“Liza la fata volpe”: favola bizzarra di un amore insanguinato

Anna Righetto

 

“Liza, la fata volpe” è la traduzione letterale di Liza a rókatündér, titolo del primo lungometraggio del regista ungherese Károly Ujj Mészáros, uscito nelle sale nel 2015 e per ora disponibile solo in ungherese sottotitolato in inglese.

La carriera di Ujj Mészáros, iniziata nel 1994, è caratterizzata da cortometraggi fantastici, abitati da personaggi bizzarri, come Palika leviszi a szemetet (“Palika porta giù la spazzatura”) e Gumiember (“L’uomo di gomma”), per poi passare a storie più realistiche e drammatiche, come 3 (történet a szerelemről) (“3 (storia sull’amore)”) e Alena utazása (“Il viaggio di Alena”). In Liza la fata volpe Ujj Mészáros recupera alcuni elementi delle opere precedenti per fonderli in un film che mescola generi e toni apparentemente non compatibili tra loro.

La fonte d’ispirazione del regista è la tragicommedia di Zsolt Pozsgai Liselotte és a május (“Liselotte e il maggio”) in cui i corteggiatori di un’infermiera muoiono uno dopo l’altro. Ujj Mészáros e il co-sceneggiatore Bálint Hegedűs prendono invece in prestito il motivo della fata volpe dalla mitologia giapponese e creano una commedia romantica dall’umorismo nero, in cui l’assurdo e il bizzarro si intrecciano alla più classica storia d’amore a lieto fine.

La vicenda è ambientata negli anni Settanta, nella città immaginaria di Csudapest (“Pest miracolosa”), di cui scorgiamo scorci e vedute. Il centro di Csudapest sembra essere il Mekk, un ristorante fast food che fa da fulcro a delle scene cruciali del film. Ovviamente nella città di Csudapest si riconosce Budapest, così come nel Mekk riconosciamo il McDonald’s. Il regista altera leggermente la realtà, modifica i nomi e modifica alcuni elementi dei luoghi più emblematici di Budapest. Ogni elemento della realtà in questo film viene distorto in maniera impercettibile, ci troviamo in un universo altro, ma in cui qualcosa ci è familiare, in cui abbiamo dei punti di riferimento. Siamo in un mondo unheimliche, parallelo, distante, ma non troppo.

La protagonista del film è Liza, un’infermiera di trent’anni che ingenuità e timidezza portano a vivere una vita solitaria, ai margini della società. Liza dedica la sua vita alla cura di Márta, la vedova di un ambasciatore giapponese, che tramite le canzoni di Tomy Tani ha insegnato alla giovane ragazza il giapponese. Lo spirito di Tomy Tani, cantante giapponese defunto, che solo Liza vede, è il primo elemento surreale che incontriamo nel corso del film. È proprio Tomy Tani a scandire la trama del film, a sbloccare gli eventi e le situazioni in cui Liza si ritrova.

Il giorno del suo trentesimo compleanno, ispirata dal suo romanzo preferito che legge e rilegge ossessivamente, Liza si reca al Mekk, in attesa di incontrare l’anima gemella. Tomy Tani, in preda alla gelosia, per ripicca uccide Márta. Tomy Tani non si ferma qui e provoca la morte di tutti gli uomini che dimostrano un interesse nei confronti di Liza, che muoiono in modi sempre più bizzarri. Il cantante giapponese sembra suscitato dall’istanza morale di Liza e ne censura drasticamente gli amori non disinteressati. È lo stesso Tomy Tani a condurla a supporre di essere una fata volpe, demone che secondo la mitologia giapponese è condannato a veder morire coloro che se ne innamorano. Solo l’amore disinteressato spezzerà la maledizione.

La polizia, insospettita da queste morti, incarica il sergente Zoltán di investigare. Quest’ultimo diventa affittuario nell’appartamento che Liza ha ereditato da Márta. Tomy Tani cerca in tutti i modi di ucciderlo, ma i suoi comici tentativi falliscono.

La morte di Henrik, l’uomo che Liza era convinta fosse la sua anima gemella, porta la ragazza al suicidio. Lo stato delirante in cui Liza si trova dopo aver ingerito la dose letale di sonniferi le rivela la realtà dei fatti. È in questo stato confusionale che Liza capisce che è Zoltán la sua anima gemella. Tomy Tani è la morte in persona, che ha spinto Liza al suicidio per poter passare l’eternità con lei. Lo spirito, che si vede rifiutato da Liza, minaccia di rendere la vita di Zoltán un inferno. Liza, pur di salvaguardare la vita dell’investigatore, accetta a malincuore di passare l’eternità con Tomy Tani. La maledizione si spezza: Liza ricambia l’amore disinteressato di Zoltán, che raggiunge Liza appena in tempo, e le fa sputare le pillole.

Liza e Tomy Tani

Si tratta un film senza precedenti in Ungheria. Il procedimento narrativo postmoderno evoca l’estetica malinconica e surreale di Wes Anderson e l’atmosfera delicata e sognante de Il favoloso mondo di Amélie di Jean-Pierre Jeunet. Del film francese ritroviamo la voce narrante maschile calda e pacata che descrive la vita dell’eccentrica protagonista.

Edifici rigorosamente ripresi frontalmente, che non possono non ricordarci il Gran Budapest Hotel, inquadrature di interni caratterizzati da un ordine ossessivo, personaggi incastrati in inquadrature simmetriche, studiate fino all’ultimo dettaglio, maniacali nella loro perfezione geometrica: sono tutti elementi che urlano a gran voce il nome di Wes Anderson.

Ma mentre il regista americano in Gran Budapest Hotel ha creato un mondo parallelo che si rifà alla più favolosa versione della Mitteleuropa, Ujj Mészáros nella sua Csudapest non ha voluto dimenticare quegli elementi – per qualcuno mostruosi, per qualcun altro affascinanti – dell’estetica socialista. In Liza la fata volpe non vediamo solo i maestosi palazzi ottocenteschi del centro di Budapest, che ricordano con malinconia gli anni d’oro dell’Impero Austro-Ungarico. Vediamo anche gli edifici prefabbricati che uno dopo l’altro hanno punteggiato tutti i paesi del blocco socialista. Un’attenzione particolare è dedicata all’arredamento: sia l’umile appartamento di Liza, sia il salone della parrucchiera di Zoltán, sia gli interni del Mekk evocano con cura e attenzione il gusto di un’epoca.

Tutto ciò che vediamo nel film viene ricoperto da una patina vintage: la fotografia è caratterizzata da colori poco saturi e da un filtro giallognolo che connotano ulteriormente l’atmosfera dell’opera. La penombra caratterizza la fotografia del film. Liza si muove in un appartamento buio, come se fosse timorosa di farsi vedere anche da sé stessa. Solo l’abito turchese di Tomy Tani porta un po’ di luce nella tana in cui Liza si nasconde. I colori prendono vita solo nelle scene legate ai sogni, o ai deliri, della protagonista, che sono anche i momenti di rivelazione, in cui l’inconscio emerge mettendo in discussione la realtà dei fatti.

L’elemento visivo del film ha il sopravvento sulla trama. Morte, sesso e violenza vengono mitigati da uno stile ovattato e ironico, che trasforma quello che potrebbe essere un thriller in una favola della buonanotte. Argute gag visive accompagnano il sanguinoso calvario di Liza nella paura della solitudine. Tutto ciò che potrebbe scandalizzare, turbare, impressionare, viene filtrato da una lente ironica e talvolta ridicola. Basti pensare alla parodia estrema dell’atto sessuale nella scena che vede Henrik e una delle sue amanti rimbalzare al rallentatore su una palla da yoga avvinghiati uno all’altro, emettendo dei suoni che di erotico hanno ben poco.

Il lato comico del film viene espresso anche tramite i dialoghi, in cui forse sono le parole non dette ad assumere maggiore rilevanza. Ujj Mészáros e Hegedűs hanno lavorato alla sceneggiatura per cinque anni prima di arrivare alla versione finale; il risultato sono dei dialoghi in cui ogni parola è misurata a tal punto che la virtù dei personaggi si nasconde proprio nel loro silenzio. È Henrik il personaggio a cui più spesso è data voce, uomo senza morale che inganna Liza, mentre Zoltán, “l’eroe” del film, che scioglie la maledizione, parla a malapena.

Liza e Henrik nel Mekk

Anche la recitazione degli attori concorre a quest’atmosfera ovattata, irreale, in cui si svolge la storia di Liza. L’intenzione dichiarata del regista era, infatti, quella di creare un contrasto tra una recitazione il più contenuta e realistica possibile e il surreale universo in cui la storia è ambientata.

A giocare un ruolo chiave nel delineare l’estetica del film è la componente musicale. I riferimenti principali sono due. Innanzitutto la musica pop giapponese, di cui Tomy Tani è l’esponente per eccellenza, e che con i suoi toni allegri e al contempo alienanti accompagna grottescamente le morti dei vari uomini invaghiti di Liza.

Secondariamente, la musica western finlandese, di cui Zoltán è l’unico fan in Ungheria, irrompe nella scena cruciale del salvataggio di Liza, una delle più efficaci del film. Al rallenty, Zoltán riporta in vita la ragazza: l’investigatore che corre verso il letto della ragazza muovendo le braccia in modo caricaturale, come ad imitare un personaggio dei cartoni animati, inciampando e ferendosi diverse volte durante questo breve tragitto dall’ingresso al letto di Liza, e intanto mantenendo un’espressione totalmente imperturbabile, è probabilmente una delle occasioni di maggiore ilarità nel film.

Zoltán e Tomy Tani

Zoltán, sebbene ricopra l’indiscutibile ruolo di personaggio positivo – anzi, sia l’eroe per eccellenza –, ci fa anche ragionare sui ruoli di genere che questo film propone. Se ci si pensa bene, Liza è in fondo una femme fatale ingenua, innocente, ma pur sempre fatale, e nel senso letterale del termine. E la maledizione non può essere sciolta se non da un uomo che la ami. E se quell’uomo non c’è, l’unica opzione di Liza è darsi la morte. Inoltre, in una storia non molto lontana da quelle delle principesse di Walt Disney non poteva non esserci il lieto fine. Un film che tramite tutti i mezzi del cinema voleva proporre una realtà alternativa, che sembrava voler accettare e legittimare l’alterità, si conclude con il più tradizionale dei lieto fini.

La fata volpe è stata addomesticata? Liza prima era una timida ragazza con le trecce e vestiti dimessi, forse ora è diventata una timida ragazza in vestito succinto, degna di un uomo che la possa guarire dalla sua maledizione? Forse la rivoluzione che Ujj Mészáros ha compiuto a livello di linguaggio non è accompagnata da una rivoluzione morale.

 

Sitografia:

https://port.hu/adatlap/film/tv/liza-a-rokatunder-liza-a-rokatunder/movie-152275 (ultima consultazione: 30/11/2021).

https://filmarchiv.hu/hu/alapfilmek/film/liza-a-rokatunder (ultima consultazione: 30/11/2021).

https://nfi.hu/hu/film/liza-a-rokatunder (ultima consultazione: 30/11/2021).

https://www.mmalexikon.hu/kategoria/film/liza-a-rokatunder (ultima consultazione: 30/11/2021).

https://revizoronline.com/hu/cikk/5432/liza-a-rokatunder/ (ultima consultazione: 30/11/2021).

https://hu.wikipedia.org/wiki/Ujj_M%C3%A9sz%C3%A1ros_K%C3%A1roly (ultima consultazione: 30/11/2021).

https://variety.com/2016/film/reviews/liza-the-fox-fairy-review-1201679632/ (ultima consultazione: 30/11/2021).

 

Apparato iconografico:

Immagine 1: https://variety.com/2016/film/reviews/liza-the-fox-fairy-review-1201679632/.

Immagine 2: https://roboraptor.blog.hu/2015/02/20/csudapest_csudapest_te_csodas_liza_a_rokatunder_kritika.

Immagine 3: https://framescinemajournal.com/article/witchs-curse-hegemonic-narratives-female-melancholy-and-the-perseverance-of-patriarchy-in-liza-the-fox-fairy/