Federica Florio
Nel 2018 la casa editrice Bottega Errante Edizioni ha pubblicato per la collana “Estensioni” Generazione Serbia, quarto lavoro di Dušan Veličković edito in italiano. L’edizione è stata curata da Elisa Copetti, traduttrice dalle lingue croata e serba. L’opera originale – intitolata Bela, ćao – ha visto la luce a Belgrado nel 2011.
L’autore, come spesso accade agli scrittori di area balcanica, non è particolarmente noto al pubblico italiano, ma è ben conosciuto in Serbia. Nato nel 1947 a Šabac, città serba al confine con la Bosnia ed Erzegovina e la Voivodina, Veličković è giornalista, scrittore, editore e regista. È stato direttore del settimanale di attualità politica NIN (Nedeljne informativne novine) dal 1993 al 1997, anno in cui è stato licenziato per la sua opposizione al regime di Slobodan Milošević. L’anno seguente ha fondato la rivista letteraria “Biblioteka Alexandria”, diventata poi vera e propria casa editrice, che si proponeva di far conoscere gli autori serbi a livello internazionale.
Numerosi sono i racconti di Veličković contro il governo di Milošević, molti dei quali sono stati tradotti in italiano per la raccolta Serbia hardcore, pubblicata da Zandonai Editore nel 2008. Serbia hardcore può essere visto come un diario di guerra, in cui l’autore, “approfittando” dei bombardamenti Nato che colpirono la città di Belgrado nel 1999, espresse la paura di vivere sotto un regime come quello serbo e il tentativo di opporsi a esso. In Generazione Serbia è possibile notare una diretta continuazione del tema del terrore nei confronti del totalitarismo, assieme alla difficoltà di opporsi al governo. L’obiettivo del romanzo, tuttavia, non si limita ad affrontare Milošević o a denunciare gli effetti dell’ultimo grande conflitto balcanico, anzi, si tratta di un viaggio temporale che parte dai primi anni del Novecento fino ad arrivare ai giorni nostri.
La trama ruota attorno a tre protagonisti, tre uomini appartenenti alla stessa famiglia che incarnano i dubbi e i grandi ideali di tre generazioni serbe diverse. Le loro vite si intrecciano non solo tra di loro, ma anche con la grande storia, sottolineando come anche le azioni più piccole della gente comune possano influenzare il destino di un Paese intero, fino a cambiare il mondo stesso. Microstoria e macrostoria sono legate indissolubilmente, e la famiglia Kobac/Tomić lo dimostra attraverso conflitti personali, incontri con personaggi di fama mondiale e azioni del tutto anonime.
I protagonisti, pur facendo parte di una famiglia qualunque, con aspettative del tutto comuni e nessun interesse a finire nei libri di storia, si rendono conto di essere incatenati ai destini che popolano la Terra:
“Non sapevo da cosa stavo fuggendo, se dalla mia piccola storia che mi soffocava sin dalla prima infanzia, oppure da quella grande e terrificante storia che mi aveva rovinato la giovinezza e obbligato a essere un mediocre sottomesso per riuscire a sopravvivere in una società di violenti, depravati e ipocriti.” (p. 147)
Come accennato in precedenza, l’autore non si limita a denunciare il regime dell’ex presidente della Serbia; Veličković si propone di mostrare la sua Patria attraversando i grandi eventi che hanno scosso l’Europa del XX secolo. I protagonisti, partendo dalla Serbia dell’Impero Austroungarico, viaggiano fino in Russia e in America, affrontano la “Guerra dei maiali” tra il 1906 e il 1908, sopravvivono alle due guerre mondiali, assistono agli albori della Rivoluzione russa e alle purghe titoiste, fino alla ribellione del Sessantotto e al disfacimento della Jugoslavia.
Uno dei temi più ricorrenti dell’opera è sicuramente il conflitto tra i popoli e, più in generale, la guerra. Veličković si scaglia contro la lotta armata con enfasi, condannandola a prescindere dai motivi politici o etici che sembrano sostenerla: “Arrivai a Budapest a guerre già concluse. Erano rimasti soltanto criminali impuniti. […] Mi venne in mente anche che la guerra è di per sé un crimine. Ma ha senso dirlo a qualcuno?” (p. 125)
Mano a mano che i conflitti avanzano, facendosi sempre più numerosi, il continente europeo sembra farsi sempre più piccolo, ma questa graduale riduzione delle distanze non va ovviamente intesa come un avvicinamento ideologico; al contrario, è percepita come una progressiva mancanza di spazio per il proprio sviluppo, sia personale che collettivo:
“Mentre una piccola, misconosciuta guerra visitava in vortici le tetre città balcaniche e i capipopolo autonominatisi, imbevuti di responsabilità storiche e della propria interpretazione della volontà popolare, sventolavano mappe con confini disegnati, corridoi e territori multicolore, davanti ai miei occhi l’Europa si rimpiccioliva.” (p. 106)
La guerra, infatti, non porterà mai all’unificazione delle comunità né alla creazione di un unico grande popolo europeo che riesca a mettere da parte le differenze socio-culturali per raggiungere la cooperazione a livello internazionale. La Serbia stessa non può che soffrire, lacerata da continue lotte intestine. L’immagine che l’autore dipinge è quella di un Paese incapace di mantenersi unito e stabile al proprio interno.
Sarebbe però inappropriato considerare il romanzo come un semplice racconto biografico della Serbia. Gli eventi della grande storia si susseguono senza un ordine cronologico: essi accompagnano le vicende dei protagonisti, seguendo il corso delle loro vite e adattandosi all’intreccio – all’apparenza un po’ caotico e tutt’altro che lineare – della narrazione.
Non è facile seguire il filo conduttore che lega i tre protagonisti del romanzo. Le linee temporali si aggrovigliano senza seguire un ordine preciso, e il lettore rischia di perdersi se non si avvale dell’albero genealogico presente nelle prime pagine del libro. Ma anche tenendo sott’occhio la mappa dei rapporti familiari, è difficile seguire le vicende dei protagonisti senza qualche incertezza, e risulta quasi indispensabile riguardare i capitoli già letti e annotare i riferimenti storici e politici. Perfino uno dei personaggi, trovandosi verso la fine della storia in presenza di tutti i documenti e i ricordi tramandati di generazione in generazione, condivide con il lettore lo stesso smarrimento:
“Ma avevo ancora in testa quegli occhi scintillanti, e tutti quei racconti e ricordi che si erano tramandati per generazioni nella mia famiglia. Non ci avevo mai prestato attenzione: tutte quelle relazioni di parentela erano estranee e incomprensibili, non avevo mai capito chi era che cosa per chi, ma tutto quanto si era fissato nella mia memoria inconscia.” (p, 144)
Generazione Serbia non è un libro di facile lettura. Innanzitutto, richiede una buona dose di attenzione per riconoscere i tanti personaggi storici citati tra le pagine. Alcuni sono immediatamente riconoscibili da parte di chiunque (come Lenin o Freud); altri, invece, richiedono una più vasta conoscenza del clima artistico e letterario europeo. La voce narrante non è sempre la stessa: a volte le vicende sono raccontate in prima persona, seguendo i punti di vista di personaggi diversi che si alternano, mentre in altri casi vi è un narratore onnisciente. La scrittura di Veličković, però, non rispecchia la confusione apparente delle linee temporali, anzi, il suo stile è fluido ed elegante. Il lettore si sente trasportato nelle vite dei personaggi, riuscendo a seguirne i ragionamenti e a condividerne i dubbi. Inoltre, i riferimenti che l’autore ha nascosto tra le righe riescono a incuriosire chi legge, spronandolo a mettersi in gioco per documentarsi in modo autonomo. In conclusione, è un’opera ironica e stimolante, che riesce a dipingere in modo dettagliato e profondo lo spirito della cultura e della storia serba.
Bibliografia:
Dušan Veličković, Elisa Copetti (a cura di), Generazione Serbia, Bottega Errante Edizioni, 2018.
https://www.bottegaerranteedizioni.it/?product=generazione-serbia
Apparato iconografico:
Immagine 1: https://www.fieradelleparole.it/wp-content/uploads/2018/09/Dusan-V..jpg