Paolo Ciocci
Lo scorso aprile è stato ripubblicato da Sandro Teti editore L’omino rosso (“Omulețul roșu”) di Doina Ruști, tradotto originariamente per Nikita Editore da Roberto Merlo nel 2012. Ruști compare anche in “Compagne di viaggio. Racconti di donne ai tempi del comunismo”, un’antologia che raccoglie testimonianze di scrittrici rumene durante la dittatura di Nicolae Ceaușescu.
Link al libro: https://www.sandrotetieditore.it/project/doina-rusti-lomino-rosso/
Doina Ruști è ampiamente nota nella comunità accademica grazie al suo Dizionario dei simboli nell’opera di Mircea Eliade, oltre che per i suoi studi all’Università Nazionale di Arte Teatrale e Cinematografica, ma è divenuta molto nota anche al grande pubblico in patria grazie ai suoi romanzi, spesso accostati al realismo magico della letteratura sudamericana.
“Andrei mi scriveva qualche riga, si scusava di non aver tempo per una lettera come si deve e mi mandava il link della sua rivista: L’arca salvatrice. Era una rivistina di testi letterari, firmata da sconosciuti, probabilmente amici suoi. Conteneva prosa satirica impregnata di simboli e sconcezze, commentari dotti intorno a idee minori nonché, ovviamente, le immancabili poesie su Oh come stavo bene quando attraversavo la strada verso il seno di mia madre, cosa ne sarà di me ora, disilluso, inutile, grasso.” (p. 90)
L’omino rosso è il romanzo che segnò il debutto di Ruști nel 2004. Vengono raccontate le vicende di Laura Iosa, la filologa protagonista che arranca, tra lavori editoriali precari e promesse di pubblicazione non mantenute, nell’ambiente culturale e accademico della Bucarest dei primi anni duemila. Un ambiente che Laura descrive con sardonica e impietosa rassegnazione e che privilegia vecchi raccomandati, giovani avvenenti e “lolite e castrati” (p. 17), in bilico tra strascichi del regime comunista di Ceaușescu, frenesìa iper-competitiva e maschilista tipica del paradigma occidentale e arrivo dell’internet di massa nella sfera sociale delle persone. È proprio ad una biblioteca online che Laura decide di affidare le prime pagine della sua mini-enciclopedia, innescando una serie di corrispondenze online guidate da sentimenti di incertezza e in concomitanza con l’arrivo di un omino rosso dalle sembianze di un angelo giocattolo e l’apertura di allucinate realtà aumentate (gli alazar) a metà tra un purgatorio digitale e la storia mitologica personale della protagonista.
“La prima impressione mi ha scosso e la seconda mi ha atterrito. Dapprima mi sono sentita come se qualcosa mi risucchiasse con violenza, come se stessi venendo scuoiata viva. Poi il buio, e l’orribile sensazione che qualcuno mi avesse usata come un fazzoletto per soffiarmi il naso. Quando mi sono ripresa mi trovavo in un luogo oscuro e fin dal primo istante sono stata colta da una tristezza e da un terrore che temo non sarò in grado di raccontare. […] quando mi sono ripresa, dopo un periodo che mi è sembrato durare anni e anni, ero Margareta. Avevo smarrito il mio senso dell’essere, o meglio, la mia ipseità non era che un’impressione lontana, una sorta di rifugio tenuto da parte per ogni eventualità.” (p. 81)
L’aspetto più interessante del romanzo è dato dall’ibridizzazione a più livelli di forme e topòi letterari differenti. Il racconto in prima persona delle vicissitudini bucarestine che la protagonista trascrive sul forum Oh_brother si mescola efficacemente con l’intreccio quasi memoriale di storie e immedesimazioni di vite altrui che essa rivive nell’alazar, facendo convergere le causalità di liberazioni e tragedie passate e future nel presente di Laura. Nonostante il romanzo attinga svariate idee dal mondo dell’informatica e della realtà aumentata, Rusti si distanzia tanto dalle sfolgoranti visioni utopiche piene di tecno-entusiasmo, quanto dalle inflazionate distopie pessimistiche in cui gli ultimi ritrovati tecnologici privano l’umanità degli ultimi residui di libero arbitrio. Il mondo digitale, anche quando si presenta nelle sue visioni più surreali e in apparenza pronte a sovvertire anche la percezione di sé e del proprio tempo, resta comunque un’estensione antropologica del mondo analogico, nata, governata e modificata dai suoi stessi linguaggi e dalle sue stesse logiche emotive, che pertanto non va né a cambiare la vita delle persone, né a far nascere nuovi e radicali paradigmi sociali o culturali, ma si limita ad estendere la portata e la pervasività delle strutture preesistenti, nel bene e nel male. Un discorso simile può esser fatto per quanto riguarda la presenza omino rosso, entità a caccia di storie che solo in teoria funge da guida nell’alazar, capace di modificare a piacimento il proprio aspetto e di muoversi ovunque nello spazio e nel tempo. Nonostante questi elementi, assieme l’aura di magia rituale e sovrannaturale che circonda l’omino rosso, abbiano fatto sì che il romanzo venisse spesso accostato alla corrente del realismo magico, la prosa non restituisce alcun senso di straniamento nel lettore e non introduce nessun simbolismo né mitologie esterne o pregresse, ma va invece a rafforzare un realismo di superficie che è somma di passate istanze storiche e sommerse nella sfera del personale. Il tutto grazie ad una prosa che fa correre, simultaneamente e sullo stesso binario, il pragmatismo del presente vissuto da Laura e l’immedesimazione magica e visionaria nel passato delle vite degli altri, senza andare ad intaccare la linearità della storia, marchio inconfondibile della scrittura di Doina Ruști.
Tanto le visioni totalizzanti e rituali dell’alazar quanto le storie narrate dall’omino rosso sono infatti subordinate alla storia personale della protagonista e in simbiosi coi suoi simboli soggettivi e irrinunciabili, che vengono amplificati proprio da questa sinergia di voci e di vite fino a raggiungere una sorta di solipsismo aumentato teso verso nuove storie e connessioni. Tutto ciò non va quindi a modificare radicalmente la società di “uomini consumati, chiusi nella routine degli schieramenti letterari e delle gerarchie fissate ancora in epoca stalinista” (p. 207), ma a dipanare le fila quell’amplificazione di sé stessi e dei propri simboli che Laura cerca di far emergere con la scrittura sul forum.
“Nell’alazar si trovava un materiale inesauribile fatto di gesti e di eventi, mentre le persone erano emblemi fragili di parole che uscivano spumeggianti dall’Abis, dai dizionari, da scatole che parevano non avere fondo. Nel corpo di ciascun essere umano giace racchiusa una parola, una combinazione insolita di suoni che propelle nel mondo l’essenza di quell’individuo.” (p. 246)
L’omino rosso di Doina Ruști è un romanzo in cui ritrovare una rappresentazione lirica e ironica dell’interconnesione che il mondo informatico ha portato nel linguaggio e nella storia personale delle singole persone, e di come l’improbabilità generata dal brulicare digitale collettivo possa amplificare la narrazione dei propri simboli personali, sbrogliandola da quelle imposte dall’esterno.
Apparato iconografico: