Eleonora Smania
A cavallo tra il XIX e il XX secolo il panorama teatrale russo fu caratterizzato da spinte innovatrici introdotte da artisti visionari, i quali avvertirono la necessità di rinnovare le forme e tentarono di concretizzare i propri sforzi, sperimentando con mezzi espressivi alternativi a quelli obsoleti proposti dalla scena imperiale, caratterizzata da elementi tipi della scuola teatrale settecentesca parigina come il costante utilizzo di pose plastiche e di un’esagerata espressione dei sentimenti. Tra questi visionari si individua la figura di Vera Fedorovna Komissarževskaja, icona indiscussa del panorama teatrale del Secolo d’Argento amata per la sua recitazione ispirata e la visione mistica dell’esistenza e dell’arte e musa ispiratrice dei poeti simbolisti (nei loro componimenti dedicati all’attrice, gli artisti simbolisti si riferivano a lei con il termine Prekrasnaja Dama), e Vsevolod Ėmil’evič Mejerchol’d, a quei tempi ex-allievo di Stanislavskij e regista emergente presso il Teatro in via Oficerskaja, aperto nel 1906 dall’attrice stessa. L’insofferenza condivisa verso il repertorio datato del teatro russo, la corrispondenza con Anton Čechov, il desiderio di sperimentazione e la consapevolezza dell’importanza rivestita dalla letteratura contemporanea nella formazione del teatro del furono le basi per l’inaspettato sodalizio tra la celebre étoile e il giovane regista della provincija.
Nonostante l’entusiasmo mostrato da parte dell’attrice, Vsevolod Ėmil’evič nutriva inizialmente alcune riserve in merito alla collaborazione, temendo che la figura ingombrante dell’attrice-impresaria avrebbe drasticamente limitato la sua libertà artistica. Difatti, nei drammi in cui soleva partecipare, l’attrice tendeva a catalizzare l’attenzione del pubblico sulla sua figura attraverso le sue uniche doti recitative, oscurando il resto della compagnia. Sebbene avesse non poche perplessità, Mejerchol’d era ben cosciente che la collaborazione con la celebre attrice presentasse diversi vantaggi derivanti e per questo decise di entrare a far parte della compagnia di Vera Komissarževskaja in qualità di regista nel 1906, ottenendo carta bianca nella regia dei drammi da inscenare e completo supporto dall’attrice-impresaria e da Fedor Komissarževskij. Per rinnovare la scena teatrale russa, Mejerchol’d sosteneva nel saggio Pervye popytki sozdanija uslovnovo teatra (“I primi tentativi di teatro ‘della convenzione’”, saggio tradotto e pubblicato in Italia da Donatella Gavrilovich in La rivoluzione teatrale) la necessità di “infrangere il principio che sta alla base del teatro naturalista”, ossia la precisione nella riproduzione della natura, atta a ridurre la distanza tra realtà e la finzione. Per l’ex-allievo di Stanislavskij era inconcepibile trasporre con fedeltà la realtà nella scena teatrale.
“Nel secondo atto del Giardino dei ciliegi, i personaggi passeggiano sull’orlo di un ‘vero’ burrone, vicino a una ‘vera’ cappella, mentre dal cielo pendono due grandi pezzi di tela colorata in celeste, con volants in velo, che non somigliano affatto né al cielo, né alle nuvole.” (pag.71)
La domanda che si pose il regista era tanto spontanea quanto complessa: come si può “riprodurre” in tutto e per tutto un contesto reale, quando la natura stessa della forma d’arte con cui si sperimenta non lo permette? Mejerchol’d considerò che il teatro dovesse essere il luogo dove la mente del poeta veniva armoniosamente rappresentata e l’elemento realistico non era altro che un ostacolo all’espressione artistica degli attori, dell’orchestra, degli scenografi e del regista Affinché gli attori si potessero liberare dall’anarchia del teatro naturalistico il regista, Mejerchol’d propose l’applicazione della stilizzazione, tecnica recitativa basata sull’uso di una gestualità non naturalistica e dettata da un linguaggio compositivo specifico stabilito dal regista.
La prima occasione in cui le direttive del nuovo regista vennero testate per la prima volta fu la prima di Hedda Gabler, avvenuta il 10 novembre 1906 in onore dell’apertura del nuovo teatro in via Oficerskaja. Seguendo le indicazioni fornite dal regista, gli attori scandirono ritmicamente le parole senza troppe coloriture e prestarono molta attenzione alle pose e ai movimenti da compiere in scena, mettendo in risalto il contrasto tra ciò che veniva espresso a parole e ciò che veniva espresso attraverso le pose e i movimenti La scenografia fu allestita in modo da far risaltare le figure degli attori, giocando con l’armonia tra linee e colori dei pannelli decorativi, degli oggetti di scena e dei costumi. Nonostante l’impegno profuso dall’intera compagnia, l’applicazione della stilizzazione nella recitazione della compagnia e la partecipazione di Vera Komissarževskaja nei panni di Hedda furono gli elementi che crearono maggiore scalpore tra i critici. Conosciuta e apprezzata dal pubblico per la rappresentazione di giovani donne circondate da un’aura di purezza adolescenziale e innocenza, l’étoile scandalizzò il pubblico nel ruolo della cinica, sensuale e crudele protagonista della pièce, attirando su di sé le feroci critiche, che la descrivevano come “sbiadita e sminuita, una figura formata da un vestito elegante, una parrucca fulva, occhi verdi […] e pose plastiche” (pag. 4).
La prima dello spettacolo risultò in un completo disastro, tuttavia Vera Komissarževskaja – colpevole secondo la critica di essersi sottomessa a un regista dispotico che soffocava il suo vero talento – continuò a supportare l’operato di Mejerchol’d, riponendo fiducia nelle capacità artistiche del giovane. La fiducia non venne mal riposta e nel 22 novembre del 1906 la regia mejerchol’diana ottenne il primo successo con la messinscena del dramma maeterlinckiano Sœur Béatrice (“Suor Beatrice”).
Sœur Béatrice (22 novembre 1906) rappresentò il primo grande successo del Teatro in via Oficerskaja. Il primo fattore che contribuì alla riuscita dello spettacolo fu la recitazione stilizzata – caratterizzata da movimenti calcolati ed esteticamente curati – rivelatasi adatta nel trasmettere l’atmosfera religiosa e reverenziale presente nella pièce maeterlickiana. Gli attori, costretti a muoversi all’interno dello spazio delineato dai pannelli decorativi e dalle scale del palco, assomigliavano alle figure bidimensionali appartenenti all’iconografia sacra. Un altro fattore che si rivelò decisivo fu la scelta – stavolta azzeccata – di Vera Komissarževskaja per la parte della Vergine Maria e di Beatrice, ruoli più affini alla sua visione mistica del teatro e sensibilità artistica: attraverso i due personaggi principali, l’attrice pietroburghese riuscì a conciliare la sua necessità di sperimentazione con il suo personalissimo talento recitativo. Se il personaggio della Madonna le appariva come l’incarnazione di quell’ideale di perfezione e pace mistica che desiderava trasmettere nel suo teatro, nella protagonista Vera Fedorovna rivedeva le giovani e innocenti eroine che aveva interpretato in passato.
Si potrebbe ipotizzare che la messinscena di Sœur Béatrice rappresentò una forma di compromesso tra il regista e la grande attrice. L’étoile pietroburghese – convinta della necessità di trovare nuove forme espressive per il teatro – ascoltò e seguì le direttive del regista; tuttavia, ebbe l’occasione di infondere il suo tocco personale nella messinscena dello spettacolo, arricchendo i personaggi affidatele con la sua personale e genuina interpretazione. La performance di Komissarževskaja nei panni di Suor Beatrice commosse il pubblico, come raccontò Vera Verigina, membro della troupe del Teatro in via Oficerskaja nel suo diario:
“Per sempre ricorderò la scena dell’appello di Suor Beatrice alla statua della Madonna e a seguire la scena con il principe Belidor. Agitazione, paura, la supplica per un aiuto, per la salvezza, la felicità amorosa e il desiderio nascosto di fuggire dal monastero con Belidor – tutto questo fu trasmesso dalle parole ritmate, accompagnate da sfumature appena percepibili del suono della flessibile voce di Komissarževskaja, ricca di emozioni.” (pag. 267)
La combinazione vincente tra la recitazione spontanea e genuina dell’attrice e la regia mejerchol’diana fece ben sperare nella nascita di una nuova forma di teatro.
Nel 31 dicembre dello stesso anno, fu messa in scena la pièce blokiana Balagančik (“La baracca dei burattini”), alla quale Vera Komissarževskaja non prese parte. Tale opera teatrale era caratterizzata dall’accostamento tra elementi e tecniche alla base della Commedia dell’Arte e riferimenti obliqui alla tradizione simbolista russa. Prendendosi gioco del misticismo simbolista a lui contemporaneo e rivelando attraverso l’artificio teatrale l’essenza nebulosa e misteriosa della realtà, Blok raccontò la tragica condizione dell’essere umano, sospeso tra finzione e realtà.
La messinscena della pièce blokiana si rivelò un momento cruciale per l’evoluzione artistica di Vsevolod Mejerchol’d: affascinato dall’esposizione della duplicità del reale tramite la meta teatralità espressa nel testo, dalla costante interruzione dell’illusione, la presenza delle maschere, la frequenza di equivoci tra i personaggi e la caotica sequenza di situazioni tra il comico e il grottesco; il regista rielaborò e contestualizzò all’interno del suo impianto teorico e nella loro realizzazione pratica i principali concetti della nuova poetica blokiana. La scena del pagliaccio che, caduto a terra, sparge succo di mirtillo anziché sangue si rivelò emblematica soprattutto per Vsevolod Ėmil’evič per il significato inteso da essa: la scena teatrale non doveva solo narrare la vicenda dei personaggi sul palco, ma anche “mettere a nudo la propria ‘materia’, a ironizzarla e a giocarci liberamente con essa”. Difatti, nella rappresentazione scenica dell’opera, Mejerchol’d escogitò diversi stratagemmi per accentuare l’interruzione dell’illusione teatrale, come l’uso di una recitazione innaturale e meccanica, la rottura della quarta parete e l’allestimento della scena davanti agli occhi del pubblico. Il teatro concepito dalla mente di Mejerchol’d si tramutava così in un luogo dove gli attori e il regista davano libero sfogo al loro ingegno, fantasia e immaginazione.
La pièce Balagančik non solo ebbe un forte impatto sull’approccio creativo di Vsevolod Ėmil’evič, ma giocò anche un ruolo fondamentale nell’evoluzione del teatro russo: l’opera inaugurò l’epoca del teatro antinaturalista, cui presupposti si fondarono su determinati concetti, come l’esplorazione della meta-teatralità, il recupero delle tecniche teatrali convenzionali e la poetica del succo di mirtillo. La poetica del succo di mirtillo consisteva principalmente nello smascheramento della finzione teatrale e nel raggiungimento dell’autoconsapevolezza dei suoi mezzi espressivi da parte della scena teatrale.
Sebbene Balagančik divenne un’opera amata e fece parlare del Teatro in via Oficerskaja, la nuova concezione di teatro di cui si faceva portatrice l’opera si scontrava con il progetto di Vera Komissarževskaja e la sua visione riguardante la funzione dell’attore. Per Vera Komissarževskaja, recitare era una vera e propria vocazione volta a realizzare la volontà dell’Altissimo e guidare gli spettatori alla scoperta di verità universali, una missione per la quale era disposta a sacrificare tutto, persino la sua vita privata. Ciò a cui l’artista pietroburghese mirava a raggiungere era arrivare al cuore e alla mente degli spettatori attraverso il suo unico quanto eccezionale talento recitativo e alla sua straordinaria espressività, rivelando le verità della vita, della morte, della gioia e del dolore degli uomini e delle donne russe del Novecento.
La messa in scena della pièce blokiana non fece altro che mettere in mostra due visioni di teatro diametralmente opposte e inconciliabili l’una con l’altra. Fu proprio in seguito a Balagančik che iniziarono i primi attriti tra l’attrice-impresaria e il regista: Mejerchol’d tendeva a concentrarsi principalmente sulle questioni tecniche ed estetiche legate alla scena, escludendo la visione mistica ed etica della direttrice artistica e dedicandosi completamente ai suoi esperimenti teatrali. Le produzioni del regista – con eccezione di Sœur Béatrice e Balagančik – non ottenevano i riscontri positivi sperati sia da parte del pubblico che dalla critica, minando le precarie finanze del teatro; la frustrazione di Vera Komissarževskaja, la quale aveva compiuto diversi sforzi e sacrifici per avviare l’impresa, iniziava ad apparire sempre più evidente.
L’evento che decretò il fallimento della collaborazione tra i due artisti fu la prima di Pelléas et Mélisande (“Pelleas e Melisandre”), dramma di Maurice Maeterlinck inscenato il 10 ottobre 1907.
La causa dell’insuccesso della messinscena fu dovuta, ancora una volta, all’assegnazione di un ruolo non idoneo alla celebre attrice. Nonostante possedesse ancora il fascino di eterna innocenza e purezza che la contraddistingueva dalle altre dive russe e fosse abituata a interpretare personaggi femminili molto più giovani di lei, Vera Komissarževskaja non riuscì ad apparire credibile nel ruolo della giovane Melisandre. Ciò che minò la performance dell’attrice fu la mancata comprensione del personaggio: come nota Titova nel suo articolo Mejerchol’d i Komissarževskaja: modern na puti k uslovnomu teatru (“Mejerchol’d e Komissarževskaja: il moderno verso il teatro ‘della convenzione’”) l’attrice paragonò erroneamente Beatrice a Melisandre.
“Il cambiamento degli stati fisici ed emotivi qui percepito, adatto a Beatrice, non andava bene per Melisandre. Il nuovo ruolo non s’addiceva a Komissarževskaja e all’‘estasi della passione’, di cui l’attrice difficilmente poteva fare a meno.” (pag. 96)
Non fu solo l’errore compiuto dall’attrice a decretare il fallimento dello spettacolo, ma anche le direttive impartite da Mejerchol’d stesso. Avendo realizzato la necessità di distaccarsi dal metodo della stilizzazione per esplorare al meglio i movimenti del corpo umano nella loro natura tridimensionale, il regista fece erigere una piattaforma circolare al centro del palco, attorno alla quale si posizionò l’orchestra in seguito alla rimozione delle assi del palcoscenico. Il successivo posizionamento di pannelli decorativi dietro la piattaforma fu un errore di calcolo che non contribuì a mettere in risalto l’effetto voluto dal regista stesso e costrinse gli attori a tornare alla recitazione stilizzata.
La disastrosa prima del dramma maeterlinckiano rappresentò un duro colpo per Vera Komissarževskaja, la quale aveva puntato molto sullo spettacolo per risollevare le sorti della compagnia. Le divergenze riguardanti la scena teatrale, le aspre critiche e il divario creatosi tra lei e il pubblico la spinsero a rinnegare il percorso compiuto fino a quel momento dal teatro e a riconsiderare la presenza del regista all’interno della sua compagnia.
Mejerchol’d riuscì a convincere l’impresaria a non licenziarlo, promettendole che avrebbe abbandonato la stilizzazione. L’attrice accettò nel proseguire con la collaborazione, tuttavia non riponeva più fiducia nei metodi attuati dal regista; così, nonostante le recensioni entusiaste per la messinscena di Pobeda Smerti (“Il trionfo della Morte”), licenziò Vsevolod Mejerchol’d il 9 novembre del 1907, comunicando le ragioni dietro a tale decisione in una lettera.
“Negli ultimi giorni, Vsevolod Emil’evič, ho riflettuto molto e sono giunta alla profonda convinzione che noi e Voi vediamo il teatro in modo diverso e ciò che Voi cercate non è quello che cerco io. […] Con mio profondo rammarico, ho pienamente realizzato ciò solo in questi ultimi giorni, dopo lunghe riflessioni. Io guardo al futuro dritto negli occhi e dico che non possiamo compiere assieme questo percorso, questo è il Vostro cammino, non il mio, e alla Vostra frase – Forse dovrei andarmene dal teatro – io ora Vi dico – Sì, Ve ne dovete andare.” (pag. 168)
Con il licenziamento di Mejerchol’d terminò il sodalizio tra l’attrice e il regista, decretando la fine della fase sperimentalista e simbolista del Teatro in via Oficerskaja e dei tentativi atti alla creazione del teatro dell’interiorità. Nonostante la collaborazione tra Mejerchol’d e Komissarževskaja non ottenne i risultati sperati da entrambe le parti, è importante considerare come il breve sodalizio tra i due artisti visionaria abbia segnato in maniera indelebile il panorama teatrale russo, influenzando le future esperienze teatrali russe e fornendo un assaggio di una forma espressiva diversa da quella mostrata dalle scene pietroburghesi e dal palco del Teatro d’Arte di Mosca.
Bibliografia:
Angelo Maria Ripellino, Il trucco e l’anima. I maestri della regia nel teatro russo del Novecento, Torino, Einaudi, 1965.
Edward Braun, Meyerhold. A Revolution in Theatre, United Kingdom, Methuen Drama, 1988.
Francis Deak, Meyerhold’s Staging of “Sister Beatrice”, “The Drama Review”, vol. 26, n. 1, MIT Press, 1982.
Galina Titova, Mejerchol’d i Komissarževskaja: modern na puti k uslovnomu teatru, 2006. (Le parti citate sono state tradotte per l’occasione da me E.S.)
George Kalbouss, Russian drama and the self-conscious play, “Russian Language Journal”, American Councils for International Education, 1978.
Vera Komissarževskaja, Pis’ma aktrisy, vospominaija o nej, materialy, Mosca, Iskusstvo, 1964. (Le parti citate sono state tradotte per l’occasione da me E.S.)
Vladimir Azov, Teatr i muzyka, otkrytie teatra V.F. Komissarževskoj .– Gedda Gabler, «Reč’», n. 215, Pietroburgo, 1906. (Le parti citate sono state tradotte l’occasione da me E.S.)
Vsevolod Mejerchol’d, Donatella Gavrilovich (a cura di), La rivoluzione teatrale, Roma, Editore Riuniti, 2001.
Vsevolod Mejerchol’d, Donatella Gavrilovich (a cura di), Le autobiografie inedite 1906 – 1913 – 1921, Roma, Universitalia, 2012.
Apparato iconografico:
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Immagine 2: Mejerchol’d’s Staging of Sister Beatrice.pdf
Immagine 3: (Biography and Autobiography) Edward Braun – Meyerhold_ A Revolution in Theatre-Methuen Drama (1998).pdf