Eleonora Del Col
Nell’immediato dopoguerra, la popolazione ebraica dell’Unione Sovietica iniziò a subire una nuova ondata di antisemitismo, passata con il nome di “lotta al cosmopolitismo”. Il 13 gennaio 1948 venne ritrovato a Minsk il corpo senza vita di Solomon Michoels, il celebre attore del Teatro Ebraico di Stato moscovita (GOSET), nonché presidente del Comitato Ebraico Antifascista, assassinato per ordine di Stalin, assieme al corpo del critico teatrale V. I. Golubov-Potapov, anch’egli ebreo, ucciso in quanto unico testimone. La notizia della morte di Michoels arrivò a Mosca lo stesso giorno: secondo la versione ufficiale, la morte sarebbe avvenuta in seguito a un fatale incidente d’auto. Venne organizzata la cerimonia funebre il 16 gennaio e una lunga coda di persone si fermò per rendere omaggio all’attore mentre, durante la cerimonia di cremazione, un violinista suonò ininterrottamente il Kol Nidre, l’introduzione drammatica che si canta nelle sinagoghe prima della celebrazione dello Yom Kippur.
Qualche mese dopo vennero arrestati altri tredici membri dell’intelligencija ebrea sovietica, tra cui diversi scrittori e poeti e membri del Comitato Antifascista Ebraico, accusati di attività di spionaggio e tradimento e, dopo tre anni di torture, vennero tutti uccisi il 12 agosto 1952 nelle celle della Lubjanka, in quella che verrà ricordata come la “Notte dei poeti assassinati”.
L’uccisione di Michoels fu emblematica in quanto, agli occhi del potere, bisognava distruggere il suo carisma e la sua rappresentatività e mettere in guardia, attraverso la liquidazione senza processo, tutti gli altri sospetti o potenziali sionisti. Michoels, infatti, si guadagnò una grande popolarità sia all’interno dell’Unione Sovietica sia in Occidente, ed essendo una figura così conosciuta, venne messo a capo del Comitato Antifascista Ebraico nel 1942 con l’incarico di cercare sostegno economico negli ambienti ebraici, soprattutto americani, per l’apertura del Secondo fronte nella guerra antinazista. Ma con la fine della Seconda guerra mondiale e la nascita dello Stato d’Israele, gli ebrei sovietici subirono una nuova ondata di antisemitismo: il Comitato Ebraico Antifascista venne sciolto nel 1948 con un decreto firmato da Stalin e il Goset venne definitivamente chiuso.
Destinato alla carriera di avvocato, Solomon Michajlovič Michoels era cresciuto in una famiglia chassidica, ma fin dall’infanzia maturò in lui il desiderio di diventare un attore, professione che non era ben vista né dalla famiglia né dall’ambiente ebraico. Nel 1918, però, abbandonò gli studi di avvocatura in quanto gli giungevano terribili notizie sui tribunali rivoluzionari, per cui decise di intraprendere lo studio delle scienze matematiche a Pietrogrado. Nello stesso periodo, il regista Aleksej Granovskij cercava attori non professionisti da formare per il suo nuovo teatro ebraico, perché quelli già formati avrebbero reso inutile ogni tentativo di innovazione. L’obiettivo di Granovskij era quello di creare un teatro rivoluzionario, promotore di una cultura yiddish che sposasse i valori della rivoluzione, un teatro d’avanguardia sotto ogni aspetto.
Michoels venne immediatamente reclutato in quanto Granovskij lo apprezzò non solo per le sue doti attoriali, ma anche per la sua cultura, e poiché il regista non conosceva la lingua yiddish, si rivelò un ottimo mentore e profondo conoscitore dell’ebraismo e della sua cultura.
Così, quando il ministro della cultura Lunačarskij invitò Granovskij a trasferire il teatro a Mosca nel 1920, Michoels diventò subito il braccio destro di Granovskij con l’incarico di dirigere la conduzione degli attori e del teatro. Insieme a Granovskij, Michoels condivideva gli obiettivi fondamentali per la creazione del nuovo teatro d’avanguardia, che doveva basarsi su una rilettura critica del repertorio yiddish per una rigenerazione culturale, basata su un rovesciamento della cultura ebraica tradizionale, che era tanto intrisa di un rigido conservatorismo bigotto. L’attualizzazione dei testi veniva realizzata attraverso una composizione scenica eccentrica, su base coreografica e musicale, ricca di acrobazie e carica di colori accesi, adottando le formule del cubismo non solo nella figurazione ma anche nella recitazione.
A contribuire alla delineazione della nuova impronta estetica del teatro intervenne il pittore Marc Chagall, il quale fu invitato dal critico d’arte Abram Efros per promuovere un’effettiva innovazione. Chagall dipinse sette pannelli, ma è sopravvissuto solo quello realizzato nel muro principale, intitolato Introduzione al nuovo teatro nazionale, lungo otto metri e alto tre. In questo dipinto sono raffigurati elementi della tradizione ebraica, rovesciati e reinterpretati per sottolineare la natura rivoluzionaria e non realistica di quest’arte, sempre con un tono umoristico. Chagall si ispirava infatti agli usi e costumi più folli e osceni della vita nelle shtetl (le piccole città e villaggi yiddish dell’Europa orientale), celebrandoli come elementi fondamentali di una nuova cultura rivoluzionaria. Difatti vennero inizialmente percepiti dal pubblico come blasfemi e osceni. Ma, come il critico Ljubomirskij sottolinea, è proprio grazie a Chagall che si delinea la vera innovazione del teatro: “la sua influenza era visibile non solo nelle scenografie, nei costumi, nel trucco, ma anche nella gestualità degli attori. Gli attori trovavano in quella stilizzazione grottesca della sovrabbondante gestualità ebraica e nel folklore ciò di cui avevano bisogno per esprimere la loro idea del carattere ebraico. Per diversi aspetti erano molto vicini alla rappresentazione delle forme chagalliane. I loro sforzi, in questo senso, sulla base dell’impulso dato da Chagall, diedero inizio a quello che fu poi considerato il tipico teatro ebraico”. Il primo spettacolo inaugurale del teatro Serata con Sholem Aleichem vide così la partecipazione di Chagall nella scenografia, costumi e trucco. Lo spettacolo si componeva di due atti unici Agenti e Mazel Tov, seguiti da un monologo Una celebrazione rovinata. Nella preparazione dello spettacolo Chagall e Granovskij ebbero forti discussioni in quanto il regista sembrava più incline al naturalismo e al realismo, mentre Chagall proponeva di utilizzare la fantasia, introducendo elementi antirealistici e critici nei confronti della rigidità tradizionalista, in linea con lo spirito dei testi del grande autore Sholem Aleichem. Granovskij reagì molto male, ma riconobbe che il pubblico non era interessato al naturalismo e che effettivamente si era assistito a qualcosa di nuovo e di vivo. Il primo a recepire e fare propri gli insegnamenti di Chagall fu proprio Michoels, che a lungo lo contemplava mentre dipingeva per comprendere, anche col corpo, l’essenza di tali dipinti.
La novità e il valore di questa poetica furono percepiti anche all’estero, da spettatori che non avevano familiarità con la cultura yiddish. Nel 1928, la compagnia del GOSET partì per una tournée in diverse città del mondo occidentale, portando un repertorio di numerosi spettacoli tra cui I Viaggi di Beniamino Terzo, Notte al Mercato Vecchio, La Strega. Il GOSET ottenne un largo successo in tutte le città europee, ma li raggiunse l’ordine di annullare la tappa prevista per gli Stati Uniti e rientrare in patria. Granovskij, però, sarebbe rimasto all’estero, per cui al rientro della compagnia, Michoels venne nominato direttore del GOSET.
Il teatro dovette adattarsi ai nuovi dettami, secondo cui il repertorio doveva contenere almeno la metà degli allestimenti tratti da opere di scrittori sovietici contemporanei, caratterizzati, però, da uno schematismo ideologico, staticità e piattezza artistica. Per quanto riguarda l’altra metà degli allestimenti, si faceva ricorso al classico repertorio di successo di Granovskij, così da riempire la sala. Inoltre, il suicidio di Majakovskij segnò la fine definitiva di tutte le avanguardie e nel 1934 il Realismo socialista venne adottato come estetica ufficiale in tutte le arti.
Michoels provò a ovviare il problema mettendo in scena testi classici, non solo yiddish: dagli anni Trenta, infatti, alcuni testi di Shakespeare vennero considerati “ammissibili” da una circolare del Comitato Centrale per il Repertorio.
L’apice della realizzazione artistica del GOSET si ebbe, difatti, con la messinscena di Korol’ Lir (“Re Lear”) in lingua yiddish, mediante la quale veniva espressa un’interrogazione preoccupata sul presente staliniano che, ovviamente, veniva velata dal riferimento alla società feudale e alle lotte per il potere rappresentate da Shakespeare, come se si trattasse di questioni ormai superate. Nonostante ciò, tutti gli spettatori, la cui maggioranza non conosceva la lingua yiddish, erano in grado di comprendere l’allegoria sottostante: tutti comprendevano che il comportamento del re autocrate, interpretato magistralmente da Michoels, alludeva al culto della personalità staliniana e a ciò che stava succedendo nei palazzi del potere sovietico. Lo spettacolo Re Lear rappresentava, in sostanza, l’autobiografia collettiva di uomini e donne che avevano sperato che con la Rivoluzione avrebbero potuto intraprendere il cammino verso la Terra Promessa, incontrando invece solo sofferenza.
Attraverso la messinscena di un testo classico e non immediatamente censurabile, crebbero ancor di più le pressioni da parte del potere, ma lo spettacolo venne visto da oltre ottocentomila spettatori, entrando nella storia come uno dei maggiori successi del teatro novecentesco, tanto che Gordon Craig dichiarerà che quello era “l’unico modo di leggere la tragedia che potesse farne risuonare la contemporaneità”, la storia del Re Lear era perfettamente calata nella storia dell’Unione Sovietica degli anni Trenta.
Per concludere, con le parole dello stesso Michoels tratte da Il mio lavoro sul Re Lear di Shakespeare si evince come la sua concezione di arte sia stata il motore che l’ha guidato lungo tutta la sua esistenza, non solo nel lavoro artistico: “Che cos’è l’arte? Sono convinto e l’ho ripetuto diverse volte: l’arte è l’espressione della più grande passione umana, la passione per la conoscenza. L’arte è un processo di apprendimento. Secondo me questa è la definizione più corretta di ciò che è essenziale nell’arte.”
Bibliografia:
Antonio Attisani, Solomon Michoels e Venjamin Zuskin: vite parallele nell’arte e nella morte, Torino, Accademia University Press, 2013;
Claudia d’Angelo, Re Lear: storia di uno spettacolo yiddish sovietico, Torino, Accademia University Press, 2017;
Judith Zivanovič, GOSET: Little-Known Theatre of Widely Known Influence, in Educational Theatre Journal, May, 1975, Vol. 27, No. 2 (May, 1975), pp. 236-244, The John Hopkins University Press, disponibile online al link https://www.jstor.org/stable/3206116;
Jeffrey Veidlinger, Let’s Perform a Miracle: The Soviet Yiddish State Theater in the 1920s, in Slavic Review, Summer, 1998, Vol. 57, No. 2 (Summer, 1998), pp. 372-397, Cambridge University Press, disponibile online al link https://www.jstor.org/stable/2501855.
Apparato iconografico:
Immagine 1:https://evreimir.com/98687/likvidatsiya-litsedeya-125-letiyu-so-dnya-rozhd/
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