Alice Bettin
Ljudmila Stefanovna Petruševskaja è un’eclettica scrittrice russa, ammessa, non senza difficoltà, all’Unione degli Scrittori nel 1977 e definita una delle “migliori scrittrici russe viventi” dal New York Times. Oltre ad essere una scrittrice di racconti, romanzi, favole e sceneggiature, celebre drammaturga e autrice di fiabe per bambini e per adulti (nelle quali i protagonisti sono sia uomini che animali), si è fatta precorritrice di uno stile di produzione letteraria tutto al femminile.
Petruševskaja nasce il 26 maggio 1938 a Mosca, luogo che le è stato caro per poter sperimentare la sua poliedricità a trecentosessanta gradi. Oltre alla letteratura, si è dedicata ai film d’animazione e ha iniziato una carriera da cantante solista, rielaborando i testi delle sue canzoni preferite e, più tardi, scrivendone di mano propria.
Essendo l’arte la sua più grande passione, Petruševskaja è riconosciuta come artista contemporanea ed è stimata per il suo modo di unire l’arte figurativa con l’arte letteraria. Recentemente, per il suo ottantesimo compleanno è stata organizzata un’esposizione al Museo d’Arte Moderna di Mosca sul Gogol’evskij bul’var, dove l’artista ha trasformato lo spazio espositivo in un luogo d’archivio per le sue fotografie personali, ha esposto inviti e manifesti a spettacoli teatrali risalenti al periodo sovietico, ma ha anche creato uno spazio espositivo per entrare dentro al suo mondo creativo di scrittrice, dando vita alle trame e agli eroi delle sue opere.
La prosa di Petruševskaja comincia nel periodo della Perestrojka, epoca nella quale molte donne scrittrici riemergono dai subbugli del contesto sociale, permettendo così al genere femminile di cambiare ruolo, anche se gradualmente.
La scena letteraria russa subisce delle variazioni a causa dei cambiamenti politici e sociali dell’epoca, in particolare la letteratura delle donne racconta una quotidianità fino a quell’era sconosciuta, che non è più quella raccontata nel periodo staliniano (repressa, nella sua fantomatica felicità e fierezza), ma una prosa del quotidiano che cela un tempo che impazza nelle esistenze dei protagonisti. Petruševskaja racconta un periodo carico di complessità nelle famiglie della Perestrojka e della Russia post-sovietica, un byt gravato da divergenze, contrasti, violenze, corruzione e solitudine. Le protagoniste dei racconti di Petruševskaja sono donne che lottano, spesso sono messe in contrasto con una o più figure maschili, scontri da cui emergono drammi personali molto forti, amori eterni, turbamenti tra le mura di casa, esperienze di forte terrore, malattie feroci, pesanti fardelli.
Petruševskaja è stata spesso definita una scrittrice “post-realista” perché il suo modo di argomentare la annovera nel ventaglio tematico della drugaja proza (prosa differente), un tentativo di approcciarsi alla vita in modo diverso rispetto a quello stabilito dal canone del realismo socialista, che favoriva una cultura letteraria che celebrasse ogni aspetto della vita sovietica e censurasse ogni aspetto non convenzionale con “il radioso avvenire”. Le sue opere contengono elementi mistici e allegorici, che informano sulle squallide condizioni di vita nell’Unione Sovietica e nella Russia post-sovietica. La testimonianza storica, politica e umana dell’epoca viene concessa non denunciando le grandi tragedie della popolazione russa, ma attraverso la narrazione delle piccole tragedie di ogni giorno, che non sono meno strazianti. I temi sono spesso scandalosi e amorali, popolati da orrori quotidiani, che mettono l’uomo e la donna uno di fronte all’altro e finiscono per diventare veri e propri scontri di genere, nei quali le donne sono sempre sconfitte.
La verità quotidiana è la protagonista dei racconti di Petruševskaja, anche se si rivela scabrosa, orribile o avvilente, assurda o grottesca. Il centro della sua narrazione è rasentare l’assurdo e il grottesco, ripercorrendo moti di anime smarrite nella loro vacua esistenza, lacerati da rapporti umani deboli e annunciatori di solitudine, ma anche molto violenti.
Il genere e il byt hanno operato nella tarda cultura sovietica come topoi ereditati dal passato e scrittrici come Petruševskaja sono state in grado di inserirsi nel panorama letterario internazionale partendo dal loro essere donne nella società. Essi si collocano come due elementi di un’equazione in relazione tra di loro, suggerendo la donna come incline al lavoro domestico, alla cura dei bambini e a costituire un supporto fondamentale per tutti i membri della famiglia nel quotidiano. La quotidianità è un concetto problematico che la cultura russa consistentemente lega alle donne, inquadrato però come una risorsa artistica nella prosa di Petruševskaja. Il byt non è solo la vita di ogni giorno per le donne, ma anche la corrosiva banalità che è sempre più minacciosa, spesso con donne che hanno aspirazioni intellettuali. Anche il culto della maternità è fondamentale nella prosa di Petruševskaja, perché consente di concepire come le considerazioni conservative sul genere femminile siano legate a una rappresentazione etica della donna. Le madri descritte nella letteratura femminile dal 1953 in poi (anno della morte di Stalin) sono state individuate come l’incarnazione di una memoria storica nazionale, ma anche un’icona di sacrificio e di responsabilità.
Le scrittrici come Petruševskaja sono state in grado di sfruttare la nuova apertura dell’era della Perestrojka e porre al centro della loro narrazione il torbido recesso della vita privata femminile, contrariamente a quanto i media volevano affermare, promulgando un diffuso ottimismo tra la popolazione del paese.
I personaggi di Petruševskaja sono teatrali, agiscono nelle loro vite, barcamenandosi nel byt, dal quale non si ha il minimo scampo, perché il loro destino rivela costantemente la sua fatalità. La raccolta di racconti di Petruševskaja Il Mistero della Casa, edita da Armando Editore (1998), raccoglie una preziosa varietà di queste storie.
Una delle opere più conosciute in Italia della scrittrice è La bambina dell’hotel Metropole (la cui prima pubblicazione in Russia risale al 2006, il titolo originale è Mal’enkaja devočka iz Metropol’). Si tratta dell’autobiografia della sua infanzia, un memoir brutale che ripercorre la storia sofferta dei suoi primi anni di vita. Il libro è stato insignito nel 2008 con il prestigioso Premio Bunin.
Petruševskaja riporta delle confessioni forti in relazione all’emarginazione della famiglia, considerata composta da “nemici del popolo”, costretti all’esclusione sociale e alla fuga. La donna-bambina riversa nelle pagine il tormento di essere stata membro di una famiglia tormentata e perseguitata nel tempo, che ha ereditato per condizione sociale un dolore a cui era destinata. L’opera si muove tra Mosca e Samara (all’epoca Kujbyšev), prendendo in considerazione un arco temporale che va dall’inizio del Novecento agli anni Settanta, investendo quindi nella narrazione due generazioni. Gli affetti della scrittrice sono descritti con largo respiro, in particolare per il bisnonno bolscevico Tato e il nonno “Kolja” Jakovlev, membro dell’intelligencija moscovita e linguista, allontanato perché aveva ribattuto a Stalin.
Due figure essenziali saranno per lei un modello nella sua giovane esistenza: la nonna e la zia a Samara, che cresceranno Ljudmila, costretta a una vita di estrema povertà, costretta persino all’elemosina, fino a che non raggiugerà nuovamente la capitale e riuscirà a laurearsi in giornalismo.
La scrittrice protagonista dell’opera non mancherà di rendere partecipe il lettore di tutte le sue sofferenze e di tutta la sua amarezza, risucchiandolo in un turbine di angoscia e tormento, paura, brutalità e di sentimenti lacerati. Petruševskaja accetterà sempre di essere quella che è stata, non avrà risentimento o pentimento di alcuna sua azione compiuta nell’infanzia: ciò che è stata le ha permesso di arrivare a essere quello che è.
Emerge nel testo la volontà della protagonista di porsi in contrapposizione al canone del socialismo sovietico, nei confronti del quale lei si pone come antagonista, accentuando la sua posizione di anticonformista in un paese in cui bisognava essere tutti uguali. Il suo orgoglio è epicentro del suo dolore, che non le permette di accettare la condizione imposta dall’alto, perciò cerca di fuggirne, ma anche di denunciarne l’entità attraverso la sua testimonianza tagliente. L’albergo Metropole è la sua casa e il luogo della sua crescita singolare, come lo è la lettura dei grandi classici della tradizione russa, che secondo la critica internazionale, hanno temprato la scrittura di Petruševskaja, come donna sostenitrice di libertà personale.
La collocazione di Petruševskaja nel panorama letterario russo è quindi estremamente complessa, le sue origini attingono a svariati elementi intrecciati fra loro, che si combinano con la sua originalità e genuinità.
Bibliografia:
Ljudmila Petruševskaja, Il Mistero della Casa, Roma, Armando Editore, 1988.
Ljudmila Petruševskaja, La bambina dell’hotel Metropole, Milano, Francesco Brioschi Editore, 2019.
Sitografia:
https://core.ac.uk/download/pdf/12209369.pdf
https://sites.google.com/a/y.books-now.com/en209/9788899612184-31compvaGEsculaq52
http://eprints-phd.biblio.unitn.it/3453/3/PhD_Thesis_Bigo.pdf
https://www.imdb.com/name/nm0678417/bio?ref_=nm_ov_bio_sm
Apparato iconografico:
Immagine 1: https://www.gruppoeditorialebrioschi.it/brioschieditore/autori-e-traduttori/ljudmila.jsp
Immagine 2: https://www.ibs.it/c-era-volta-donna-che-libro-ljudmila-petrusevskaja/e/9788806210052
Immagine 3: https://www.nytimes.com/2017/02/09/books/review/girl-from-the-metropol-hotel-ludmilla-petrushevskaya.html