Richárd Janczer
Il contesto ungherese è tra i primi a vedere una diffusione di R.U.R. di Karel Čapek, ma con una circolazione inizialmente periferica. Già il 14 dicembre 1921, ossia lo stesso anno della prima praghese, esordisce in scena a Kassa (Košice) in Cecoslovacchia nella versione di Kolos Ernő e Polák József, edita l’anno successivo col titolo R U R, Rossum’s universal robots. Utópisztikus kollektív dráma. La copertina, dai toni foschi tipici dell’espressionismo tedesco, avrà come elemento centrale la coppia di robot con cui si conclude la vicenda čapekiana, i nuovi “Adamo ed Eva”. Nell’aprile 1922, il giornale “Jövő” (Futuro) di Vienna annuncia una rappresentazione a Oradea, con traduzione e regia di Imre Sándor. Nell’autunno 1922 vengono fatti ben due tentativi di portare la pièce a Budapest, al Magyar Színház e al Nemzeti Színház.
Il “Prágai Magyar Hírlap” (Gazzetta Ungherese di Praga) annuncia il 13 agosto 1922:
“A R. U. R. – magyar színpadon. A budapesti Magyar Színház őszi idényében bemutatja Capek szenzációs drámáját, a R. U. R.-t, melynek magyar címe a Robotosok lesz.”
“R.U.R. sul palcoscenico ungherese. Nella stagione autunnale il Magyar Színház di Budapest presenta il sensazionale dramma di Čapek, R.U.R. che avrà il titolo ungherese di Robotosok.”
Entrambi gli spettacoli saranno annullati per non turbare il delicato contesto socio-politico ungherese. Il “Prágai Magyar Hírlap”, il 3 agosto 1922, aveva anche trattato dello strepitoso successo riportato in Slovacchia dalle rappresentazioni di una certa compagnia Faragó. In sintesi, R.U.R. gode di un’immediata circolazione nei territori periferici e ungarofoni dell’ex Regno d’Ungheria, ma fatica a valicare i confini dell’attuale Ungheria. Un’ipotesi a riguardo verrà fornita in seguito.
Sabato 16 febbraio 1924 andò in scena la prima di R.U.R. al Vígszínház di Budapest, nella traduzione di Kosztolányi Dezső, una delle figure centrali del panorama letterario ungherese della prima metà del Novecento. Già ad aprile dello stesso anno l’opera superò le oltre cinquanta repliche.
Tra gli archivi dell’influente rivista teatrale “Színházi élet” (Vita teatrale), nel 1924 si hanno due riscontri della rappresentazione budapestina. All’interno del 7° numero (17-23 febbraio), è Kosztolányi stesso a presenta l’opera attraverso un dialogo con uno spettatore immaginario. Egli riporta la sinossi con fedeltà, cogliendo perfettamente gli intenti dell’autore e la natura biologica dei robotosok, mai alterata nonostante il paragone con i bábok (marionette) o l’appellativo gépember (uomo macchina). Kosztolányi è pienamente consapevole del valore dell’opera tradotta: R.U.R. è un tömegdráma (dramma della massa) come lo erano state alcune opere di Shakespeare, Schiller e Madách, ma il merito di Čapek stava nell’averlo reso in maniera originale.
“Itt a tömeg nem mellékalak, hanem az egyetlen, a főalak.”
“Qui la massa non è una figura secondaria ma l’unica, è la figura principale.”
Soltanto una settimana dopo, l’8° numero (24 febbraio – 1 marzo) dedica l’intera copertina a R.U.R.: Helena e Domin in procinto di essere uccisi da un robot (riferita alla fine del II atto, ma mai rappresentata). Il numero contiene numerose fotografie della messa in scena, da cui si evince che i costumi rispettarono l’intento originale di Čapek e la prima messa in scena praghese.
Il primo articolo porta la firma di Karinthy Frigyes, altro autore fondamentale dell’epoca, grande umorista e importante autore di fantascienza, anch’egli lettore di Wells e creatore di opere utopiche e distopiche. Karinthy, oltre a elogiarne il successo, parla di R.U.R. come di un “fatto della storia della drammaturgia”.
Čapek, secondo l’ungherese, non dà da pensare ma pensa al posto dello spettatore, “come un professore che accompagna la spiegazione di una formula fisica nella teoria e nella pratica, con gli esperimenti e le spiegazioni degli esperimenti” (p.1). R.U.R. per Karinthy è dunque un esperimento mentale condotto magistralmente, nonostante risulti talvolta secca, causale e lasci poco spazio all’immaginazione.
“Capek barátom darabja nem nagyon is fantasztikus, mint ahogy a nyárspolgár mondaná, hanem inkább túlságosan reális.”
“La pièce del mio amico Čapek non è “molto fantastica”, come direbbe il piccoloborghese, ma piuttosto è fin troppo reale.”
Per quanto riguarda i robot, Karinthy, che si era occupato di automi nella sua opera utopistica Utazás Faremidóba (Viaggio a Faremido, 1916), parla di homunkulusok (omuncoli) e gépemberek. Conclude l’articolo con una quartina:
R.U.R.
“Az emberiséget legyilkolják
Rossum gépemberei egy túrban,
Ilyen bajt csinálnak nekünk
Kedves atyánkfiai a R.U.R.-ban.”
“Massacrano l’umanità in un solo colpo
gli uomini-macchina di Rossum,
un simile guaio han per noi combinato
i nostri cari congiunti in R.U.R.”
Nonostante il grande successo di pubblico, la prima budapestina fu, purtroppo, accompagnata da numerose proteste, riassunte dal grido degli studenti universitari:
“Cseh színdarabot nem tűrünk Magyarországon!”
“Non tolleriamo pièce ceche in Ungheria!”
Grazie alle ricerche di Kürtösi Katalin, è possibile mappare anche la situazione a Szeged. Sulla rivista “Szeged”, l’opera viene definita ellenséges (nemica), per via della sua origine ceca, ma il suo valore viene considerato indubbio. Gaál Endre taccia invece R.U.R. di “tendenze comuniste” e organizza un’azione di protesta contro la messa in scena, pericolosamente vicina all’anniversario del primo maggio. Come a Budapest, anche in questa città la rappresentazione provocherà disordini sociali da parte di studenti universitari, che renderanno necessario persino l’uso della forza da parte della polizia. In occasione delle successive rappresentazioni, non si segnalano ulteriori malcontenti.
Una spiegazione di questo malcontento può essere fornita prendendo in esame due ostacoli politici. In primis, è il lavoro di un autore ceco, ossia di uno stato facente parte della Piccola Intesa (14 agosto 1920), un’alleanza istituita tra la Cecoslovacchia, il Regno di Romania e il Regno dei Serbi, Croati e Sloveni affinché l’Ungheria conservi la forma impostale dal Trattato di Trianon. In secondo luogo, la pièce viene vista come simpatizzante delle rivoluzioni bolsceviche, una posizione inaccettabile nel ventennio interbellico del regime Horthy, soprattutto all’inizio degli anni ’20, dunque poco tempo dopo la rivoluzione bolscevica di Kun Béla, repressa dall’esercito romeno.
Ritornando a Kosztolányi, la sua versione contiene oltre cento passaggi che né la versione Kolos-Polák, né quella “rivista” ceca contengono. Kosztolányi ha, con ogni probabilità, rimaneggiato W.U.R., la traduzione tedesca di Otto Pick basata sulla prima versione di R.U.R., edita su rivista nel 1920. Il grande autore ungherese, oltre a intervenire stilisticamente sul testo, edulcora la rivolta dei robot dei suoi potenziali aspetti “marxisti”, operazione che sbilancia il dramma verso lo schieramento “umano” e sottraendosi alla visione super partes dell’originale. La critica anti-capitalistica viene meno assieme ai dettagli che lo spettatore poteva associare, anche vagamente, riferimenti alla Rivoluzione Bolscevica (i robot con le armi in mano o il controllo strategico di stazioni telegrafiche e ferroviarie). Nonostante le censure politiche, auto-imposte o imposte dagli organi teatrali, la versione di Kosztolányi risulta stilisticamente avvincente e ha il merito di aver portato in scena un’opera “cecoslovacca” per la prima volta dopo la Grande Guerra, un importante segnale di collaborazione tra popoli divisi da vicende storiche e diverse visioni politiche.
Malgrado le numerose repliche, gli interventi di due figure centrali e qualche isolata protesta, R.U.R. non lascia tracce durature del suo passaggio in Ungheria. La parola “robot”, pertanto, non assunse alcuna risemantizzazione immediata e rimase inalterata nel contesto ungherese, ossia un lessema già di larga diffusione letteraria agli inizi del XX secolo (Arany, Kosztolányi, Tóth e Babits per citarne alcuni), un prestito slavo frequentemente utilizzato con il già noto significato di “servitù”, di “corvée”, di “lavoro faticoso”. Il problema del mancato apporto di un nuovo significato alla parola è dovuto anche a un problema di natura linguistica.
Il “Fővárosi Hirlap” (Gazzetta della capitale, 13 febbraio 1924) nell’ annunciare la prima elenca ogni attore (ma non citando l’autore) e il ruolo corrispondente utilizzando lo stesso termine che il “Prágai Magyar Hírlap” e Kosztolányi usano per indicare i robot: robotos. Il suffisso “-os” ha la funzione di formare un aggettivo, il cosiddetto caso “ornativo”. Potrà sembra un’inezia ma il robotos risulta così essere “colui o colei che è addetto al robot, ovvero al lavoro faticoso”, non viene dunque proposto come un nuovo significato della parola stessa ma come un suo derivato. Non deve quindi destare stupore che il significato resti inalterato anche successivamente al 1924, anche in autori avanguardisti come Kassák Lajos (nel romanzo Angyalföld del 1929 ad esempio). Alla fine della Seconda Guerra Mondiale, 130.000 individui tra prigionieri di guerra o civili in salute, sia uomini che donne, verranno portati a forza in Siberia a svolgere il málenkij robot (il “piccolo lavoro”, espressione derivata dal russo malen’kaja rabota), un tentativo di trascrizione della “rassicurante” locuzione usata dalle truppe durante la deportazione. Anche in questo robot non andrà ad indicare l’individuo ma solo la condizione di lavoro servile. L’utilizzo di robot per indicare figure antropomorfe, biologiche o meccaniche che siano, è da attribuire probabilmente a un’eco asimoviana post-bellica, di difficile datazione.
Si può dunque concludere che, nonostante una precoce diffusione e un largo successo, la ricezione di R.U.R. in Ungheria si riduce a un evento mondano sì importante, ma la cui eco filosofica viene castrata da un contesto storico-culturale inadatto a radicarlo nel suo orizzonte.
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(https://epa.oszk.hu/02300/02343/00501/pdf/EPA02343_szinhazi_elet_1924_08.pdf)
Kosztolányi Dezső, R.U.R. (Kalauz egy érdekes darabhoz), in “Színházi élet”, XIV (1924), 7, pp.10-11.
(https://epa.oszk.hu/02300/02343/00500/pdf/EPA02343_szinhazi_elet_1924_07.pdf)
Kürtösi Katalin, Színház, Szabadtéri játékok, in “Szeged története”, 4. 1919-1944, a cura di Serfőző Lajos, Szeged, Szeged megyei jogú város önkörmányzata megbízásából a Somogyi-Könyvtár, 1994, p.697.
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Apparato iconografico:
Immagine 1: https://docplayer.cz/docs-images/57/40532058/images/113-0.jpg
Immagine 2: https://epa.oszk.hu/02300/02343/00501/pdf/EPA02343_szinhazi_elet_1924_08.pdf
Immaigine 3: collage di foto provenienti da:
https://epa.oszk.hu/02300/02343/00501/pdf/EPA02343_szinhazi_elet_1924_08.pdf