lieve tocco post-sovietico. Poi ho sempre aggiunto qualcosa, il mio primo paese post-sovietico non è stato il Kyrgyzstan altrimenti avrei certamente avuto uno sconvolgimento culturale molto più grande.
MM: In questi viaggi quali sono le difficoltà maggiori? Cerco di immedesimarmi in qualcuno che decide di andare per la prima volta in Caucaso, ad esempio…
MB: Vorrei dire la lingua, ma dipende molto da qual è la meta. A Tbilisi, ad esempio, moltissime persone parlano inglese, quindi non è complesso comunicare, soprattutto se fai cose più turistiche. Una delle difficoltà del Caucaso è sicuramente il sapersi adattare. Spesso, infatti, i servizi o la qualità delle cose non sono come in Europa. Mi immagino che molti si aspettino di pernottare in un hotel che rispecchi lo standard italiano, quando in generale non è così, questo tanto in Caucaso quanto in Asia Centrale. Un altro aspetto importante consiste nella mentalità delle persone che è molto diversa, ci sono alcuni discorsi soprattutto di carattere politico o sociale che vengono affrontati in maniera differente, penso solo a discorsi in materia di diritti delle donne o della comunità LGBTQ+. Ci sono argomenti che hanno una risonanza particolare in questi paesi, non sei mai sicuro con chi ne andrai a parlare, è importante tendere sempre in considerazione il contesto.
MM: Certo, occorre sviluppare una sensibilità differente da quella a cui si è abituati, anche perché ci si interfaccia con paesi con uno sfondo storico-culturale per molti aspetti differente…
MB: Esatto, ovviamente questo non è un commento negativo nei loro confronti. Ci sono certe usanze davvero assurde agli occhi di un occidentale. In Kyrgyzstan, ad esempio c’è il ratto della sposa secondo cui una donna viene rapita mentre è per strada, portata in una stanza dove i genitori di lei e di lui la aspettano. Naturalmente non condivido un comportamento di questo tipo, molti in Kyrgyzstan hanno iniziato ad opporvisi, ma ecco: succedono anche situazioni di questo tipo quindi la sensibilità rispetto ad alcuni temi è radicalmente diversa.
MM: Certo, non nego che un giudizio ci debba essere da parte di chi osserva, ma questo deve sempre essere mediato da una buona dose di consapevolezza…
MB: Certo, si può giudicare ma comprendendo il contesto. In ogni caso è molto più semplice visitare questi paesi rispetto a mete più gettonate. Per esperienza personale, ho avuto pochissime difficoltà a viaggiare da sola in Caucaso, sono quasi sicuramente i paesi più sicuri in cui io sia mai stata, alla pari di Islanda o Nuova Zelanda per dirti. Certamente ci sono molti aspetti che toccano maggiormente i locali rispetto alle persone che ci vanno per turismo.
MM: Anche perché si tende sempre a sottolineare i problemi che si potrebbero incontrare in questi paesi, ma non si cerca mai di problematizzare lo sguardo dell’osservatore, deviato da pregiudizi o concetti che in realtà sono errati. Diciamo che la maggior parte delle persone che guardano a queste aree lo fanno con una spiccata attrazione per la loro componente “esotica”…
MB: C’è una percezione proprio sbagliata spesso di questi paesi, si possono presentare situazioni pericolose anche in luoghi più visitati ma la gente apparentemente non ci fa caso. Questo accade anche perché sono spesso paesi poco conosciuti. Trovo assurdo che molte persone vadano in Sud America senza considerare che ci sono molti più pericoli che in un paese come appunto il Kyrgyzstan… Io penso che la prima domanda che fanno a una persona che è stata in Perù non sia “quanto è pericoloso?”, ma piuttosto “quanto è bello Machu Pichu?” A volte le persone confondono anche la realtà politica con quella sociale, penso a paesi come Kazhakstan o Turkmenistan. Una delle ragioni per cui sto aprendo la mia compagnia di tour è per invogliare anche chi ha timore di questi paesi ad andarci.
MM: A proposito ti volevo infatti chiedere che programmi hai per il futuro, mi parlavi di questi tour che vorresti organizzare…
MB: Sto lavorando alla mia compagnia, l’idea è di aprirla in italiano e in inglese, principalmente in inglese perché la domanda è maggiore. Questi paesi sono una realtà ancora di nicchia nel nostro paese. Il business model consisterebbe nell’organizzare dei tour da 3 giorni alle tre settimane in luoghi del mondo post-sovietico: Transnistria, Chernobyl’, Uzbekistan e Caucaso. Col tempo spero di aumentare le mete, ma per ora sono queste che conosco meglio. Oltre a me, ci saranno anche delle guide del posto e il pacchetto includerebbe hotel, attività e trasporti tranne gli aerei perché le persone verranno da posti differenti e non vorrei escludere nessuno. L’unico problema è che è molto più complesso da organizzare di quanto sembri, è complesso fare business in luoghi che hanno un’idea del business differente dalla tua europea. Ci sono partner con cui è complesso mediare, per ragioni anche di carattere culturale. Non è così semplice come organizzare, ad esempio, un tour in Italia diciamo.
MM: Certo. Hai parlato di Chernobyl’ tra le tue mete. Si discute spesso riguardo a come si sia arrivati a un fenomeno di turismo di massa, soprattutto dopo la realizzazione della serea HBO, e quanto questo sia corretto oppure in un certo senso sicuro, si parla spesso in toni negativi di “dark tourism” o “turismo nucleare”. Che opinione hai a riguardo?
MB: Io sono stata a Chernobyl’ prima della serie, è sempre stato un luogo che mi ha interessato. Il turismo dark mi è sempre piaciuto, da un viaggio non cerco il bello tradizionale ma aspetti interessanti. Da questo punto di vista Chernobyl’ è una specie di tempio. Secondo me ci sono diversi livelli di analisi di questa questione. Innanzitutto, l’aumento di turismo in Ucraina non è un male, è un paese che ne ha bisogno. Inoltre, è anche un modo di educare le persone: è un luogo che sconvolge. Secondo me non c’è bisogno di condannare il turismo lì, io condanno chi ci va come se fosse un gioco, senza presa di coscienza. Anche io ho visto la serie, che mi è piaciuta molto, e credo che qualcuno che l’ha vista non possa non andarci senza un’idea precisa in testa. Questo atteggiamento riguarda un po’ tutte le mete, indipendentemente dal turismo dark.
MM: Sono perfettamente d’accordo con quello che dici. Il fatto è che ci sono opinioni contrastanti, mi trovo spesso a discuterne con persone che si interessano di queste aree, anche per studio, e i punti di vista sono spesso diversi…
MB: Ogni persona ha interessi diversi, a me interessano davvero tanto. C’è chi giudica e basta, senza comprendere che c’è chi nutre davvero un’attrazione per questi luoghi.
MM: C’è anche la tendenza a identificare questo aumento di turismo come un effetto di quella “americanata” che è la serie prodotta da HBO. Io penso spesso che le persone si dimentichino di come si sviluppi l’informazione, ad esempio, in Italia. A molti prima della serie l’episodio Chernobyl’ era noto, ma non nella sua interezza, nel senso che pochi avevano sviluppato un vero interesse che li portasse anche ad approfondire la questione. La serie ha mostrato la storia di Chernobyl’ da un punto di vista più esaustivo rispetto a come si era abituati, attraverso un canale accessibile a molti…
MB: Ad esempio, quanti di noi avevano un’età per capire cos’era successo?
MM: Certo, ma poi anche le modalità con cui le notizie a riguardo del disastro erano trapelate sono abbastanza discutibili…
MB: Esatto. Io parlo per me, conoscevo la storia di Chernobyl’ ma perché me ne sono sempre interessata. Penso invece ad altri, che invece non si sono mai informati, mentre con la serie hanno compreso di avere questo interesse. Lo stesso discorso lo si può fare nel caso di chi va in viaggio in Corea del Nord. Li vedo come due esempi molto simili.
MM: Su YouTube ci sono anche diversi documentari in cui si parla di coloro che sono tornati a vivere nelle zone del disastro, ad esempio quelle che chiamano babuški di Chernobyl’, oppure di come venga gestito il turismo. Lo sguardo che viene rivolto al primo fenomeno è spesso giudicante, ma questo è dovuto a un’incapacità di comprendere questo bisogno di tornare in luoghi che si era stati obbligati a lasciare…
MB: Sono d’accordo, se sei una signora di settanta anni ucraina magari non riesci a comprendere cosa effettivamente siano le radiazioni, soprattutto se non hai avuto un’istruzione diversa. Tra l’altro, le radiazioni oggi non hanno la stessa incidenza di quando è accaduto il disastro, anzi è nettamente inferiore. Sono percezioni diverse, dovremmo provare ad immedesimarci in qualcuno che ha sempre vissuto nella campagna ucraina e d’improvviso essere costretto a spostarsi a Kiev, una realtà completamente diversa e scioccante. La differenza tra i villaggi e la capitale è enorme, sono due mondi molto distanti.
MM: Se dovessi pensare a delle mete est-europee che sono sottovalutate, quali indicheresti? Io penso sempre a quanto, ad esempio, venga sottovalutata l’Albania che invece è un paese vicino che ha moltissimo da offrire. Purtroppo, in Italia siamo anche limitati da mentalità retrograde.
MB: Come hai detto tu metterei l’Albania, non tanto per le città quanto per i paesaggi, c’è un mare che è davvero comparabile a quello della Sardegna. Purtroppo, la percezione italiana dell’Albania è influenzata dagli avvenimenti recenti, viene visto come un luogo povero e pericoloso. Poi direi l’Ucraina, a cui sono molto legata, sia per le città che per la campagna. Kiev è, a mio parere, una delle città più belle d’Europa e pochi magari se lo aspettano. Mi è piaciuta molto anche la Bosnia perché è un interessantissimo incrocio tra diverse culture. Inoltre, è un luogo vicino a noi che ha molto da offrire e che insegna davvero tanto. C’è molto turismo ma non italiano, per quanto sia vicina. Infine, direi il Kyrgyzstan perché l’aspetto naturalistico, oltre all’aspetto post-sovietico. Ci sono montagne altissime, che superano i 7000 metri. Non si sa molto del Kyrgyzstan, penso che sia il meno conosciuto degli Stan insieme al Tagikistan, magari si sa che esistono ma non bene dove. L’Uzbekistan, invece, è stupendo dal punto di vista architettonico, mentre la natura lascia un po’ a desiderare: è una buona combinazione con il Kyrgyzstan perché confinano, uno ha bellezze architettoniche e uno di carattere naturalistico.
Padova-Tbilisi
1/11/2021
Apparato iconografico:
Tutte le immagini inserite sono state scattate da Micol Ballerin.