Marie Majerová, lotta sociale come emblema della nová žena

Martina Mecco

“La stampa di oggi, insieme ai nuovi diritti politici acquisiti, sarà l’ arma delle donne”

(Marie Majerová, O tisku a ženách, 1919)

Marie Majerová (1882-1967) è una delle personalità intellettuali più interessanti tra quelle che si sono fatte strada all’interno dell’ambiente intellettuale nella giovane Cecoslovacchia e, successivamente, nell’apparato comunista. Nonostante ciò, la figura e l’opera dell’autrice sono pressoché sconosciute al pubblico italiano. L’unico riferimento che si può trovare in lingua italiana è un bozzetto contenuto nel capitolo “Col berretto frigio” all’interno dell’opera Všecky krásy světa (“Tutte le bellezze del mondo”, 1979) del poeta Jaroslav Seifert, che la descrive come segue:

Era il viso di una giovane, bella donna, con un berretto frigio sulla testa. Il naso ben modellato, leggermente all’insù, gli occhi neri e i capelli folti erano quelli della scrittrice Marie Majerová […] Col suo aspetto lei personificava il tipo della bellezza boema e col suo bel viso rammentava alcune donne dei quadri di Manes. […] I ricordi che ho di questa poetessa mi si collegano sempre anche ad un’immagine di Parigi di cinquant’anni fa.” (pp. 242-244)

Marie Majerová nasce nel 1882 all’interno di una famiglia di proletari a Kladno, la cittadina in cui si trovano gli stabilimenti Poldi descritti da Bohumil Hrabal come un luogo in cui i disperati sollevano una speranza infangata. Dopo un’infanzia nel contesto della campagna ceca, trascorre un lungo periodo all’estero. Lavora per diversi anni come cameriera a Budapest e, successivamente, vive tra il 1904 e il 1906 a Vienna, capitale di un impero che stava assistendo al disgregarsi del sogno della Felix Austria. Il ritorno in terra ceca e il definitivo trasferimento a Praga vedono Majerová immediatamente inserita all’interno del contesto intellettuale della città.

Marie Majerová, Karel Toman e Aleksej N. Tolstoj

La sua attività fu particolarmente intensa sia a livello sociale che politico e i suoi ideali possono essere concepiti come il frutto diretto delle esperienze giovanili. Dapprima anarchica di sinistra, si inebriò successivamente delle idee comuniste che divamparono in Europa all’indomani dei moti rivoluzionari del 1917, che la portarono a diventare un membro del nascente Partito Comunista nel 1921. La sua esperienza all’interno del Partito venne interrotta nel 1929, anno in cui fu espulsa per aver preso parte insieme ad altri intellettuali – tra cui Stanislav K. Neumann e Jaroslav Seifert – al Manifest sedmi (Manifesto dei sette). Questa protesta era legata a un testo redatto da Ivan Olbracht e pubblicato con il titolo di Spisovatelé komunisté komunistickým dělníkům (“Gli scrittori comunisti agli operai comunisti”). All’interno di questo veniva lamentata la profonda crisi del Partito, accusando apertamente i membri di tendenze filo-borghesi, incitando così a un atto radicale di riorganizzazione. Il 1929 corrisponde all’anno in cui diviene segretario del partito Klement Gottwald, successivamente primo presidente della Cecoslovacchia libera all’indomani dell’occupazione nazista. Se questo avvenimento può sembrare una sommossa intellettuale di poco conto, occorre precisare meglio quali furono le reazioni da parte del Partito e degli altri intellettuali. I firmatari vennero espulsi e altri figure dell’epoca – tra cui i maggiori esponenti del Poetismo come Karel Teige, Vítězslav Nezval o František Halas – reagirono, a loro volta, firmando un altro testo programmatico dal titolo Zásadní stanovisko k projevu „sedmi“ (“Un parere fondamentale riguardo al discorso dei “sette’”). All’interno del documento i sette firmatari venivano accusati di andare contro il moto rivoluzionario degli operai. Questo episodio – vale a dire il fatto che Majerová fece parte di una questione centrale tra gli intellettuali dell’epoca – testimonia chiaramente il ruolo di spicco che l’autrice ricopriva. In realtà, non erano molte le donne a godere di una posizione così importante all’interno delle cerchie di artisti e scrittori degli anni Venti, un’altra figura importante era quella di Toyen – la quale rappresenta un esempio ancora più particolare in relazione al fatto che preferiva l’impiego del genere maschile nel definirsi.

Alcuni intellettuali de Umělecká beseda, tra i quali Marie Majerová è l’unica donna.

L’impegno di Majerová si manifesta nell’ambito giornalistico, per il quale ebbe una straordinaria vocazione. Difatti, fece parte della redazione di numerosi giornali importanti dell’epoca come il “Rudé pravo” o il “Ženský list”. Nel 1967 è Josef Träger a sottolineare in un articolo del “Literární noviny” l’ossessione di Majerová per il mondo dell’editoria:

A Marie Majerová piaceva indubbiamente il titolo di redattrice. Non ha solo denotato la vocazione di tutta la sua vita, ha denotato un’affiliazione permanente a una posizione che lei stessa stimava e in cui vedeva un partner alla pari della professione di scrittore nel campo della creazione verbale. Aveva bisogno del profumo della stampa in nero come aveva bisogno dell’atmosfera della vita editoriale. Quando è stata messa a tacere durante l’occupazione e tagliata fuori dal contatto con la stampa quotidiana, andava anche solo alla redazione del České slovo per vedere Josef Hora e respirare l’atmosfera della tipografia e dei giornali.

L’impegno di Majerová è volto a sottolineare la nascita della nová žena (“donna nuova”), nonostante essere donna implichi un certo grado di trpět (“sofferenza”). La nová žena di cui parla è il prodotto della lotta femminista, ovvero una donna immersa nella politica, che si schiera contro la sua condizione all’interno di una società di stampo patriarcale. Viene esaltata la figura della giornalista in senso quasi mistificato, identificandola in termini di “eroina” della società moderna. Il ruolo della donna viene visto come determinante, seppur silenzioso, all’interno della società. Il lavoro della donna viene definito da Majerová come la forza stessa della Rivoluzione – in relazione soprattutto al grande cambiamento del ruolo della donna all’interno della produzione all’indomani della Grande Guerra. La nová žena coincide quindi, per Majerová, con la komunistická žena – la donna comunista. La lotta comunista e quella femminista sono animate dallo stesso principio e tendono allo stesso fine.

Oltre a scrivere articoli legati all’impegno in patria nei confronti della condizione della donna e della lotta comunista, Majerová redige anche diversi reportage, tratti dai suoi numerosi viaggi in giro per il mondo. Uno dei più importanti fu in Russia, da cui è tratto Vítězný pochod (“La marcia della vittoria”, 1953).

Passando ora alla produzione letteraria dell’autrice, risulta possibile rintracciare quelli che sono i Leitmotiv. Il prodigarsi nei confronti della questione sociale si fa più circoscritto nell’ingente interesse mostrato, da parte di Majerová, nei confronti della condizione femminile, nello specifico quella connessa con la dimensione della fabbrica. Le condizioni di vita delle donne, in particolare anche delle più giovani, vengono analizzate e mostrate dall’autrice non solo sul piano più superficiale dell’osservazione e della successiva documentazione, ma sono anche oggetto di un’analisi più approfondita di carattere psicologico. Quello costruito da Majerová è quindi un discorso impegnato, che rimanda a riflessioni di carattere etico. Nelle opere dell’autrice è imperante l’importanza del cronotopo, ovvero della presenza di un riferimento storico sia dal punto di vista temporale che spaziale. La vicenda delle diverse protagoniste si lega in modo indissolubile agli eventi che hanno scosso l’Europa nel corso del Novecento, a significare il fatto che la condizione della donna risulta sempre essere determinata dall’evoluzione sociale. Questo è uno dei motivi che spiegano il perché in Majerová sia così presente la componente storica sin dagli albori della sua produzione, mentre invece questa viene, dagli intellettuali contemporanei, o rifiutata nel tentativo di realizzare un tipo di relazione differente con la realtà – è questo il caso dell’avanguardia – o distorta e piegata a un esito catastrofista, manifestatosi nel diffondersi del genere distopico.

L’infanzia nella periferia ceca e gli anni trascorsi a Budapest sono due importanti fonti d’ispirazione per le prime opere di Majerová Panenství (“Verginità”, 1907) e Povídky z pekla a jiné (“Racconti dall’inferno e altri”, 1907). All’esperienza viennese è connessa un’opera più tarda, Nejkrásnější svět (“Il mondo più bello”, 1923), sebbene ad essere ritratto è un quadro della situazione sociale degli anni Venti.

Come detto precedentemente, tutta l’opera di Majerová è caratterizzata da un fil rouge tematico e risulta interessante osservare le parole di un intellettuale del calibro di Josef Hora riguardo alla prosa di Majerová, pubblicate su “Kmen” qualche tempo più tardi nel giugno del 1928:

Oggi, mentre nel nostro paese viene creata la prosa socialista, “Panenství” di Marie Majerová è stato pubblicato in tempo per dimostrare che abbiamo già una tradizione prebellica e che il romanzo praghese mirava già non solo a catturare l’ambiente borghese, ma anche a scoprire l’uomo proletario e il suo mondo spirituale.

Queste prime opere costituiscono, infatti, i primi tasselli di un percorso letterario che porterà alla realizzazione di Siréna (“Sirena”, 1935), il grande romanzo socialista dell’autrice. Proprio con Siréna iniziano a porsi le basi che porteranno la “servetta carina di Budapest” – come la ricorda affettuosamente Seifert – a diventare, alla fine degli anni Quaranta, una delle figure di spicco della realtà socialista cecoslovacca, sia sul piano letterario che su quello sociale. Ruolo che viene consacrato con l’assegnazione, nel 1955, dello Státní cena Klementa Gottwalda (Premio statale Klement Gottwald). Accanto a queste opere di Majerová, occorre ricordare anche quelle appartenenti alla letteratura per l’infanzia. Il testo chiave di questa sua produzione è Robinsonka (1940), in cui ad essere narrata è la storia di Blaženka, una giovane che intraprende il proprio percorso verso l’indipendenza e la vita adulta, con tutte le difficoltà che questo può portare.

Una scena di “Panenství” di Otakar Vávra

Le opere di Majerová sono state anche oggetto di trasposizioni differenti. In particolare, è interessante segnalare l’adattamento di Panenství, realizzato nel 1937 da Otakar Vávra – regista cardine della cinematografia ceca famoso per aver realizzato nel 1947 l’adattamento di Krakatit di Karel Čapek. All’interno del film a interpretare la protagonista Hanka è l’attrice Lída Baarová, stella del cinema ceco che negli anni successivi ebbe anche una profonda e travagliata relazione con Joseph Goebbels. Il romanzo Robinsonka è inoltre stato oggetto di una versione teatrale messa in scena nel 1940, lo stesso anno della pubblicazione. Anche da Siréna venne tratto un film diretto da Karel Steklý nel 1947.

Così la raffigura da anziana Jaroslav Seifert, in occasione di un viaggio a Mělník per commemorale la morte del poeta Antotnin Píša:

La guardai in viso. Continuava comunque ad essere lei, Marie Majerová. Invero, la sua carnagione non era più leggermente lanuginosa, come una volta, il sangue non colorava molto la sua pelle tesa, i suoi occhi non brillavano più tanto, ma continuava ad essere lei. […] «Ancora oggi ti donerebbe il berretto da rivoluzionaria!». Sorrise, ringraziandomi con gli occhi e carezzandomi la mano sul tavolo. «Quando mai! Sono già alla fine.»” (p. 246)

L’ascesa intellettuale di Marie Majerová nel secondo dopoguerra fu ricca di riconoscimenti che la resero un punto di riferimento fondamentale per gli intellettuali, se non un simbolo e, al tempo stesso, un epigono del realismo socialista. Lei, donna nata in una famiglia di proletari di Kladno, che non ha mai smesso di lottare per l’emancipazione della donna sin dagli albori della modernità, inaugurata sotto la pioggia dei detriti del crollo dei grandi imperi secolari.

 

Bibliografia:

Bruno Meriggi, Le letterature ceca e slovacca, Sansoni-Accademia, 1968.

Dana Nývltová, Radek Hylmar (eds.), Čtení o Marii Majerové, Praha, antologie*, 2018. (La traduzione è stata realizzata per l’occasione da me, M.M.)

Dana Nývltová, Femme fatale české avantgardy: Marie Majerová – česká komunistka ve víru feminismu, Praga, Akropolis, 2011.

Jiří Opelík, Lexikon české literatury: osobnosti, díla, instituce, Praga, Academia, 2000.

Jaroslav Seifert, Tutte le bellezze del mondo, Pordenone, Edizioni Studi Tesi, 1991.

Josef Träger, Marie Majerová, duchem i srdcem novinářka, “Literární noviny II”, 16/1967, č. 3, s. 5. (La traduzione è stata realizzata per l’occasione da me, M.M.)

Apparato iconografico:

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Immagine 3, Immagine 4: tratte dal testo Dana Nývltová, Radek Hylmar (eds.), Čtení o Marii Majerové, Praha, antologie*, 2018