Vasilij Aksënov, la fuga dall’Unione Sovietica e il sogno americano

Stefania Feletto

Dopo un periodo di alleggerimento delle tensioni internazionali avviato da Chruščëv e durato fino al 1964, dalla seconda metà degli anni ’60 e nel corso degli anni ’70 del Novecento va diffondendosi in Unione Sovietica un “rigelo” delle politiche del Partito Comunista. Sul piano letterario, questo passo indietro segna ulteriormente la netta frattura tra la letteratura richiesta e ufficialmente riconosciuta dal regime, vale a dire quella imposta dal realismo socialista, e la letteratura clandestina del samizdat, ossia la letteratura auto­prodotta. Il processo politico che investe gli scrittori russi Sinjavskij e Daniėl’ dura dall’autunno del 1965 al febbraio del 1966 e si conclude con la loro condanna ai lavori forzati nei lager penali. L’accusa è di aver pubblicato all’estero opere proprie dai contenuti anti sovietici, non aderenti ai canoni del realismo socialista a favore di una propaganda reazionaria contro il regime. Le conseguenze di questo processo e il clima di ristagno culturale danno inizio a nuove ondate migratorie dei dissidenti verso l’Occidente. Tra i numerosi scrittori russi in conflitto con il potere statale che in questo periodo abbandonano la patria e trovano asilo in America, c’è Vasilij Aksënov.

Vasilij Pavlovič Aksënov raggiunge la fama internazionale nel 1961 grazie al romanzo di formazione Zvëzdnyj bilet, Il biglietto stellato (1961). Pubblicato in Unione Sovietica e successivamente tradotto e circolato all’estero, racconta le vicende del diciassettenne Dimka e dei suoi tre amici con i quali scappa dall’Unione Sovietica. È il lancio di una monetina a decidere la fuga del gruppo verso quello che all’epoca era considerato l’Occidente dell’Urss, l’Estonia. Nel romanzo si respirano il desiderio di vivere, l’energia, le speranze di questi ragazzi che in tutto e per tutto incarnano i sogni di Aksënov stesso. Ciò che si impone all’attenzione dei lettori, e che al tempo della pubblicazione viene aspramente criticato dai più conservatori, è soprattutto il registro in cui il romanzo è scritto e la vivacità delle situazioni che Aksënov riesce a cogliere: i protagonisti utilizzano lo slang dei giovani sovietici che si incontrano in strada, il clima descritto è quello di ribellione che si respira a Mosca all’inizio degli anni ’60, i sogni di libertà sono quelli condivisi dalle nuove generazioni. I suoi personaggi sono gli stessi di quel primo movimento contro­culturale sovietico con cui viene in contatto a Mosca, quello degli stilyagi (quelli ‘con stile’). Questi giovani infatti imitano il modo di parlare, di vestire e lo stile di vita occidentale e non possono che essere presi a modello dal giovane scrittore, intenzionato a rompere gli schemi della cultura ufficiale del passato. Pur essendo un’opera non conforme al realismo socialista, il romanzo viene pubblicato durante il periodo di distensione e di relativa tolleranza.

In particolare, nell’immaginario di Aksënov va creandosi il mito di un’America ricca, liberale e democratica. Quest’idea si fa spazio nei giovani russi soprattutto attraverso elementi artistico­ culturali che arrivano in modo più o meno clandestino in Unione Sovietica durante gli anni ’60 e che scatenano in Aksënov una profonda fascinazione: il cinema americano, la musica jazz e la letteratura prodotta da autori come Hemingway e Fitzgerald. La fama ottenuta dalle proprie pubblicazioni e l’insistenza nei confronti dei piani alti del Partito, gli permettono nel 1975 di compiere il primo viaggio negli Stati Uniti in qualità di professore ospite all’Università della California di Los Angeles. Come Aksënov stesso racconta in un’intervista, rilasciata nel 1989 a Brian Lamb per la televisione americana C­SPAN, per un cittadino sovietico era praticamente impossibile viaggiare in quegli anni, sia perché il Partito Comunista si rifiutava di rilasciare passaporti e permessi per trasferirsi all’estero, sia perché gli stessi cittadini non avevano la possibilità economica di spostarsi. È probabile che l’Unione Sovietica autorizzò il viaggio di un personaggio in vista come Aksënov per un proprio tornaconto: dare al mondo l’immagine di un paese libero che consentiva ai propri cittadini la possibilità di viaggiare.

Tornato in Unione Sovietica, Aksënov pubblica altri romanzi fino al 1985, quando Ožog (L’ustione) segna l’aperto conflitto con le autorità. Se fino ad allora il KGB si era tenuto a distanza nell’osservare il lavoro di Aksënov, con quest’opera si rende necessario un intervento diretto. Il romanzo modernista, fortemente autobiografico, concepito a metà degli anni ’60 sotto l’influenza di modelli che tornano ad essere russi (Bulgakov e Nabokov), rappresenta la decadenza della società sovietica: la storia frammentata ruota attorno a cinque prolungamenti diversi di quello che è il personaggio principale, Tolja von Steinbock, alter ego di Aksënov stesso. Attraverso Tolja, Aksënov riesce a raccontare anche parte della propria adolescenza vissuta con la madre, in esilio a Magadan a causa delle repressioni staliniane. Si tratta di un testo frenetico, fantastico e surreale, dalla scrittura irriverente che non può essere pubblicato in Unione Sovietica, proprio in seguito all’irrigidimento delle politiche del Partito. Aksënov riceve pressioni dal KGB perché il romanzo non venga pubblicato all’estero ma lo scrittore si trova ad un punto di svolta della propria carriera: far pubblicare il romanzo e dover abbandonare l’Unione Sovietica o non pubblicarlo e rinunciare ad essere uno scrittore indipendente? Il romanzo viene mandato all’estero e viene pubblicato per la prima volta in Italia e negli Stati Uniti, aumentando la fama dello scrittore sovietico, celebrato come autore classico dell’età contemporanea. Ad aggravare la situazione è inoltre il caso dell’almanacco “Metropol” firmato da Aksënov e molti altri scrittori sovietici, tra cui Erofeev, Popov, Bitov e Iskander. L’almanacco voleva essere una raccolta di testi letterari inediti lontani dalla cultura ufficiale. Come L’ustione, anche Metropol’” non viene approvato dal Partito ma verrà pubblicata negli Stati Uniti dalla casa editrice Ardis. Questa pubblicazione determina la cacciata di due redattori dall’Unione degli Scrittori, e insieme ai fatti precedenti, porta all’espulsione di Aksënov dall’Unione Sovietica e la perdita, di lì ad un anno, della cittadinanza sovietica. L’America, il paese che lo scrittore aveva tanto mitizzato, diventa nel settembre del 1980 la destinazione verso cui emigrare.

Nonostante ciò, durante l’intervista già citata del 1989, Aksënov dirà:Grazie all’appoggio internazionale e ad una rete di scrittori russi emigrati negli Stati Uniti prima di lui, Aksënov si salva dalle repressioni del Partito e vive per 24 anni in Virginia, dove insegna nelle università e continua con successo l’attività di romanziere. A differenza di altri scrittori russi con i quali condivide il destino nell’emigrazione, Aksonov riesce a distinguersi per il tentativo di andare oltre i racconti dei gulag e delle sofferenze patite, parlando di personaggi che cercano il riscatto e trattano con ironia il potere sovietico, come accade soprattutto in Il biglietto stellato e L’ustione. All’attività di accademico affianca il lavoro nelle trasmissioni radiofoniche “La voce dell’America” e “Radio Liberty”, le stesse trasmissioni che gli avevano fatto conoscere la musica jazz in Unione Sovietica. Aksënov cerca di fondersi alla realtà letteraria statunitense a lui contemporanea, così cosmopolita ed eterogenea e in questo paese acquisisce il diritto di viaggiare, raggiunge una stabilità economica e si svincola dalla morsa della censura. Queste libertà, invidiategli dai cittadini sovietici a lui contemporanei, valgono il duro percorso che l’ha portato ad emigrare.

Se dieci anni fa mi avessero chiesto di scegliere tra il benessere materiale o la libertà di scrivere, avrei scelto la libertà di scrivere.

Negli ultimi saggi, come in Žiteli i bežency, (Residenti e profughi), e nelle interviste degli anni ‘90, tendono ad emergere una serie di perplessità nei confronti del mito americano che si era costruito: il jazz ha perso in parte il proprio fascino, perché in America “si può ascoltarlo ovunque”, e inoltre riscontra negli statunitensi uno scarso interesse per tutto ciò che sta fuori dal loro Paese. Aksënov parla anche di una tendenza a produrre una cultura di massa legata all’incasso e lontana dall’atto creativo in quanto tale e dall’impegno dell’artista nei confronti del popolo. Questa disillusione porterà lo scrittore alla presa di coscienza dell’impossibilità di trovarsi completamente integrato né nella società russa né in quella americana. Riavvicinatosi all’Europa e alla Russia negli ultimi anni della propria vita, vive tra Biarritz, in Francia, e Mosca, dove muore nel 2009.

 

 

Bibliografia
V. P. Aksënov, Il biglietto stellato, Milano, Mondadori, 2009
V. P. Aksënov, L’ustione, Milano, Mondadori, 1980
D. Brown, Hemingway in Russia, in “American Quarterly”, The Johns Hopkins University Press, Summer, 1953, Vol. 5, No. 2 (Summer, 1953), pp. 143­ 156, disponibile all’indirizzo internet: <https:// www.jstor.org/stable/3031315?seq=1> (30/09/2020)
V. M. Esipov, Vasilij Aksënov – odinokij begun na dlinnye distancii, Astrel’, Moskva, 2012
L. Falyushina, L’incontro con l’America nella letteratura russa: l’immaginario e la realtà nelle opere di Vasilij Aksënov (1970-­1980), in “eSamizdat”, 2016 (XI), pp. 107­114, disponibile all’indirizzo internet: <http://www.esamizdat.it/ojs/index.php/eS/article/view/54/46>
B. Lamb, intervista televisiva Say Cheese, prodotta da C­-SPAN, 1989, disponibile all’indirizzo internet: <https://www.c­span.org/video/?9801­1/say­cheese>
J. Pohlmann, Conversations with Vassily Aksyonov, 2007, disponibile all’indirizzo internet <http:// www.sovlit.net/conversationswithaksyonov/

Apparato iconografico
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