Silvia Girotto
La questione ebraica è un argomento il cui dibattito si concentra erroneamente nel contesto novecentesco europeo, tuttavia la presenza ebraica e la volontà di integrazione hanno radici che si collocano molto più indietro nel tempo. L’autore tedesco Gotthold Ephraim Lessing (1729-1781) gioca un ruolo importante all’interno di questo dibattito. Egli è tra i primi in Prussia ad affermare pubblicamente la condizione svantaggiata degli ebrei e la necessità di esercitare tolleranza nei loro confronti. Questa idea di tolleranza è nota grazie al testo teatrale Nathan der Weise (“Nathan il saggio”, 1779, Reclam Verlag, pubblicato in Italia da Garzanti), il cui finale presenta al lettore l’utopia di un’uguaglianza tra le tre grandi religioni monoteiste. Con questo lavoro Lessing viene preso nel XIX e XX secolo come esempio della possibilità di una convivenza tra i popoli tedesco ed ebraico. Ad un’analisi approfondita ci si domanda, tuttavia, di che genere sia la tolleranza proposta da Lessing e se tale concezione sia influenzata dalla sua appartenenza a un gruppo maggioritario, quello cattolico, e privilegiato. Per rispondere a questa domanda risulta utile approfondire un altro testo dell’autore: Die Juden (“Gli ebrei”, 1749, Reclam Verlag, in Italia pubblicato da Bompiani). All’interno di quest’opera teatrale il protagonista, il misterioso Viaggiatore, ascolta ininterrottamente considerazioni sul popolo ebraico da parte di personaggi che dimostrano di averne un’idea stereotipata e negativa. Al termine della vicenda, dopo essere stato più volte lodato per le sue qualità dal Barone che lo ospita, il Viaggiatore rivela la sua appartenenza alla religione ebraica, causando lo stupore generale e il riconoscimento dell’esistenza di gute Juden, di “buoni ebrei”. Nella Prussia dell’epoca Die Juden viene presentato al pubblico come un’opera dal carattere rivoluzionario, carattere dovuto alla descrizione del protagonista. Lessing non cerca infatti di farne risaltare le qualità stereotipicamente negative. Il Viaggiatore viene presentato come una persona colta e ricca, la cui rappresentazione può fungere da modello per quegli ebrei che in futuro aspireranno a raggiungere la stessa condizione.
Lessing è tra i primi a parlare della necessità di una tolleranza nei confronti della cultura ebraica, prima di lui è esemplificativo il caso di Christian Fürchtgott Gellert, che nella sua opera Leben der schwedischen Gräfin von G*** descrive l’ebreo come esempio di atteggiamenti lodevoli, che tuttavia ricorda eccessivamente la cristianità. Questo atteggiamento criticato in Gellert può essere ritrovato anche in Die Juden: il finale senza matrimonio con la figlia del Barone – e quindi senza conversione – lascia l’amaro in bocca al lettore dell’epoca per la mancata assimilazione al mondo tedesco. In questa lettura si riconosce l’idea tipicamente settecentesca della possibilità per l’ebreo di essere un brav’uomo solo seguendo regole appartenenti alla moralità cristiana.
Rivolgendo uno sguardo al contesto storico-politico in cui Lessing si trova a scrivere, è necessario sottolineare come il governo prussiano con il passare del tempo avesse accordato alla comunità ebraica concessioni in cambio della richiesta di un’assimilazione: gli ebrei furono spinti ad accettare regole, tradizioni, costumi e perfino nomi tedeschi in cambio del riconoscimento di un’uguaglianza sul piano formale. Questo tentativo non si riproduce tuttavia in un’effettiva parità e Lessing mostra chiaramente questo atteggiamento diffuso in Prussia, dove la sua opera apparve lungimirante rispetto ai tempi. Le discriminazioni verso il popolo ebraico divennero evidenti in particolar modo dopo la morte dell’autore. Il principe Wilhelm I abolì infatti la maggior parte dei diritti acquisiti dagli ebrei nei decenni precedenti. Questo contesto spiega la necessità dell’autore di creare un’opera in grado di far rivalutare i valori del popolo ebraico di fronte al giudizio dei tedeschi e quindi dei cristiani. Si può notare in Die Juden tutta la brutale conseguenza dello stereotipo, un pregiudizio in grado non solo di modificare ciò che il popolo cristiano pensa della cultura ebraica, ma anche ciò che gli stessi ebrei pensava di loro stessi: “[…] senza alcuna eccezione, sono imbroglioni, ladri e briganti” (p. 8). In Die Juden Lessing mette in bocca ai suoi personaggi perfino minacce, al fine di renderli più verosimili: “[…] non potrei mai essere re: non ne lascerei nessuno in vita, nemmeno uno” (p. 9).
La rappresentazione dell’ebreo proposta da Lessing si rivela problematica sotto diversi punti di vista. In primo luogo, il Viaggiatore è portatore di caratteristiche tipiche della figura del “buon samaritano”, immagine tipicamente cristiana, e viene quindi reputato un buon uomo in virtù della sua somiglianza al gruppo che lo giudicherà. L’ebreo retto è quindi colui che si comporta come un “buon cristiano”. In secondo luogo, questa accettazione in quanto ebreo che si comporta come un uomo di fede cristiana condiziona la sua rappresentazione come eccezione. Il Viaggiatore mostra una deviazione dalla norma e pertanto non si ha in Die Juden la possibilità di estendere il giudizio agli altri ebrei. Inoltre, l’identificazione di ciò che è morale e giusto è definita dalla prospettiva cristiana, così come anche in Nathan der Weise si riconoscono caratteristiche comuni tra i rappresentanti delle tre religioni, nel finale accomunati da una descrizione unica, positiva dal punto di vista del cristianesimo. Non è quindi un’accettazione reale delle differenze, ma piuttosto un tentativo di cancellarle. È quindi, paradossalmente, una tolleranza che perde la sua efficacia per assenza del tollerabile.
Proprio per mostrare come l’ebreo possa essere simile al cristiano, Lessing fa credere ai suoi personaggi che il Viaggiatore, per comportamento e aspetto, non possa essere in alcun modo malvagio. L’autore lo afferma anche rispondendo alla recensione non particolarmente lusinghiera dell’orientalista Johann David Michaelis, pubblicata sul Göttingischen Anzeigen von gelehrten Sachen nel 1754. Qui si afferma – tesi sostenuta da molti lettori – che la storia e il personaggio del Viaggiatore siano inverosimili: l’ebreo, che nell’immaginario collettivo è l’usuraio e il profittatore, non può in alcun modo fare parte della popolazione colta e beneducata. Alla provocazione Lessing risponde in Theatralische Bibliothek con una lettera scritta da Moses Mendelssohn, presentato inizialmente come un anonimo ebreo colto, che funge da testimonianza per la verosimiglianza del testo. Presentando la lettera, Lessing afferma:
“Lo dico qui ed ora: anche se il mio Viaggiatore fosse un cristiano, il suo carattere sarebbe alquanto insolito. E se all’insolito corrisponde l’inverosimile, allora anche il cristiano risulterebbe inverosimile.” (p. 492)
Lessing sostiene quindi come nemmeno tra i cristiani ci siano molte persone in grado di raggiungere questa lodevole condizione. Come gli ebrei, anche i cristiani devono impegnarsi per ottenerla e tuttavia i tratti caratteristici rimangono quelli della cristianità.
La critica di Michaelis si concentra anche su un secondo punto, ovvero il fatto che l’ebreo descritto da Lessing venga presentato in contrasto all’ebreo medio. Egli rappresenta l’ebreo che ce l’ha fatta, è un’anomalia nel suo gruppo e non uno tra i tanti. Il Viaggiatore immaginato da Lessing è un personaggio che deve compensare gli stereotipi, risultando quindi l’eccezione, che non viene percepita come un ebreo tra tanti, ma come l’ebreo che si è riscattato. Non è raggiunto lo scopo iniziale, cioè collegare la bontà di un ebreo ad una generale visione positiva del popolo ebraico. “Ci sono ben anche ebrei, che non sono ebrei” (p. 45), afferma il servo Christoph, sottolineando proprio l’aspetto dell’eccezionalità. E lo stesso viene ammesso da Moses Mendelssohn nell’anonima lettera:
“In realtà la caratterizzazione dell’Ebreo in viaggio (me ne vergogno quando la guardo da questo punto di vista) è l’incredibile, l’inaspettato di questa commedia.” (pp. 493-494)
Die Juden propone quindi un passaggio fondamentale dell’integrazione del popolo ebraico all’interno dei territori di lingua tedesca: l’accettazione delle differenze. La posizione privilegiata dell’autore funge però da ostacolo e Lessing propone, più che un’integrazione, un adattamento degli ebrei agli ideali cristiani. Precursore di una vera difesa dell’uguaglianza e della parità, Lessing è ancora lontano da reali idee di integrazione, ma il suo lavoro risulta comunque un importante punto di partenza per la creazione di una società più equa, il cui raggiungimento, come testimoniano gli avvenimenti del Novecento, è il risultato di un lungo percorso.
Bibliografia:
E. Lessing, Die Juden, Ein Lustspiel in einem Aufzuge verfertiget im Jahr 1749, Stuttgart, Reclam, 2002 [erste Ausgabe 1981]. (I brani tratti da questo testo sono stati tradotti per l’occasione da me S.G.)
Maria Paola Mari, Focus Kompakt Neu, Eine Anthologie der deutschen Literatur, Genova, Cideb Editrice, 2007.
Ritchie Robertson, „Dies hohe Lied der Duldung”? The Ambiguities of Toleration in Lessing’s “Die Juden” and “Nathan der Weise“, The Modern Language Review, Vol. 93, No 1., January 1998, pp. 105-120.
Sitografia:
E. Lessing, Theatralische Bibliothek, in Werke und Briefe in zwölf Bänden: Band 1: Werke 1743 – 1750 Frankfurt am Main, Deutscher Klassiker Verlag, 1989. (I brani tratti da questo testo sono stati tradotti per l’occasione da me S.G.) http://gateway.proquest.com/openurl?ctx_ver=Z39.88-2004&res_dat=xri:dkv&rft_dat=xri:dkv:deutsch:ft:all:Z400037347
Literaturlexicon Online; Universität Saarland. http://literaturlexikon.uni-saarland.de/index.php?id=1656
Zeno.org – Meine Bibliothek http://www.zeno.org/Literatur/M/Lessing,+Gotthold+Ephraim
Apparato iconografico:
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