Il sé contraddittorio in Isaak Babel’

Stefania Feletto

È il 20 marzo del 1917 quando in Russia il Governo Provvisorio, instauratosi dopo la caduta dell’Impero e l’abdicazione dello zar, abolisce ogni forma di restrizione per gli ebrei. Il gabinetto si impegna, infatti, ad eliminare tutte le restrizioni legate al rango sociale, alla religione e alla nazionalità: per gli ebrei, ciò significa sostanzialmente l’abolizione della zona di residenza e la fine delle discriminazioni sociali, come, per fare un esempio, il numerus clausus. Negli anni a seguire, molti artisti ebrei, nati in Russia tra il 1890 e il 1900, esprimono il loro “senso di liberazione” partecipando attivamente al processo di creazione e istituzionalizzazione della letteratura sovietica dei primi anni Venti e Trenta. Alcuni scrittori russi di origine ebraica si distinguono tra le correnti più importanti dell’epoca: li ritroviamo infatti tra gli avanguardisti, i formalisti, i costruttivisti, oltre che spiccare all’interno della Scuola sud-occidentale, così soprannominata da Šklovskij, la quale nasce nella città di Odessa e sulle coste del Mar Nero. All’interno di questa Scuola dall’identità interculturale, mai di fatto formalizzatasi ma considerata tale dalla critica e dai lettori, si colloca tra i suoi massimi esponenti Isaak Ėmmanuilovič Babel’.

Isaak Babel’ negli anni Trenta

Nato nel 1894 nella Moldavjanka, uno squallido quartiere della città di Odessa, Babel’ si forma in un periodo storico in cui è forte la rinascita della coscienza nazionale ebraica e va concettualizzandosi una futura identità che parte dalla cultura. È importante tenere presente che molti ebrei erano stati presi dall’entusiasmo della Rivoluzione russa e consideravano le azioni intraprese dagli organi politici come un mezzo attraverso il quale raggiungere diritti e uguaglianza civile. Anche Babel’ vive la speranza di un cambiamento e la sua scelta di scrivere racconti in lingua russa può essere considerare una dichiarazione di identità ideologica, un tentativo di mettere da parte la tradizione e le lingue yiddish ed ebraica. Lo scrittore nasce in un contesto letterario, etnico e linguistico che non ha scelto per sé ma che è in grado di plasmare, appunto, a seconda dell’identità culturale che intende crearsi.

Nonostante le iniziali misure di affrancamento, in Russia è forte l’antisemitismo popolare, mai totalmente sradicato, diffuso tanto tra i contadini quanto nella classe dirigente. È quando i bolscevichi sopprimono le organizzazioni comunitarie ebraiche esistenti e prendono il controllo della produzione culturale che crolla definitivamente la fiducia verso il nuovo sistema politico sovietico. Se da un lato si può affermare che Babel’ voglia guardare a un futuro socialista, allo stesso tempo lo scrittore piange la progressiva perdita di un passato culturale ebraico. È in questo contesto che va formandosi il conflitto tra l’identità russa e quella ebraica di Babel’ e che trova spazio nelle sue opere: in lui c’è la volontà di aderire ad una società di più ampio respiro che gli permetta di uscire dal ghetto in cui è cresciuto, ma allo stesso tempo intuisce che il regime sovietico porterà all’eliminazione della comunità ebraica.

Di Babel’ è possibile leggere in traduzione italiana le due raccolte di racconti intitolate L’Armata a cavallo (1923) e Racconti di Odessa (1931), spesso pubblicate unitamente insieme ad altri racconti indipendenti. La critica distingue l’opera dell’autore in tre principali gruppi tematici, ossia quelli che ruotano attorno alla campagna di Polonia de L’Armata, quelli dell’epopea ebraica e quelli autobiografici e dell’infanzia. Nonostante questa ripartizione, è attraverso una lettura d’insieme di tutte le vicende narrate e dei personaggi che traspare una visione completa di come Babel’ abbia vissuto la conflittualità tra identità ebraica e russa.

Tra i racconti indipendenti dalle due raccolte, in Infanzia. Dalla nonna, il narratore, che si può identificare con lo scrittore stesso, descrive l’episodio di una giornata trascorsa in compagnia dell’anziana donna. L’atmosfera della stanza è calda, soffocante, e il severo sguardo della donna non gli dà tregua. Il giovane, dopo sei ore di lezioni, è costretto in quella stanza allo studio del violino e dell’ebraico, attività spesso imposte ai figli nelle famiglie ebree. La nonna, come il padre, spinge il ragazzo a studiare tutto, a “sapere tutto” perché considera il successo di Babel’ come l’unico mezzo che gli permetterà di raggiungere la mobilità sociale e che garantirà il riscatto di tutta la loro stirpe. Dunque, fin dalla più tenera età, Babel’ subisce le pressioni da parte della famiglia perché la sua realizzazione è destinata a essere fonte, se non economica, almeno di gloria per il padre, nonostante quest’insistenza e la fatica provochino al ragazzo forti mal di testa e nevrosi. Nella nonna, analfabeta, radicata nella tradizione, Babel’ proietta la passività mentale del ghetto tipica della classe media ebraica, che punta a sviluppare le capacità intellettuali o commerciali della persona, ma mai una realizzazione fisica. In questo racconto il protagonista scopre la violenta e passionale contrapposizione del mondo russo, che conosce attraverso la lettura del testo Primo amore (1860) di Turgenev, dal quale è affascinato.

La mancata realizzazione fisica e il disagio crescente nei confronti del proprio corpo ebreo, insieme ad una sensazione di inferiorità nei confronti dei coetanei russi, sono raccontate anche in Risveglio: il narratore viene aiutato da Efim Smolič, un vecchio ebreo del porto, che prova ad insegnargli a nuotare, senza però ottenere grandi risultati. In questo testo si scontrano di nuovo l’eredità ebraica, improntata allo studio e al successo, con il richiamo del mare e della natura, che hanno sempre attratto il giovane Babel’ ma che nella pratica non ha mai potuto conoscere.

In Storia della mia colombaia lo scrittore racconta il suo primo scontro con la violenza antisemita durante gli eventi del pogrom a Nikolaev, dove trascorre la propria infanzia. In questo racconto, Babel’ riporta le difficoltà che incontra da ragazzo per entrare al ginnasio: a causa del numerus clausus il numero di ebrei nelle scuole era limitato e, pur eccellendo, il posto che si è guadagnato dopo l’esame viene preso da un altro compagno, perché il padre ha corrotto un insegnante. L’anno successivo, Babel’ ritenta e supera l’esame, ricevendo in premio dalla famiglia la tanto desiderata colombaia. Il giorno in cui Babel’ si trova al mercato per acquistare i colombi, scoppia in città un pogrom e sulla strada verso casa incontra lo storpio Makareno che lo colpisce al volto con i colombi insieme alla moglie, Katjuša, che pronuncia frasi d’odio contro il seme ebreo da estirpare. Non è un caso che questo gesto antisemita sia compiuto per mezzo dei colombi, simbolo universale di pace e di speranza, sia nel mondo ebraico che cristiano. Tornato a casa, il ragazzino viene a sapere che il nonno Sojl è morto e che i genitori hanno trovato rifugio in casa dei vicini. L’introduzione del ragazzo nell’età adulta è stata dunque un’esperienza di violenza profondamente ebraica.

Soldati della prima Cavalleria dell’Armata di Budyonny. 1920

Il conflitto scaturito dalla coesistenza di un’identità ebraica e russa si ritrova anche nei racconti de L’Armata a cavallo, in cui Babel’ mette per iscritto nel 1923 le impressioni ricavate dalla campagna di Polonia, alla quale ha partecipato come giornalista nel 1920. In questi racconti, lo scrittore, che anche qui si può identificare con il narratore, descrive la violenza tra i cosacchi dell’esercito e nei confronti dei tanti umili, spesso di origine ebraica, incontrati nei villaggi. Il narratore cerca di mantenere l’aspetto del militare cosacco e prova a riprodurre le violenze a cui assiste. Babel’ non smette di voler integrarsi con i cosacchi, anche quando viene discriminato perché incapace di uccidere un’oca o perché indossa “gli occhiali sul naso” (segno di appartenenza all’intelligencija ebraica), o ancora quando gli viene ricordato che è un ebreo e sarà sempre straniero nella sua nativa Russia. Nonostante le umiliazioni, non riesce a non provare un senso di ammirazione e inadeguatezza per l’esercito. Quando ne L’ebreo Gedali, il botteghino interroga Babel’ su chi sia in quella guerra la rivoluzione e la controrivoluzione, dopo aver subito le violenze di polacchi, bianchi ucraini, partigiani e ora dei “liberatori” russi, la risposta di Babel’ arriva quasi a giustificare quel conflitto perché la rivoluzione non può fare a meno di portarsi dietro morte e sofferenze. Per quanto cerchi di allontanarsi dal suo essere ebreo, nello stesso racconto Babel’ descrive anche la malinconia del ricordo che lo coglie la vigilia del sabato. Nel racconto Sulla strada di Brondy ritroviamo la sensibilità verso la natura quando Babel’ piange per le api che sono state sterminate e denuncia i delitti quotidiani dell’esercito, dimostrando un senso di alterità rispetto a quel mondo violento, nonché la propria effettiva lontananza da quegli “eroi” cosacchi. La morte degli ebrei, della cultura ebraica e del giudaismo risultano essere il tema principale della raccolta. Il paradossale accoppiamento e l’alternanza delle identità russa ed ebraica nei racconti nasconde un “sé” conflittuale, oltre alla vergogna di un’inferiorità fisica e sociale ebraica.

Nei Racconti di Odessa vediamo svolgersi le azioni criminali dei banditi ebrei che popolano il quartiere Moldavjanka, dove Babel’ è nato. In questo ciclo di racconti, il protagonista Benja, soprannominato “il Re” e di fatto capo dei gangster, è un ebreo ma ha raggiunto la realizzazione fisica, è violento, ma soprattutto è in grado di soddisfare una donna. Benja risulta essere un personaggio più simile simile ai cosacchi de L’armata che all’insicuro Babel’.

Sebbene tutta la sua opera sia strettamente legata ai fatti, i racconti non sono sempre completamente autobiografici: è importante dire che Babel’ rivisita e forza in parte l’infanzia che ha vissuto per dimostrare di essersi allontanato dal passato ebraico borghese e essersi allineato a quanto chiedevano gli ideologi sovietici. Attraverso la lettura di Babel’ si percepisce costante l’interesse di essere cronista del proprio tempo e di raccontare il destino degli ebrei russi, nel tentativo di risolvere il conflitto interiore della propria identità culturale.

Bibliografia:

Efraim Sicher, Babel’ in Context: A Study in Cultural Identity, Academic Studies Press, Boston, 2012

Isaak Babel’, L’Armata a cavallo e altri racconti, Einaudi, Torino, 1969

Renato Poggioli, Saggio introduttivo, in I. Babel’, L’Armata a cavallo e altri racconti, Einaudi, Torino, 1969

Stanley Edgar Hyman, Identities of Isaac Babel, in The Hudson Review, Vol. 8, No. 4 (Winter, 1956), pp. 620-627

 

Apparato iconografico: 

Immagine 1: https://pushkinpress.com/our-authors/isaac-babel/

Immagine 2: https://en.wikipedia.org/wiki/File:Semyon_Budyonny%27s_Red_Army_1st_Cavalry.jpg