Michele Maltauro, Martina Mecco
Nelle pagine iniziali della Recherche, quelle del volume Du côté de chez Swann ambientate a Combray, il narratore racconta che, quando lui era un bambino, i genitori, per distrarre il figlio dall’infelicità che aleggiava nelle sere trascorse dentro la sua cameretta, gli avevano regalato una lanterna magica. Nella famosa traduzione di Natalia Ginzburg, il testo recita: “al modo dei primi architetti e maestri vetrai dell’età gotica, essa sostituiva all’opacità delle pareti impalpabili iridescenze, soprannaturali apparizioni multicolori, dov’eran dipinte leggende come in una vetrata vacillante e momentanea” (p. 11). E viene poi raccontato che una delle storie più animate dallo strumento, diverso dalla notevole varietà che oggi possiamo vedere raccolta alla Collezione Minici Zotti di Padova, è la lacrimevole leggenda di Geneviève de Brabant, condannata a morte dal marito, il palatino Siegfried, per un’ingiuriosa accusa di adulterio e salvata solo in extremis. È questo uno dei passi più famosi a testimoniare un modello degli affascinanti marchingegni individuati come antenati del cinema, ma non bisogna dimenticare che più di un secolo prima di Proust è già uno dei personaggi de Die Leidungen des jungen Werthers (“I dolori del giovane Werther”) di Goethe, per esempio, a utilizzare la lanterna magica come metafora della presenza o dell’assenza dell’amore nella vita dell’uomo:
“Wilhelm, cosa è mai per il nostro cuore il mondo senza l’amore? È come una lanterna magica senza luce! Ma appena tu vi introduci la lampada, le più belle immagini compaiono sulla parete bianca! E anche se non fossero altro che fantasmi evanescenti, ci rendono tuttavia felici quando stiamo lì come tanti ragazzi e andiamo in estasi per queste meravigliose apparizioni.” (p. 81)
Un senso infantile di meraviglia coglie lo spettatore adulto che, nella stanza oscurata, osserva le proiezioni luminose e si lascia trasportare dai racconti un po’ naïf dell’imbonitore, nel caso proustiano una vecchia prozia. Imbonitore che assisterà alla nascita del cinema, risultando una figura essenziale nella stagione del muto, per poi congedarsi dal pubblico con l’avvento del sonoro. La lanterna magica potrebbe essere eletta a ruolo di oggetto rappresentativo di un’epoca cerniera, che s’inserisce tra il periodo di grande rilievo delle arti “canoniche” – in primis la pittura e la scultura – e l’insorgere e affiancarsi di altre arti della modernità, quali sono, ad esempio, la fotografia e il cinema. È un oggetto metonimico e allo stesso tempo eccentrico, periferico, relegato a quelle che un tempo venivano considerate “arti minori”, ma che si ricollega, proprio per la sua funzione spettacolare e di creatore di meraviglia, alla lunga tradizione delle Wunderkammer, dove infatti potrebbe essere inserito alla perfezione. “Wunderkammer” è precisamente il titolo di questo speciale di Andergraund Rivista, un’uscita dedicata interamente, e per la prima volta, alle arti.
Evocare la camera delle mirabilia e ricondurre a questa immagine l’impianto tematico del numero è motivato da diverse ragioni. I gabinetti delle curiosità, molto in voga nel Cinquecento ma con radici ben anteriori, sono anzitutto delle collezioni che hanno conosciuto un grande fervore nel Mitteleuropa – si pensi alla leggendaria Kunstkammer che Rodolfo II aveva radunato ai tempi della “sua” Praga d’oro oppure a quella tuttora conservata di Ferdinando II d’Austria, visitabile al castello di Ambras a Innsbruck. E che fioriscono libere da confini, tanto negli ambienti laici quanto in quelli religiosi, come la camera delle meraviglie che era stata composta nel Monastero di San Martino delle Scale, vicino Palermo, o il disperso Museo kircheriano. Genitrici del concetto moderno di museo, queste peculiari raccolte si componevano dei reperti più impensabili, sia naturali (coralli, ossa e scheletri, conchiglie, rarità archeologiche, animali impagliati o più orrorifiche porzioni di corpi umani, ecc.) che artificiali (monete, cammei, miniature, tele e sculture particolarissime, oggetti bizzarri e via di seguito). La Wunderkammer si fonda, dunque, sui concetti di varietà e di casualità, dal momento che gli oggetti in esposizione rifuggivano rigide catalogazioni in favore di un’estetica dell’accostamento imprevisto e, soprattutto, dello stupore per l’occhio.
Varietà e casualità sono ugualmente i principi su cui si costruisce la Wunderkammer di Andergraund, uno speciale che per queste ragioni esce dal tracciato abituale dell’impostazione tematica, per farsi contenitore di una decina di interventi che analizzano artefatti della modernità e della contemporaneità. Infatti, è grazie alla presenza ideale della lanterna magica, di luci, ombre e colori con cui essa raggiunge gli scaffali dove sono riposte le meraviglie, che il concetto desueto di gabinetto delle curiosità può aggiornarsi e riattualizzarsi. Sono prese allora in considerazione quelle arti che la lanterna magica preannuncia, la fotografia e il cinema, ma anche la pittura, il teatro, la musica, la moda. Nonché quelle intersezioni o mescolanze che sovente si creano.
In linea con uno dei principi che animano la rivista, ovvero quello di mostrare in modo dinamico uno spettro il più possibile vasto di elaborazioni – in questo caso principalmente visivo-uditive –, lo speciale presenta una scelta di articoli piuttosto eterogenea. Il discorso si apre con una presentazione della vita e dell’opera di Mark Rothko, uno dei protagonisti della pittura novecentesca. Il secondo articolo è, invece, dedicato alla trasposizione teatrale di una delle opere più famose dello scrittore polacco Witold Gombrowicz, Pornografia, a cura del regista Luigi Ronconi. Sempre legato al teatro è anche il contributo in cui si affronta lo sviluppo del teatro di contraddizione da Grotowski all’esperienza del Teatro Laboratorio Alma Alter. Infine, La Splendida Dama e il Dottor Dappertutto: nascita e fine del sodalizio teatrale tra Vera Komissarževskaja e Vsevolod Mejerchol’d è invece un’analisi di quello che fu il rapporto tra due dei protagonisti del teatro russo della prima metà del Novecento. Per quanto concerne l’ambito cinematografico, con il primo articolo proposto ci si addentra in un fenomeno poco noto nel contesto italiano – complice anche l’inaccessibilità linguistica – ovvero quello degli Agitki come fase embrionale dei successivi sviluppi del cinema sovietico. Con ASSA: il film della Perestrojka, si affronta un’altra fase del cinema di matrice sovietica, quella più tarda e temporalmente in opposizione a quella introdotta, invece, nel contributo precedente. In Sperimentalismo e provocazione nel cinema degli anni Sessanta di Věra Chytilová si abbandona il contesto sovietico per analizzare alcuni aspetti della primissima fase di produzione della regista ceca. Per ultimo, è presente anche un contributo di matrice musicale, un’analisi dello sperimentalismo mistico del compositore russo Skrjabin. Completano l’indice due interventi, riferiti rispettivamente alla fotografia e alla moda. Il primo è dedicato alle fotografie che Hans Georg Berger, figura poco conosciuta in Italia ma a cui recentemente è stata dedicata un’importante retrospettiva, ha scattato per oltre dieci anni allo scrittore Hervé Guibert, riflettendo sulla riattualizzazione originale e problematica dell’antico rapporto artista-modello, intrapresa con ostinazione dai due amici. Il secondo, che si sviluppa pure da una mostra del 2021, ricostruisce sul filo degli intrecci di maglia l’affermazione e l’importanza di Claudia Skoda dall’underground di Kreuzberg alla “Gesamtkunstwerk” della Berlino post 1989. Skoda trova infatti nella moda il linguaggio prensile della contemporaneità, utile per unire l’happening artistico, la musica, le rivendicazioni sociali.
La camera delle meraviglie di cui le presenti righe fungono da soglia spera, pertanto, di rendere almeno in parte, nelle prossime pagine, il senso di meraviglia che dominava lo spettatore alla vista di luoghi tanto eccezionali. Stanze certamente rigorose nella raccolta di artefatti che stimolassero l’occhio e la curiosità, ma al contempo ancora lontane e libere da quel controllo serrato imposto nel museo. Un po’, Andergraund vuole essere una wunderkammer.
Nel concludere questa breve introduzione sono necessari dei ringraziamenti, in particolare a Martina Santurri per aver creato una copertina che fosse adatta al progetto, a Silvia Girotto per essersi occupata dell’impaginazione e, infine, a coloro che hanno contribuito da esterni allo speciale permettendo la realizzazione di un numero particolarmente ricco: Claudia Fiorito, Anna Mangiullo, Anna Righetto e Cristiano Schirano.
Bibliografia:
Johann Wolfgang von Goethe, I dolori del giovane Werther, trad. Enrico Ganni, Torino, Einaudi, 2021.
Marcel Proust, La strada di Swann, trad. Natalia Ginzburg, Torino, Einaudi, 1978.