“La pipa del rabbino”: un racconto di Icchok Lejb Perec

Traduzione di Selene Prudenziato

Icchok Lejb Perec nasce nei primi anni ’50 del XIX sec da una ricca famiglia sefardita polacca. Scrive prosa, poesia e giornalismo in yiddish e in polacco. Viene presto considerato uno dei co-fondatori della letteratura moderna yiddish. Il suo sogno come scrittore era di creare un’autonomia culturale per gli ebrei (che avrebbe permesso loro di usare la propria lingua), ma credeva fosse importante anche mantenere il contatto con la cultura polacca. Nel 1908 partecipò alla Conferenza di Cernovcy (la prima in lingua yiddish), dove contribuì all’assegnazione di lingua nazionale alla lingua yiddish. Scrisse anche opere teatrali, sempre in lingua yiddish.

Lottò per la modernizzazione della vita quotidiana e della religione ebraica, ma anche per l’uguaglianza delle donne. Sostenne l’avanguardia, aveva contatti con l’arte moderna (ad esempio Chagall) e si avvicinava molto al pensiero del Partito socialista ebraico (Bund).

Opowiadania chasydzkie i ludowe (Storie cassidiche e popolari) è un insieme di 23 racconti brevi scritti in yiddish. Rappresenta maggiormente la sua idea a sostegno della teoria nella quale la letteratura ebraica dovrebbe tornare allo stadio di folklore. Al suo interno utilizza termini ebraici, spiegati in un dizionario integrato. Tutta l’opera è permeata dallo spirito del realismo magico. Ambientato tra il XIX e il XX secolo offre il punto di vista della ex comunità ebraica polacca su vari aspetti della vita quotidiana, partendo dalle credenze popolari e giungendo ai problemi della realtà.

La traduzione presentata è tratta dalla traduzione in polacco dell’opera da parte di Michał Friedman.

PDF della traduzione scaricabile:
Traduzione_Perec_La pipa del rabbino


Tutti, non solo i vecchi ebrei, ricordano quando Sara-Rywka a casa non aveva né figli né pane.
Il solito pane quotidiano.

Suo marito Chaim-Boruch era uno zelante e tenace Hasid. Si potrebbe dire che lo era stato fin dall’inizio. Sin dal momento in cui suo suocero, dalla memoria beata (era un uomo per bene), lo fece salire fin qui da vicino Lublino.

Le persone fecero subito la sua conoscenza. Lo vedevano come un ebreo arcidevoto, un segno visibile della benedizione divina. Vedevano in lui un uomo che incarnava il Messia. Nel peggiore dei casi, gli sembrava un taumaturgo in grado di drenare del vino da un qualsiasi muro. Nei suoi occhi infossati balenava una luce nascosta. Era come se in una camera scura, l’uomo si girasse con una candela accesa. Era pallido in volto, ma in ogni occasione degna di nota il suo viso sbocciava come una rosa al sole. Forse era dovuto alla sua pelle molto delicata e sottile più della parola. Nelle sue tempie ci poteva essere sempre qualche movimento. Qualcosa vi batteva costantemente. Ai fianchi portava la Gartel [1], formata probabilmente dall’intreccio di altre 10 corde. Il suo modo di studiare le Scritture era insolito. Si era immerso nel profondo mare della Torah. Aveva studiato anche lo Zohar di Isacco Luria. Trascorreva molte ore con il rabbino in completo silenzio. Non si scambiavano neanche una parola. Tutto quello che avevano da dirsi, lo esprimevano a gesti o con sguardi. Dopo tutto questo, mi si dica per favore se con un ragazzo come Chaim-Boruch si può parlare di parnasa [2] o di lavoro retribuito.

Perché nella beth midrash [3] veniva chiamato solo come Chaim-Boruch di Sara-Rywka o come il marito di Sara-Rywka? Perché tutte le Porte della Ragione lo riconducevano sempre ad una pentola di piselli e lievito, venduta da sua moglie Sara-Rywka? Nessuno lo capirà. Sara-Rywka stessa era molto preoccupata a riguardo. In realtà però, nel profondo del suo cuore, si sentiva onorata che lo chiamassero in riferimento al nome di lei. Infatti, si rendeva conto che grazie a questo, poteva godersi un po’ questo mondo.

Un paio di volte alla settimana era solita recarsi al beth midrash con una pentola di piselli. Al che gli studenti del rabbino che studiavano le Scritture avvisavano Chaim-Boruch urlando:
– Chaim-Boruch, la tua ospite è arrivata!
Lui da lontano aveva già percepito i suoi passi avvicinarsi, perché subito immergeva la testa nel libro dello Zohar. Sara-Rywka, malgrado sopra al leggio tremasse ancora alla sua kippah sporca e impiumata, cercava di non prestargli attenzione. Non voleva vedere come lo spirito divino aleggiasse sopra alla testa del marito assorto nello studio. Per lei sarebbe stato un piacere straordinario, ma non aveva desiderio di godere di nessun piacere a questo mondo. Per lei, tutti i piaceri e le cose piacevoli dovevano rimanere nell’altro mondo. Ma, allo stesso tempo, sentiva come il suo cuore si riempisse di un tiepido piacere.

Quando andava alla beth midrash, c’era anche un’altra donna. In qualche modo era cresciuta, in qualche modo era diventata importante. Nei suoi occhi apparivano dei lampi chiari. Non sembrava affatto una donna di circa vent’anni già sposata. Aveva tracce di rughe sulla fronte. Il visino tutto arrosato aveva un certo fascino. Era come se fosse appena uscita dal baldacchino nuziale. E quando se ne rendeva conto lei stessa, si preoccupava.
– Cosa – pensava con ansia – mi rimarrà in questo mondo? Arriverò lì come un’oca spennata. Senza traccia di meriti sul corpo… Cosa ho fatto di buono in questo mondo? È un segno di merito camminare per le strade con una pentola di piselli o andare per case a consegnare del lievito? E cosa ha avuto mio marito da me? Finché mio padre era in vita, in qualche modo tutto andava bene. C’era una casa con molto da mangiare e da bere. Ma oggi? Possano i nostri nemici avere successo! La dote è andata persa da qualche parte, la casa è stata venduta. Per pranzo si mangiano patate e acqua. Per cena zuppa con le obwarzanek [4] del giorno prima. Ecco come appare la vita di mio marito in questo mondo.

In sette anni non gli ha mai comprato una giacca più mediocre. Da una Pesach [5] all’altra – un cappello, un paio di stivali a gamba alta e niente di più. Alla vigilia di sabato gli diede una camicia pulita, ma che Dio abbia pietà, che camicia era! Una vera tela di ragno.

Portava già gli occhiali a causa di queste camicie. Le ammendava e rammendava, ma nulla per quel rammendo. E rivolgendo i suoi pensieri a Dio diceva:
– Signore del mondo, quando in quel mondo poseranno su un piatto della bilancia una lettera della Torah per mio marito, e sull’altro piatto poseranno tutte le mie zuppette e patate insieme ai miei occhi… che cosa peserà di più?

Lei sapeva anche, che ciò che era unito in questo mondo, rimaneva confermato in quell’altro mondo. Sapeva che lì non si separa velocemente un marito dalla moglie. Del resto, lui, suo marito, lo avrebbe permesso? Di certo no. Era pure un uomo magnifico, un vero tesoro. Dopotutto vedeva perfettamente che Chaim-Boruch voleva che anche lei approfittasse del pasto che aveva cucinato per lui. Non ne parlava, perché sarebbe sembrato sciocco. Bastava che lui sbattesse le palpebre affinché lei capisse.

Quando lei faceva finta di non capire cosa lui intendesse, Chaim-Boruch iniziava a mormorare, proprio come se stesse ripetendo l’Amidah [6]. No! Di certo non lo avrebbe permesso. Non accetterebbe di sedersi da solo in paradiso nel gruppo dei rabbini e patriarchi, mentre lei vaga in un mondo di caos e confusione o nelle foreste. Ma la sua obiezione potrebbe aiutarla? In primis, si vergognerebbe di guardare negli occhi le sue antenate. Brucerebbe di vergogna. In secondo luogo, era senza figli e gli anni volano. Il tempo non si ferma. Erano già sette anni che vivevano insieme. Dopo tre anni, un grido di divorzio. Era in grado lei di parlargli con altre parole che non fossero divorzio? Sarebbe stata quindi un’altra donna a fargli da sgabello in paradiso, e lei, Dio sa, sarebbe andata in giro con qualche sarto per l’inferno. E quindi? Meritava forse un destino migliore? Più volte era stata visitata in sogno da qualche sarto o calzolaio. Lanciava allora un lamento. Chaim-Boruch veniva svegliato dal suo pianto e sperimentava la paura. A volte, di notte, quando la candela non bruciava, risuonava la voce di lei. Le chiedeva cosa la preoccupasse. Lei tagliava corto: – Nulla! –

Lei piangeva e scongiurava Dio, affinché mandasse una benedizione sui suoi piselli e lievito. E lui fu effettivamente magnifico. Sentendola piangere, pensava: “Stupida donna. Dove vuole andare a parare? Non importa, bisogna fare qualcosa. Potrebbe mangiare qualcosa. Portare qualcosa alla bocca.” Lui cercava consigli nei libri. Leggeva, voleva trovare un modo appropriato. Spesso però accadeva che la cosa tanto cercata non venga trovata. Cose del genere di solito si trovano in modo inaspettato. A volte, gli sembrava di essere ormai sulla strada giusta, di aver già trovato un modo, ma in quel momento Satana si inseriva nella questione, confondendo il suo ordine. Lo costringeva a ricominciare la ricerca dall’inizio. Dopo una profonda riflessione era arrivato alla conclusione di dover chiedere consiglio al rabbino, che possa vivere a lungo. Tuttavia, la conversazione con il rabbino non rimase sull’argomento.

Una volta il rabbino non sentì le parole di Chaim-Boruch perché i suoi pensieri erano altrove, un’altra volta lo ascoltò con attenzione annuendo con la testa. La terza volta dichiarò:
– Mh! Ritengo che sarebbe corretto… – ma non arrivò in tempo la conclusione della frase, perché all’improvviso qualcuno di inaspettato entrò nella stanza.

Non lasciatosi scoraggiare dall’insuccesso, Chaim-Boruch si recò ancora una volta dal rabbino e gli chiese:
– Posso, rabbino?
– Vieni, vieni! – rispose il rabbino, e così iniziò la conversazione.

Dopo un po’ di tempo, e questo prima del sabato, Chaim-Boruch stando nella casa del rabbino sospirò all’improvviso. Il rabbino si irritò e disse:
– Questo comportamento non è in linea con i miei insegnamenti. Il mio Hasid non ha l’abitudine di sospirare. Di che cosa si tratta?
– Del lievito – rispose Chaim-Boruch.
– In tutti gli angoli della diaspora ebraica hanno già infornato gli Challah [7]. Di venerdì, dopo mezzodì, non si parla già più di lievito.

Il giorno seguente, nella sera che conclude il sabato, Chaim-Boruch spiegò al meticoloso rabbino che cosa lo stesse preoccupando. Disse:
– Forse se ne occuperà il rabbino di questa faccenda?
– Non sei in condizioni di occupartene tu? Dio non voglia, di fronte alla tua preghiera il paradiso è chiuso?

Chaim-Boruch udì chiaramente le parole “Dio non voglia” e la pietra cadde immediatamente dal suo cuore. Passarono pochi mesi e tuttavia non accadde nulla. Durante la festa della Rosh hashana [8] Chaim-Boruch andò nuovamente dal rabbino. Quando la festa giunse al termine il rabbino colpì improvvisamente Chaim-Boruch sulla schiena e gli chiese:
– Di che cosa hai bisogno, Chaim-Boruch?
– Di nulla! – rispose vergognandosi Chaim-Boruch.
– Menti! Hai bisogno di qualcosa!
– Che cosa? – chiese sorpreso Chaim-Boruch, e sentiva come se sulle labbra affluissero le parole: “Il bisogno è la benedizione sui piselli e il lievito.”

Il rabbino non lo lasciò continuare e centellinò lentamente ogni sua parola, come se avessero lo stesso valore delle perle:
– Il tuo bisogno, Chaim-Boruch, è una pipa in vetro!

L’assemblea nella sinagoga non era stupita. Il rabbino allora proseguì:
– Tu per fumare usi una pipa in legno così comune, piccola e da conduttore di carretti.
Sentendo questo, Chaim-Boruch si mosse. Dalla bocca gli sfuggì la piccola pipa in legno. Riuscì con difficoltà a mormorare una frase:
– Bene, lo dirò a Sara-Rywka.
– Si, diglielo, così ti compra una pipa grande. Una pipa grande quanto la mia. Prenditela come riferimento.

E dicendo questo il rabbino gli porse la sua pipa in vetro da festa.

Con quel discorso, tutta la faccenda si concluse. Tuttavia, prima che riuscisse a tornare a casa, tutto il paesino già sapeva cos’era successo. Sapeva che Chaim-Boruch portava con sé la pipa in vetro del rabbino. Le persone nelle strade e nelle case si chiedevano:
– Per cosa e in cosa può tornare utile la pipa del rabbino?
E nel porsi la domanda, trovavano contemporaneamente la risposta!
– è sicuramente uno strumento per far nascere i bambini. Chaim-Boruch sembra essere affetto da ciò di cui tutti gli allievi soffrono. Sicuramente il fumo della pipa da festa del rabbino otterrà i risultati desiderati. Aha! E cos’altro! Sara-Rywka è malata agli occhi. Ha ventidue anni e indossa già gli occhiali. Il rabbino stava sicuramente pensando a lei. È pure la moglie dello stesso Chaim-Boruch. Mica uno qualunque.

Ma parlando in generale, potrebbe aiutare tutti. In particolare, con le sue benedizioni. E prima che Chaim-Boruch potesse sedersi sul carro, fu circondato da una folla di persone. Ognuno voleva prendere in pr estito da lui la pipa. Per mesi, per settimane, per ore, per poco e perfino istanti. Le persone volavano riempirlo d’oro per questo.

Alla domanda se la pipa fosse d’aiuto, egli rispondeva:
– Perché dovrei saperlo io? Chiedete a Sara-Rywka.

Le sue parole apparivano profetiche. Sara Rywka beneficiava in modo eccellente della pipa. Per una boccata di pipa prendeva 18 groszy [9]. Non un centesimo di meno. E la pipa era d’aiuto. E le persone pagavano. Ma Sara-Rywka aveva già la sua casetta e il suo bel negozietto E nel negozietto molto lievito e piselli, e molte altre merci. Recuperò in salute. Mise su peso e si raddrizzò. Comprò al marito del nuovo intimo. Rinunciò agli occhiali. Qualche settimana prima erano venuti da lei alla ricerca della pipa per avere dei figli. Misero sul tavolo tre rubli d’argento. Di argento puro!
– E per quanto riguarda i bambini, probabilmente vorrai saperlo anche tu.

Ne ha quindi già tre o addirittura quattro. È anche diventato quel che si chiama un uomo.
Nella beth midrash la discussione continua ancora. Secondi alcuni Sara-Rywka non vuole restituire la pipa al rabbino, e certamente non lo farà. Altri dicono che gliel’ha già restituita da tempo. Secondo questi, quella che sta usando è completamente diversa.

Chaim-Boruch non dice nulla a riguardo.
Ma cosa cambia. L’importante è che la pipa aiuti.

[1] Gartel: cintura usata dagli ebrei chassidici durante le preghiere.

[2] Parnasa: sostentamento, guadagno (termine ebraico).

[3] Beth midrash: scuola ebraica, collegio rabbinico.

[4] Obwarzanek: ciambella di pasta di pane tipica polacca.

[5] Pesach: Pasqua ebraica.

[6] Amidah: le 18 preghiere ebraiche.

[7] Challah: pane ebraico.

[8] Rosh haShana: Capodanno religioso ebraico.

[9] Groszy: centesimi polacco. 18 groszy equivalgono a circa 4 centesimi europei.

Apparato iconografico:

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