Anna Chiara Canova
Esiste una letteratura del gulag femminile? Partire da questa domanda è doveroso. Indubbiamente nell’esperienza dell’attraversamento dell’inferno concentrazionario le distinzioni di genere vengono meno; la prigionia era accompagnata da strategie di tortura che intendevano spersonalizzare e disumanizzare l’individuo indipendentemente dal suo essere uomo o donna; inoltre l’esperienza a livello percettivo era piuttosto simile indipendentemente dal genere e dalla propria interiorità: la sofferenza, la paura, il freddo, i dolori fisici e la fame sono solo alcuni dei sentimenti che accomunano le memorie di uomini e donne che descrivono tali esperienze. Dopo essere stati privati del loro status sociale, della loro vita e della loro sessualità, l’abbrutimento fisico e la cancellazione dell’identità di genere diventavano il mezzo finale per annientare lo spirito dei detenuti: è importante quindi sottolineare che sia nelle prigioni che nei gulag, l’annientamento della condizione femminile avveniva non perché tale ma perché parte dell’essere individui aspiranti a libertà e diritti.
Tuttavia, nelle memorie del gulag scritte da donne è possibile rinvenire delle peculiarità esclusivamente femminili; per porne in evidenza alcune si è scelto qui di indagare il caso di Lena Constante. Scrittrice e artista romena, nacque a Bucarest nel 1909 dove in seguito studiò pittura e si occupò di ricerche etnografiche sull’arte tradizionale dei villaggi romeni. Il 17 gennaio 1950 venne arrestata nell’ambito del processo farsa al “gruppo Pătrășcanu”; indetto dal segretario generale del partito comunista romeno Gheorghe Gheorghiu-Dej contro Lucrețiu Pătrășcanu, ex ministro della giustizia e fondatore del partito; fu il primo processo politico di matrice stalinista del dopoguerra romeno. Per la sua amicizia e collaborazione professionale al Teatro delle marionette di Bucarest con Elena, la moglie di Pătrășcanu, Constante venne condannata, dopo 5 anni di inchiesta trascorsi in quattro carceri diverse, a un totale di 12 anni di detenzione.
La testimonianza dell’esperienza carceraria è racchiusa in due diari: i primi otto anni di detenzione sono raccontati in Evadarea tăcută: 3000 de zile singură în închisorile din România (“L’evasione silenziosa: 3000 giorni, sola, nelle prigioni romene”, 1992), definito dalla studiosa di gulag romeni Ruxandra Cesereanu come “l’inferno della solitudine”, il diario descrive quella mostruosa e terrificante morsa dell’isolamento. Nel secondo diario Evadarea imposibilă: penitenciarul politic de femei Miercurea Ciuc 1957-1961 (“L’evasione impossibile: il penitenziario politico femminile Miercurea Ciuc 1957-1961”, 1993) vengono descritti i successivi quattro anni di prigionia trascorsi nel penitenziario di Miercurea-Ciuc, una delle prigioni femminili più dure del sistema penitenziario romeno. Reputato da Cesereanu come “il purgatorio della promiscuità” Constante descrive l’esperienza carceraria collettiva, più vicina all’illusione della libertà ma non meno infernale di quella in solitudine.
Ne L’evasione silenziosa la dimensione della solitudine diventa un elemento vitale per Constante attraverso il quale può evadere in una propria dimensione immaginaria, in un rifugio interiore ed estetico che rafforza la sua libertà spirituale: attaccandosi saldamente alla sua identità di artista ella scrive solo mentalmente e crea poesie, commedie e piccoli racconti che l’aiutano a sopravvivere mantenendo intatta una parte del suo essere. Questa operazione aiuta l’autrice a farsi forza anche di fronte al pericolo dello stupro, rischio molto accentuato della prigionia femminile.
Le memorie di Constante, soprattutto nel periodo dell’isolamento, sono ricche di passaggi che segnalano il rischio per una donna di incorrere in tali abusi, soprattutto nella condizione dell’isolamento che impediva all’autrice di trovare conforto nella presenza di altre detenute; la donna era vittima dello sguardo indiscreto di diverse guardie carcerarie che la scrutavano non per l’essere donna nella sua totalità ma solo per l’apparenza di donna-oggetto.
Intervallato al lavoro creativo mentale ci sono le conversazioni con le altre detenute che avvengono battendo sui muri delle pareti delle celle. Nell’“incontro” attraverso le pareti con cinque detenute esponenti del movimento xenofobo e di estrema destra della Guardia di Ferro, Constante viene meno anche alle categorie pregiudiziali dettate dal suo orientamento politico.
“Una mattina, quando mi hanno chiesto di nuovo, per mezzo del codice-abecedario: “Chi sei?”, Ho finalmente risposto dicendo loro il mio nome e il processo in cui ero stata coinvolta. A mia volta ho scoperto che c’erano cinque donne nella cella, tutte e cinque condannate per aver fatto parte della Guardia di Ferro. Scoprire che le mie vicine erano legionarie mi ha fatto rabbrividire. Ma ho superato la mia avversione. Anche loro come me erano in prigione e non volevo essere il giudice di nessuno. I miei giudici mi avevano trasmesso un disgusto eterno per i processi.” (p.220)
Nei giorni seguenti, sarà proprio grazie alla “compagna legionaria”, Gigi, che la donna riscoprirà il potere della comunicazione tra detenute, infatti grazie alle lezioni impartite dalla vicina di cella ella apprenderà il codice morse, che le permetterà di entrare nella vita segreta del carcere.
L’utilità del codice morse insieme al codice telegrafico di allarme sempre insegnatole da Gigi consentirà alle donne di tutta la prigione di scambiarsi messaggi vitali per la loro sopravvivenza nel penitenziario, permettendogli di comunicare quando avvenivano le perquisizioni nelle celle e riuscendo così anche a scambiarsi informazioni sugli avvenimenti esterni al carcere.
Nella parte finale de L’evasione silenziosa Constante segnala un tema praticamente assente nella letteratura del gulag maschile, quello dell’omosessualità. A partire dagli anni ’50, con l’instaurazione del regime comunista in Romania la persecuzione sociale di cosiddetti “invertiti sessuali” divenne sistematica; all’interno dei penitenziari femminili casi simili venivano tenuti nascosti, anche alle altre detenute spesso considerate delle possibili delatrici. Nei suoi diari Constante non approfondisce dettagliatamente tale tema proprio per la cautela e la segretezza con cui si instauravano queste relazioni.
Tuttavia, nel corso dei suoi ultimi due anni di penitenziario in isolamento, conobbe dall’altra parte del muro una giovane ragazza che titubante e in cerca di una sorta di redenzione le pose domande sul lesbismo; Constante ricorda cosa le raccontava la cattolica puritana S. e poi, titubante, la consola.
“S. diceva che, delle centinaia di donne di Mislea, solo tre erano lesbiche dichiarate. Non essendo più delle giovinette, avevano molta poca esperienza, molta insicurezza e attiravano parecchie ragazze giovani, alcune ancora vergini e tormentate da problemi e rimpianti. E così per queste donne, condannate a molti anni di prigione,e con la consapevolezza che la loro giovinezza sarebbe appassita nello squallore del penitenziario, amare – addirittura una donna – era la strada più normale per dar voce agli istinti repressi. Mi sembrava ingiusto che la mia vicina soffrisse. Ne percepivo il rimorso e stavo male. La mia risposta tentava di tranquillizzarla e di liberarla da inutili sofferenze. […] Due anni dopo abbandonava la prigione piangendo. Dopo alcuni mesi era già sposata e un anno dopo, madre.” (p.244)
Constante considera le relazioni omosessuali tra detenute inserendole nella categoria dei rapporti di amicizia-passione che tengono in vita l’affettività delle giovani donne e le pulsioni relative alla sfera sessuale; ma attraverso quei dialoghi, dai muri della cella riusciva per la prima volta dopo tempo a sentirsi utile dando consigli e ricevendo le confessioni delle detenute.
Le pareti della cella che, nonostante i silenziosi dialoghi, lasciavano a Constante la personale dimensione della solitudine verranno abbattute nel momento in cui verrà trasferita in un’unica cella insieme ad altre 14 donne. La solitudine, quella che le permetteva un costante lavoro creativo, sarà ciò che, in un primo momento, più le mancherà quando,terminati i suoi otto anni di reclusione da semi-isolata, rientrerà nel microcosmo di una stanza popolata da interazioni sociali relativamente normali.
L’evasione impossibile si apre proprio con la descrizione del profondo turbamento e dalla paura dovuti alla convivenza e al timore che le altre detenute potessero diventare sue nemiche o farle del male, tanto che Constante si sofferma nella descrizione delle sue corde vocali che parevano non fossero più educate alla naturale vibrazione necessaria per la pronuncia dei suoni.
Il carcere di Miercurea-Ciuc era un tipico penitenziario del sistema repressivo stalinista romeno in cui non vigeva alcuna distinzione tra le prigioniere politiche e le criminali comuni. Con il suo sguardo da ricercatrice Constante riesce a tracciare una mappatura autentica sia delle carnefici sia delle vittime, tra cui non può essere disegnata una linea netta; brutale nella descrizione di alcune donne vede in loro l’essere amorfe e senza personalità; tuttavia coloro che la colpiscono maggiormente sono le contadine. Donne condannate per omissione di denuncia poiché avevano dato rifugio a partigiani anticomunisti o per non aver denunciato un marito o un figlio, donne che si erano opposte alla collettivizzazione delle terre: il loro spazio esistenziale, quello della terra, gli era stato tolto improvvisamente in nome dell’eliminazione della proprietà privata o in nome della lotta contro i nemici del popolo e, prive di educazione e nella loro semplice concezione del mondo, non comprendevano le ragioni della loro detenzione. Paurose? Sì, tuttavia Constante anche in loro vede quel coraggio, quel sentimento “forte, affettivo e assolutamente femminile: la solidarietà.” (p.223)
Nel secondo diario emerge preponderante un’altra problematica, elemento unico della letteratura del gulag femminile: il ciclo mestruale si trasformava in dramma e diventava motivo di vergogna poiché le detenute, prive di mezzi igienici e senza il loro spazio intimo erano costrette a sporcare di sangue i pavimenti della prigione incorrendo poi nei successivi richiami e nelle umiliazioni delle guardie carcerarie.
“Nelle prigioni, soprattutto in quelle con le celle comuni, le donne sono colpite da un’immensa difficoltà risparmiata agli uomini. La maggior parte delle donne è giovane. Non hanno raggiunto l’età della menopausa. Ogni giorno, molte donne hanno le mestruazioni nello stesso momento. Non avevamo ovatta. Nemmeno assorbenti igienici. Pezzi di stoffa strappati? Pochissimi. Comunque, come lavarli? Come cavarsela? Povere donne! A volte, mentre camminavano con cautela verso il gabinetto, il sangue scorreva, goccia a goccia, lungo le loro cosce, lungo le loro gambe, e goccioline rosse cadevano sul pavimento. Più giovani erano, più si vergognavano della loro condizione.” (p.163)
Il mestruo cessava dopo pochi mesi dall’inizio della detenzione a causa della malnutrizione e della consecutiva perdita di peso, l’amenorrea veniva spesso vissuta dalle detenute con molto sollievo, nonostante rappresentasse la perdita di un ennesimo tassello della femminilità.
Consegnando alla memoria collettiva sia la sua l’esperienza della carcerazione in isolamento sia quella condivisa, Constante fornisce una testimonianza autentica utile alla comprensione della prigionia come esperienza di genere. Ciò che emerge prepotentemente da entrambi i diari è un cambiamento interno di Constante e la scoperta della solidarietà femminile: se nel primo diario la solitudine sarà il rifugio, nel secondo, lo stretto contatto con le altre detenute farà si che l’autrice riesca a sentirsi in intima connessione con le compagne. Significativo è l’episodio descritto in L’evasione impossibile dove Constante viene punita insieme ad una giovane detenuta di nome Nuti: ammanettate schiena contro schiena e costrette a stare in piedi per ore senza che nessuno potesse parlare loro.
Constante, percependo la paura della compagna sceglie di non evadere nella sua interiorità ma di annullare il suo bisogno per consolare la compagna più spaventata e lo fa narrandole la storia de Il ritratto di Dorian Gray. Con quell’atto Constante rinuncia al suo “io” per condividere la paura e la sofferenza del “tu”; in quella condizione il “noi” di tutte quelle donne ridotte a corpi androgini, ammalate, derubate della loro storia e della loro identità femminile, diventa infine più importante della sopravvivenza del singolo “io”.
La solidarietà femminile è l’irriducibile componente vitale che sovverte l’ordine disumanizzante del gulag e, nonostante le sofferenze di tutti i tipi, la mancanza di igiene, l’isolamento, le barbarie e le punizioni permette a Constante, donna e artista, di riprendere il filo del tempo spezzato e di tesserci parole di sangue e carne per raccontare la “bellissima storia di solidarietà femminile nella sofferenza”. (p.249)
Bibliografia:
Lena Constante, L’evasione silenziosa, traduzione di Angela Tarantino, Roma, Nutrimenti, 2007.
Lena Constante, Evadarea imposibilă: Penitenciarul politic de femei din Miercurea-Ciuc 1957–1961, Bucarest, Humanitas, 2013.
Ruxandra Cesereanu, Gulagul în cosțiința româneascșă. Memorialistica și literatura închisorilor și lagărelor comuniste, Iași, POLIROM, 2005.
Ruxandra Cesereanu, Three Feminine Testimonies and Perspectives on the Gulag, reperibile in: https://www.academia.edu/44363086/Ruxandra_CESEREANU_Three_Feminine_Testimonies_and_Perspectives_on_the_Gulag
Apparato iconografico:
Immagine 2: https://en.wikipedia.org/wiki/Lena_Constante
Immagine 3: http://artindex.ro/2012/05/16/constante-lena-elena/
Immagine 4: http://artindex.ro/2012/12/28/exclusiv-poze-inedite-cu-lena-constante/