Bianca Dal Bo
È una regola che a qualsiasi parola a inizio periodo si imponga di iniziare con la lettera maiuscola, per indicare forse un limite, la fine di un’azione compiuta e la nascita di qualcos’altro. Ma se un limite, un filo spinato, invece, non si fosse mai davvero imposto e la propria vita – la propria frase – fosse stata una riflessione continua e mai sazia, una libro ancora aperto, un ambiguo nodo non sciolto? Così, in continuazione di qualcosa lasciato in sospeso, non di un punto, ma solo di un incalzarsi di parentesi, il titolo dell’autobiografia di Ruth Klüger comincia con una lettera minuscola: weiter leben: eine Jugend. La casa editrice Wallstein Verlag pubblica il libro a Göttingen nel 1992, che è stato tradotto in italiano col titolo Vivere ancora. Storia di una giovinezza. Il verbo tedesco, che in italiano significa ‘vivere ancora’, normalmente è scritto senza pause intermedie: weiterleben. Nello stesso modo in cui luoghi diversi si inseriscono nella vita errante della scrittrice, anche lei sceglie di inserire uno spazio tra le due componenti della parola, dando vita a una migrazione di interpretazioni da un significato all’altro, tanto che il senso del titolo, non solido ma cangiante come quello di qualsiasi viva opera letteraria, potrebbe variare da ‘vivere di nuovo’ (ricominciare a vivere davvero dopo un male che ne era impedimento), a ‘continuare a vivere’ (con soggetto la scrittrice e il suo passato, e che differisce dal semplice sopravvivere, in tedesco überleben), o a ‘vivere in un modo e in uno spazio più ampio’ (weiter, a livello spaziale, è anche il comparativo di maggioranza di weit, ampio).
Partendo da quest’ultima considerazione, che mette in gioco lo spazio e che cozza, in parte, con la traduzione del titolo italiana legata al tempo, percepiamo la presenza di un ambiente che da stretto si fa più vasto. In effetti, l’autobiografia di Ruth Klüger è ricca di spazi, magari a noi già noti, ma non per questo indifferenti o impersonali, anzi, la sua è una spazializzazione del suo concreto vissuto, organizzato in quattro capitoli, a seconda dei luoghi in cui la protagonista è passata: Vienna, I lager (Theresienstadt, AuschwitzBirkenau e Christianstadt Groß Rosen), Germania (Fuga, Baviera), New York.
Ruth Klüger nasce a Vienna il 30 ottobre 1931, immigrata in America nel 1947, docente universitaria di letteratura tedesca in California, è mamma, scrittrice, femminista, germanista e una bambina di famiglia ebrea che sopravvive all’Olocausto e alla trappola che è, per lei, una Vienna di divieti. La sua migrazione parte, dunque, dalla città d’origine la sua radice , la Vienna borghese e antisemita di Schnitzler, che le appartiene e nel frattempo la disprezza, familiare ed estranea, raccontata nella sua autobiografia come gabbia per chi, come lei, è una bambina austriaca e di famiglia ebrea senza alcun diritto. La circostanza in cui vive vuole che un ebreo non sia degno o legittimato a compiere i semplici atti abitudinari di ogni giorno, come l’andare a scuola o al cinema, che sembrerebbero scontati in un ambiente libero. E non è soffermandosi sui crudi episodi storici universalmente conosciuti, ma attraverso le piccole cose concrete e personali, i minimi fatti quotidiani, che la scrittrice racconta, dai suoi vari e molteplici punti di vista – di bambina, ebrea, austriaca, donna, americana, femminista… , l’oppressione e la brutalità del nazismo, quella sensazione di sentirsi tutte le ossa bloccate dalla paura del pericolo e di non riuscire quindi a muoversi, pur desiderando la fuga. Ripete più volte, infatti, tra le righe già scritte ma ancora vive del libro, di voler scappare dalla trappola pericolosa in cui è impigliata. E questa ambita fuga le riesce non solo da Vienna, ma dall’Europa e – in parte – dalla concreta esperienza di un’infanzia di divieti, trasferimenti e campi di concentramento, imposti senza ombra di una possibilità di scelta. Dopo l’arrivo dei russi e degli americani, Ruth Klüger, con la madre – a cui rimane vicina per tutta la durata della guerra –, resta per un periodo in Germania, per poi stanziarsi in America, posto in cui trova ancora (più?) stretto, questo rapporto con la madre, che la tratta come una sua possessione, l’unica. In realtà, Ruth, già da bambina aggrappatasi alla vita, sa che quest’ultima è l’unica vera possessione che ognuno ha diritto e dovere di trattenere a pieno, contro ogni tentativo di privazione da parte di altri, quali gli ufficiali SS, sua madre o la sua presuntuosa zia, che al suo arrivo a New York le consiglia:
“Quel che è accaduto in Germania devi cancellarlo dalla memoria, e cominciare da capo. Devi dimenticare tutto quello che ti è successo in Europa. Lavar via, come una spugna, come il gesso da una lavagna . […] Vuole prendermi la sola cosa che ho, pensai, la mia vita, quella già vissuta. Ma non si può gettarla via, come se ne avessimo altre nell’armadio.” (p. 226)
La fuga di Klüger non è uno scappare da sé stessa, ma da un luogo e da una situazione troppo stretta e limitante, è una fuga senza meta, ma guidata spiritualmente da una ricerca profonda della propria identità e della propria meritata libertà. Questa libertà si realizza, con la messa in discussione di sé stessi – Auseinandersetzung – in relazione con l’esterno e con il tempo, la migrazionericerca per il vivere ancora di Ruth Klüger, l’errare del pensiero. Il suo brulicante bisogno di paragone, di confronto e scontro con l’altro, è sostenuto, non solo dal contenuto del testo e dalla storia, ma anche dalla forma estetica con cui il tutto viene espresso, dall’arte del dialogo con cui l’autrice interpella il lettore – per la scrittrice i tedeschi , dalle sue riflessioni alternate ai fatti, dalla variazione di punti di vista e prospettive con cui si raccontano le cose e dall’uso della letteratura tedesca come appoggio per una base più autentica nota a tutti i tedeschi. weiter leben non è, dunque, un monologo, un’unica linea dritta e solida, ma un dialogo ogni volta interpretabile in ogni sua sfumatura, una porta aperta all’incontro, contro la dittatura di una sola e unica voce. Ma non è tutto, l’eterna riflessione, l’eterno spostamento e articolarsi dei rami del discorso, si ricongiunge circolarmente con la memoria, le radici, quali l’Austria, la Germania e il suo passato, la sua lingua, da cui non può prescindere.
Il momento per ripassare sul suolo pestato e lasciato, rileggere il libro già letto, si spiega nell’Epilogo, che narra della sera del 4 novembre 1988, quando Ruth torna in Germania e cammina lungo la Rote Straße, nella zona pedonale di Göttingen, e un ciclista la investe. La caduta le provoca un’emorragia cerebrale a cui riesce a sopravvivere, come anche il ricordo del passato che, apparentemente ordinato prima, viene ora ripescato e scompigliato creandole in testa un caos irrimediabile.
“Il primo giugno dell’anno seguente, quando ero ancora nella mia casa di Göttingen, e avevo cominciato a scrivere queste memorie, una mattina presto, al risveglio, la scena dell’incidente, la collisione, erano di nuovo là e stanno per affondare, come fanno i sogni quando la luce li scaccia. Io trattengo il ricordo con gli occhi chiusi svegliandomi lentamente, lo trattengo con forza, quel pezzo di vita voglio possederlo, ed eccolo lì, ce l’ho, pescato da acque nere, che ancora si dibatte.” (p. 269)
Il tempo perduto viene comunicato in modo personale, segnato su carta e messo in relazione con il presente, non per rimanere serrato in un cassetto impolverato, ma per essere letto e riletto, mantenersi vivo, discusso, messo in dubbio, elaborato, in una continua e mai completa fuga e ricerca di significato. Insomma, letteratura. “Pur sapendo dal titolo come va a finire la storia – sottolinea Reich Ranicki elogiando il libro nel suo celebre programma letterario Das Literarische Quartett – io, lettore, sono portato ad andare avanti, voglio assolutamente continuare a leggere”.
Bibliografia
Klüger Ruth, weiter leben: eine Jugend, Göttingen, Wallstein Verlag, 1992.
Klüger Ruth, Vivere ancora. Storia di una giovinezza, Torino, Einaudi, 1995.
Klüger Ruth, Still alive. A Girlhood Remembered, New York, Feminist Press, 2001.
Pérez Zancas Rosa, Von weiter leben zu Still Alive: Ruth Klügers fortgesetzte Unvollständigkeit, Revista de Filología Alemana, 2008, 16 211228.
Sitografia
Herman P., Sophia Taubman Foundation Endowed Symposia in Jewish Studies, Still Alive: A Holocaust Girlhood Remembered, University of California Television (UCTV), aprile 2003.
https://www.youtube.com/watch?v=Jfny1Fs8fJQ
M. Bulgakow, David Lodge, Ruth Klüger, W.G. Sebald, C. Simon, Das Literarische Quartett 23, 14 gennaio 1993. https://www.youtube.com/watch?v=Jfny1Fs8fJQ
Apparato iconografico
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