Richárd Janczer
Nell’ottobre 2020, la casa editrice Portatori d’acqua ha consegnato al lettore italiano Una conversazione notturna di Thomas Bernhard e Peter Hamm, nella traduzione di Elsbeth Gut Bozzetti. A dimostrazione della serietà della proposta editoriale, l’edizione è stata curata da Micaela Latini, docente universitaria e curatrice del volume La pagina bianca. Thomas Bernhard e il paradosso della scrittura (Mimesis, 2011), e Mauro Maraschi, traduttore, tra gli altri, di Io cammino da solo. Journal 1837-1861 (Piano B, 2020), corposa antologia dei diari di Thoreau.
All’apparenza potrebbe sembrare un nuovo “testamento tradito”, l’ennesima volontà autoriale intenzionalmente disattesa dopo la dipartita, di cui la storia della letteratura non manca di fornire esempi: si pensi al rifiuto di Max Brod di distruggere l’opera di Kafka o ad Augusto che non osò bruciare l’Eneide non laborlimata alla perfezione. Se la gravità del tradimento risulta indelebile quanto il sangue sulle mani di Lady Macbeth, la speranza è che il bene collettivo così prodotto sia superiore. È questo il dissidio etico che dovette affrontare il critico letterario austriaco Peter Hamm (1937-2019), nell’inverno 2009-2010, quando chiese al fratellastro di Thomas Bernhard, Peter Fabjan, l’autorizzazione a pubblicare una conversazione che l’autore aveva voluto mantenere inedita.
Prima di indagare i motivi di tale rifiuto, è doveroso descriverne l’oggetto. Nel 1976 la casa editrice Suhrkamp stava allestendo un volume di saggi dedicati all’autore austriaco, il quale aveva suggerito Peter Hamm come curatore. Per togliere alla raccolta l’alone di eruditismo, che sarebbe risultato poco affine alla natura di Bernhard, il critico propose un’intervista che fungesse da introduzione. Nel 1977, dopo una cena assieme e scoccata già la mezzanotte, avvenne la conversazione notturna a casa di Bernhard, registrata e successivamente battuta a macchina. Dopo averla letta però, l’autore si oppose alla sua pubblicazione.
Le ragioni del rifiuto possono trovare spiegazione nella data stessa dell’intervista, il 1977, ossia nel vivo della stesura ed edizione dei cinque volumi dell’autobiografia bernhardiana, precisamente tra La cantina. Una via di scampo (“Der Keller. Eine Entziehung”, 1976) e Il respiro. Una decisione (“Der Atem. Eine Entscheidung”, 1978). L’autore, secondo l’ipotesi di Hamm, non avrebbe voluto che quella “conversazione informale” ne anticipasse i contenuti. Gran parte dell’intervista, infatti, ripercorre non solo il suo esordio letterario ma anche le vicende biografiche in cui è avvenuto: il collegio, il negozio di alimentari presso il quale era garzone, l’ospedale, il sanatorio, il Mozarteum…
“La letteratura ha moltissimo a che fare con la musica. E chi non ha conoscenze musicali è già inadeguato in partenza.” (p.52)
La musica ebbe un ruolo fondamentale nella sua formazione di romanziere e Bernhard è stato maestro nell’arte della variazione e della trasposizione di tecniche compositive musicali nella prosa stessa. Per approfondire l’argomento si consiglia la lettura de Il romanzo a variazioni di Simona Carretta (Mimesis, 2018). Il Mozarteum lo introdusse, oltre al violino e al canto, anche al mondo del teatro, una frequentazione sbocciata con la tesi comparatistica tra Artaud e Brecht e culminata nella florida produzione drammaturgica, punto focale di molte delle domande poste da Hamm.
“PETER HAMM: Per essere uno scrittore ha pochissimi libri a casa. Come mai?
THOMAS BERNHARD: Perché i libri mi opprimono, fosse anche uno solo. Un po’ come uno che lavora in una latteria: di certo non vorrà avere del burro anche a casa. Se tenesse a casa cento o mille panetti di burro finirebbe per impazzire.” (p.19)
Fin dall’incipit della conversazione, è però il controverso rapporto con la letteratura ad alimentare l’eterna fascinazione e il mistero della figura di Bernhard. Se Hamm non esita a definirlo “nuovo Rimbaud”, non è solo per la sua capacità di infrangere tabù plurisecolari ma anche per la ripugnanza che mostra per lo stesso ambiente che l’ha canonizzato. Più volte ne mostrerà il carattere arbitrario, definendolo come uno dei tanti mezzi per diventare famoso o semplicemente “un inganno” (p.27). Non è dunque raro trovarvi provocazioni sarcastiche rivolte al mondo dell’editoria, dipinto in tutta la sua idiozia ed eccessiva permissività, o ai lettori, bramosi di mettersi in contatto il loro idolo e di mostrargli la loro devozione. Quando invece è interpellato riguardo la sua produzione, ribatte frequentemente con noia e sufficienza. Non sorprende, a tal proposito, scoprire che Bernhard sia l’unico scrittore che Ágota Kristóf nomini ne L’analfabeta (Casagrande, 2005).
“[…] Bernhard amava sopra ogni cosa il motto di spirito e i giochi di parole spiazzanti. Il suo cinismo, o ciò che in lui somigliava al cinismo, era la reazione di un bambino profondamente ferito al quale il destino non aveva risparmiato colpi lungo il suo percorso di scrittore. «Si diventa poeti da bambini», scrisse Marina Cvetaeva.” (p.13)
La conversazione qui presentata, dunque, si svolge tra due uomini agli antipodi: Hamm, critico letterario di fede socialista, lui stesso lettore-ammiratore delle sue opere e assai borghese se confrontato con l’ospite di casa, e l’uomo cinico, isolato dal mondo e contrario a ogni forma di potere e di autorità. Non è forse però una posa pure quella assunta da Bernhard?
Nonostante non vi siano sillogismi tra le sue risposte e vi sia sempre un’apparente spontaneità e immediatezza e pertanto un inevitabile contraddirsi. Dietro però il sipario delle affermazioni di crudeltà verso i comuni mortali, dalla freddezza quasi scenica quando fantastica sugli attori come grumi di carne da gettare nella spazzatura al termine della loro interpretazione, c’è sempre il bambino del collegio.
Con queste premesse, è possibile perdonare Peter Hamm per il suo tradimento, dato che non anticipa ma anzi arricchisce a posteriori l’autobiografia bernhardiana. Una violazione che consegna ai posteri un’accessibile introduzione a una delle massime penne di lingua tedesca, che veicola una parola ignara di qualsivoglia filtro e in tutta la sua contradditoria bellezza. Una conversazione notturna è soprattutto il fedele autoritratto di un uomo che ha perso ogni possibile speranza nella politica e in un altrove migliore, che si è reso testimone dei più tetri abissi della follia umana ma che ben ricorda com’è “accarezzare un gatto in cortile, magari perché a te non ti accarezza nessuno.” (p.25)
Apparato iconografico:
Immagine in evidenza:
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Immagine 1: https://portatoridacqua.files.wordpress.com/2020/11/bernhard.cover2_-1.jpg